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domenica 19 dicembre 2021

"Fiori e fulmini" di Luigi Dal Cin e David Pintor, Editoriale Scienza

 

"Fiori e fulmini" di Luigi Dal Cin, con le illustrazioni di David Pintor, pubblicato da Editoriale Scienza (qui) è un romanzo appassionante che coinvolge sia per la storia del protagonista - Elia, un ragazzino orfano di madre con un padre che non riesce a comprenderlo - sia per il luogo in cui è ambientato. Come forse molti sanno, l'Orto Botanico di Padova, Patrimonio Unesco, è il più antico orto botanico universitario del mondo. Costruito nel pieno del Rinascimento, ha - come viene svelato in un linguaggio ricco di dettagli ma semplice da comprendere - una forma che richiama il cosmo e la terra: il cerchio, che ricorda la perfezione del Cielo (almeno per come veniva concepito dagli antichi) e il quadrato, che fa riferimento ai quattro elementi (acqua, aria, cielo e terra), ai quattro punti cardinali e alle quattro stagioni. 

Questo è un libro al tempo stesso ricco di informazioni sulle piante - e quindi anche adatto per chi volesse saperne di più su tante specie, sulla loro ecologia e sui sistemi per sopravvivere nei luoghi più inadatti - sia di storie (lo sapevate che Goethe è passato dall'Orto Botanico di Padova nel suo viaggio in Italia e che a lui è intitolata una palma, in effetti è stato un osservatore attento e ha scoperto molte cose in botanica). Insomma, si tratta di storie dentro una storia. Una sorta di matrioska da cui poter ricavare molto in tante discipline diverse (nel caso un insegnante volesse farlo leggere ai propri alunni anche per incuriosirli sul mondo degli orti e della botanica, ma anche per parlare di come affrontare le proprie incertezze, i problemi della vita...) sia da gustare come un romanzo pieno di avventure e colpi di scena.

Oltre al giovane protagonista, difficile non innamorarsi del nonno giardiniere, una persona che ama le piante e le coltiva anche in ricordo della moglie, che sa comprendere questo ragazzino solo e lasciato un po' alla deriva dal padre. Impossibile anche non lasciarsi catturare dalla sua nuova amica, Jasmine (che sa di esotico e ha il nome di un fiore), che come in tutte le storie/fiabe che si rispettano, aiuterà il protagonista a risolvere i suoi guai.

Infine, alla fine del romanzo, non sorprendetevi se vi verrà voglia di curiosare sul sito dell'orto botanico a cercare l'esemplare di Ginko più longevo o studiare la piantina dell'orto, così geometrica e raffinata. O addirittura, se come la sottoscritta, vi verrà voglia di tornare a Padova appositamente per visitarlo.

Sicuramente questo libro fa venire voglia di scoprire e di indagare, fa nascere nuove domande e fare ricerche per risolverle. Insomma, un bellissimo modo per approfondire un argomento ancora poco conosciuto coniugandolo con la realtà in cui chiunque di noi si può riconoscere. In fondo, questa non è la ricetta giusta per far nascere l'amore per un libro?

Inoltre bellissima l'idea di paragonare lo stato d'animo a similitudini con piante, fiori ed elementi della natura.

Non voglio svelare molto, ma vi dirò che alcune cose sulle piante io le ho potute scoprire ben più tardi dei protagonisti, nonostante fossi un'appassionata di Quark, quando ancora veniva trasmesso al primo pomeriggio e io fossi alle medie. Penso che all'epoca mi sarebbe piaciuto un sacco trovare un libro del genere negli scaffali di una libreria o di una biblioteca e chissà, al posto degli animali, avrei studiato magari le piante. Un universo meraviglioso e ancora poco conosciuto ai più. Inoltre, mi sono ancora più innamorata dell'Orto Botanico di Padova (anche se già lo conoscevo di fama) e penso che prima o poi sarà meta di una delle gite fuori porta.

Insomma, se volete fare un bellissimo regalo da mettere sotto l'albero, questo è uno di quelli che consiglio.

Ps ecco cosa si riporta nella scheda del libro e che riprendo volentieri in virgolettato "Si avvicina un traguardo storico che pochissimi atenei al mondo possono vantare: nel 2022 l’Università di Padova festeggerà il suo 800° anniversario! Per celebrarlo, ha dato il via a progetti da lasciare in eredità alle prossime generazioni, all’insegna dei suoi valori fondamentali: la libertà di ricerca e l’apertura al mondo. Tra le molte iniziative, ci sono "I libri dell’orto", pubblicazioni divulgative da noi edite e dedicate alle tematiche attorno a cui si è sviluppato l’Orto botanico di Padova, il più antico orto universitario del mondo (1545): con le sue 3500 specie botaniche, è un importante punto di ricerca per la conservazione della biodiversità. Questo progetto editoriale è pensato dunque per portare le conoscenze accademiche fuori dalle mura universitarie, e raggiungere così i ragazzi e le loro famiglie.


Scopri gli altri volumi della serie "I libri dell'orto": Con le mani nella terra, Amicizie nell'orto, Piante in viaggio, Voci dal mondo verde, Tra foglie e fogli."

lunedì 27 agosto 2018

"Il passaggio dell'Orso" di Giuseppe Festa, Salani


Leggendo "Il passaggio dell'orso" di Giuseppe Festa (Collana Gli Istrici, Salani editore, qui) mi sembra di essere tornata all'università quando avevo iniziato a fare una tesi nelle foreste del Casentino sulla dieta del lupo. Ricordo ancora con emozione quando ho camminato sola nel bosco trovando le sue impronte nella neve. Era passato di lì ed io ero l'unica a saperlo. Ricordo anche l'alloggio nella casa forestale, le chiacchierate al fuoco, unico riscaldamento. Un periodo memorabile. Poi ho cambiato tesi ma quel libro ha risvegliato in me ricordi sopiti da tempo e la visione di quel bosco immenso che ti ammanta e stupisce. Forse sono le stesse sensazioni che ha provato Giuseppe Festa quando ha passato da volontario un periodo al Parco nazionale d'Abruzzo.

Penso che ogni amante della natura e ogni futuro naturalista dovrebbe leggere questo libro perché gli si accenderebbe quella scintilla in più per fare qualcosa d'altro per l'ambiente. Per capire che oltre allo studio c'è prima di tutto la passione. Perché ci sono le persone e le loro esperienze che sono altrettanto importanti degli studi. Mi è capitato di provare ancora quelle emozioni poi quando sono andata a fare la mia vera tesi alla riserva Bosco della Mesola (sul Delta del Po) e ho conosciuto un forestale appassionato, che non riusciva a stare incollato alla sedia, ma doveva girare per la riserva per tutelarla. Ricordo l'eccitazione provata una notte ad aspettare i bracconieri che, giorni prima, avevano dimenticato il loro orologio nel bosco. Ricordo i suoni, i profumi. Le sagome degli animali che incrociavamo.
Ricordo anche gli anni passati come volontaria del WWF a Torre Guaceto (ora diventata Riserva) a fare i turni antincendio. Non posso ancora dimenticare il dolore provato nel vedere il fuoco lambire la spiaggia. Fuoco doloso.

Questo romanzo è scritto in modo poetico e sincero. La Natura è protagonista insieme agli uomini. Uomini di varia natura. I bracconieri, i saccenti e i sapienti, ovvero gli esperti, che che si sono costruiti suo campo (come erano le persone del corpo forestale, entre che ora è stato abolito). Persone che sono abituate a stare a contatto con la natura e altre che non hanno avuto questa possibilità.

Ognuno si immedesimerà in uno dei protagonisti: qualcuno nella bionda e sognante Viola, qualcun altro in Kevin il riottoso ragazzino viziato cresciuto senza natura, che scopre qualcosa di se stesso in quel magico posto. Altri in Sandro il forestale amante degli orsi, appassionato difensore del parco. Anche Valerio il saccente ricercatore, alla fine risulterà simpatico, grazie al modo in cui saprà farsi conquistare dalle persone e da quell'ambiente, riuscendo a comprendere anche lui cosa vuol dire davvero proteggere la natura. Ci si potrà anche immedesimare in Karhu, il giovane orso rimasto presto orfano con il fratello... Certo sarà difficile comprendere persone crudeli e grezze come il bracconiere, o quelle avide di soldi come altre... (non posso svelare troppo). Però tutte fanno parte dell'umanità e forse non potevano mancare per rendere credibile il libro.

Mi spiace solo da lettrice aver perso troppo presto le tracce di Viola e Kevin e forse aver saputo così poco della famiglia di Sandro che sembra quasi di contorno al romanzo anche se per l'autore sicuramente è una parte importante.

Quello che ho apprezzato di più è l'atmosfera che ti avvolge, le descrizioni del paesaggio e dei suoi abitanti che ti fa sembrare di essere lì. Il desiderio di andare a visitare quei posti e di tutelarli. Vi dico solo che sono rimasta incollata alle pagine una dopo l'altra e mi sono sentita un po' orfana, come Karhu alla fine della storia.

Qui di sotto trovate un'intervista che avevo fatto in occasione di Mare di Libri (qui), insieme a una cara amica, esperta di letteratura per l'infanzia (Alessandra Starace, alias Tata Libro qui)


lunedì 5 marzo 2018

“Dieci lezioni sulla poesia, l’amore e la vita” di Bernard Friot, Lapis edizioni

Leggere una poesia è ascoltarla con gli occhi; 
ascoltare è vederla con le orecchie 
Octavio Paz 


Dieci lezioni sulla poesia, l’amore e la vita” di Bernard Friot, Lapis edizioni è un libro che avvicina alla poesia, con una storia delicata che cattura piano piano. Il pretesto è un corso estivo di poesia che all’inizio spiazza - come ogni cosa bella - i giovani che partecipano quasi tutti “forzatamente” per motivi diversi agli incontri. Come si sa un grande maestro, quello che lascia il segno - e Friot è stato insegnante e quindi ha sperimentato sulla sua “pelle” - è quello che semina e cerca di accendere scintille. Così questo gruppo così diverso di bambini e ragazzini si ritrova ad appassionarsi pian piano seguendo le indicazioni dello scrittore Simon, un tipo all’apparenza anonima “magrolino, capelli corti, occhi grigi” che dà loro la possibilità di diventare protagonisti, proporre soluzioni alternative. Ed esprimersi attraverso gesti e soprattutto parole, parole che pian piano emergono sempre più fluide e libere con questi “esercizi” e allenamenti fino a coglierne il gusto (All’inizio avevo un po’ di paura di non riuscirci, poi sei venuto tu e mi hai detto "Lascia arrivare una parola nella tua mente”). In un ambiente adatto, qual è quello caldo della biblioteca, perché anche il luogo giusto conta, come sa chi si occupa di letture e laboratori.

In mezzo ad alcuni spunti che l’autore fornisce per iniziare i giovani lettori alla poesia (es. “se le parole evoca un’immagine nella testa, allora funzionano”) c’è una bellissima storia di amicizia e amore tra Kev e Marion, bella perché come tutte le storie reali inizia da piccole cose, piccoli sguardi, piccole complicità (“Restano zitti. Ma insieme. Cioè: sono dentro lo stesso silenzio, non ognuno per conto suo"), assonanze e stranezze. Infatti, Kev che a causa di una gamba rotta - per essere saltato dalla finestra - si trova a passare parte delle sue vacanze nel centro estivo di Montrond viene a incrociarsi con la ribelle Marion dal “viso allungato, lineamenti regolari, ciglia lunghe, una bocca un po’ carnosa, una espressione tesa, ostile. Tranne quando sorride”, alle prese con l’ansia per una nonna che sta morendo di cancro. Due anime inquiete che si troveranno a condividere piccole gioie e il dolore che spesso passa inosservato ai grandi alla ricerca della “normalità, come sempre”.

L’autore fa anche un regalo a tutti coloro che vogliano approfondire la poesia facendo riferimento a questo blog: http://diecilezionisullapoesia.blogspot.it

sabato 3 marzo 2018

"La figlia del dottor Baudoin" di Marie-Aude Murail, Camelozampa


"La figlia del dottor Baudoin" di Marie-Aude Murail, edito da Camelozampa (qui la scheda), come tutti i romanzi dell'autrice francese parte in sordina per catturarti subito nella sua trama, che tesse abilmente per tenerti con il fiato sospeso finché non sei giunto all'ultima parola. Un racconto corale in cui emergono diversi protagonisti.

C'è il dottor Jean Baudoin, medico di mezza età, che sembra ormai aver perso qualsiasi interesse per i suoi pazienti, a cui propina troppi farmaci e analisi inutili, che si trova incastrato in una vita famigliare che sembra essere impantanata nella routine e nella mancanza di dialogo. Una famiglia in cui ogni figlio (Paul-Louis, Violaine e Cerise) si ritira nella propria stanza, permeata dai mezzi elettronici che sembrano essere l'unico contatto con il mondo. E dove c'è una moglie (Stéphanie) ancora innamorata che non viene vista. Ci sono però alcuni passaggi, poche essenziali parole, che fanno emergere qualcosa di interessante in questo personaggio.

C'è poi il giovane dottor Vianney Chasseloup, che divide lo studio con Baudoin, con i suoi occhi d'asino, all'apparenza incapace nello svolgere il suo lavoro ma in realtà in grado di ascoltare i pazienti (qualità ormai rara e preziosa) e di curarli davvero (sia da mali veri, sia da tutto quello che crea malessere). Un ragazzo da un passato triste e una vita all'apparenza piatta, che non si sente all'altezza del suo ruolo, ma si conquista pian piano, grazie al suo modo di essere e ai valori in cui crede, un posto nel cuore di molte persone (non a caso è l'unico medico dell'ospedale - in cui presta servizio due pomeriggi alla settimana -che "tutti chiamavano per nome e baciavano sulle guance"...  e che in qualche modo crea una sorta di gelosia latente e un "caso Chasseloup").

E infine c'è Violaine, un'adolescente inquieta che scompagina la vita di chi le sta accanto, ma si mostra molto più matura di quanto possa sembrare, che nella fragilità della sua condizione si ritrova a dialogare con se stessa in una riflessione interiore che la accompagna pagina per pagina facendola trasformare in una giovane donna, abbandonando per sempre quel "paese dei sogni" che è l'infanzia. Una ragazza in grado di prendere una decisione difficile - decisione che gli adulti accanto a lei non sembrano capaci di supportare o contrastare in quel ruolo educativo che i genitori dovrebbero avere (chissà se con loro accanto la sua decisione sarebbe stata diversa?). Una diciassettenne che riesce con questa sua ritrovata consapevolezza ad avvicinarsi alle persone che ha accanto, facendo rinascere un dialogo che sembrava smarrito.

E poi ci sono personaggi "minori" non per questo meno importanti o meno adorabili, come la piccola Cerise, otto anni e una passione sfrenata per i giochini in cui si nutrono e allevano animali e bambini, disarmante nella sue riflessioni, che sa come stare accanto alla sorella con piccoli gesti dolcissimi; o Paul-Louis, altro fratello quindicenne di Violaine che "in quella terra di nessuno che era il suo cuore di adolescente, aveva conservato un posto per Violaine, la Violaine dei tempi in cui lui si chiamava Pilou".

La scrittrice riesce sempre a trattare con ironia, leggerezza - mai con superficialità -temi assai delicati, in un intreccio ben riuscito che fa appassionare.

Se qualcuno non fosse ancora convinto, vi invito a leggere anche la bellissima recensione di Monica Tappa qui (anche lei con le parole sì che ci sa fare!).

Ps Il romanzo è finalista al "Premio Scelte di Classe, categoria 14-16 anni" e  "Premio Orbil, categoria Young Adults"

domenica 26 marzo 2017

A BookPride2017, "Le coincidenze dell'estate" di Massimo Canuti e "Bellissimo" di Massimo Cuomo, Edizioni E/O


Nell'ambito di BookPride2017, la fiera dell'editoria indipendente, a Base Milano si è tenuta ieri 25 marzo la presentazione dei romanzi di Massimo CuomoBellissimo” (qui, in uscita il 7 aprile) e Massimo CanutiLe coincidenze dell'estate” (qui, in libreria da due settimane), pubblicati da Edizioni E/O.

Due romanzi completamente diversi tra loro, per le atmosfere, per lo stile di scrittura, per la psicologia e per quello che raccontano” come ha esordito la giornalista Elisa Giacalone, moderatrice dell'incontro “ma dovendo trovare dei fili conduttori, quello che li accomuna sono il viaggio e la ricerca dell'identità.”

La giornalista Elisa Giacalone con Massimo Cuomo, autore di "Bellissimo", Edizioni E/O.
Bellissimo Al centro della storia di Bellissimo c'è il rapporto tra Miguel e Santiago, due fratelli; siamo di fronte a una relazione che coinvolgerà non solo loro ma l'intera famiglia, Miguel è un bambino dalla bellezza stupefacente, quasi miracolosa; il fratello maggiore Santiago vede la sua vita letteralmente stravolta dopo la sua nascita, perché chiaramente vengono a mancare tutte le attenzioni che gli erano rivolte, ma soprattutto perché si imbatte in un carattere diverso dal suo. Miguel è esuberante, riesce a ottenere tutto quello che vuole dal padre, dalla madre, dagli amici e a scuola; mentre Santiago, che come fratello maggiore dovrebbe essere una guida, si ritrova dimesso, a ricoprire un ruolo secondario. La storia si svolge in Messico e richiama atmosfere magiche alla Garcia Marquez

La giornalista Elisa Giacalone con Massimo Canuti, autore di "Le coincidenze dell'estate", Edizioni E/O.
Le coincidenze dell'estate Nel caso de "Le coincidenze dell'estate" la narrazione si svolge a Milano. Ci imbattiamo nella storia di Vincenzo, un adolescente amante della musica e degli skate e, anche qui, abbiamo un percorso di ricerca della propria identità. Vincenzo non sa se è attratto dalle ragazze o dai ragazzi, non sa ancora quello che farà da grande e si imbatterà in Italo, un uomo di cinquant'anni che incontrerà nell'androne del suo palazzo, e con il quale intratterrà un rapporto di amicizia. Oltre a Italo e a Vincenzo, altro personaggio chiave è Evelina, un'anziana signora che abita nel palazzo e che insieme ai due ne "combinerà di ogni". Il romanzo in questo caso è incentrato sull'amicizia inaspettata tra tre personaggi di generazioni diverse: l'adolescente Vincenzo, il cinquantenne Italo, diventato barbone suo malgrado, ed Eveleina di circa ottant'anni. Si parla anche della difficoltà di crescere in una famiglia a pezzi, per via della mamma giornalista sempre in giro per il mondo e di un padre poco presente (Vincenzo di fatto cresce da solo); si parla anche della scoperta dell'omosessualità, del coraggio di uscire allo scoperto e di come riferirlo ai genitori. È quindi un romanzo che parla della scoperta delle identità.


Elisa Giacalone Massimo Cuomo, hai dichiarato che questo romanzo è molto differente dagli altri due, non solo per l'ambientazione, ma perché qui hai affrontato una ricerca più intima e più intensa della scrittura. Ci spieghi come è stato il percorso e come sei arrivato a "Bellissimo"?

Massimo Cuomo Buonasera a tutti. Per parlare di questo romanzo non posso non parlare dei libri precedenti, perché questo è un percorso nella narrativa iniziato da qualche anno; ogni volta è un'esperienza che mi arricchisce e mi fa capire quale sarà il prossimo passo da fare. Questo è il terzo romanzo e segue “Osteria senza parole”, da cui si differenzia completamente. Quest'ultimo è un libro a cui sono molto affezionato e a cui devo grandi soddisfazioni, che mi ha insegnato molte cose. Mentre lo presentavo in giro, qualcuno ha proposto di andare avanti con questa storia, proseguendo la saga sulla scia di quello che hanno fatto Malvaldi in Toscana o Camilleri in Sicilia con le storie dei bar e delle osterie riportate in letteratura. Io ho invece pensato che la storia si fosse esaurita.
Avevo voglia di mettermi nuovamente alla prova, scrivendo qualcosa di diverso e sono rimasto in attesa che questa storia arrivasse. È successo un pomeriggio, sull'isola dove mio fratello si sposava. Io ero il suo testimone di nozze e sono andato sull'altare a fare un racconto, sostanzialmente una breve relazione sul nostro rapporto, una relazione complessa che ci ha portato a diventare oggi i due migliori amici, ma che è stato anche un percorso tortuoso e complicato.

Il racconto che ho fatto quel giorno è stato talmente intenso e intimo, che hanno iniziato a piangere tutti, anche quelli che non ci conoscevano, dal fotografo alla ragazza del catering. Allora ho compreso si trattava di qualcosa di forte, che andava raccontato in maniera completa. Così ho trovato la mia storia, poi ho fatto di tutto per allontanarla da me, in modo che non sembrasse un'autobiografia, un po' perché penso che sia quello che gli scrittori debbano fare – cercare di nascondersi tra le pagine – un po' perché essendo un racconto molto intimo ho cercato di non scoprirmi e non mettermi troppo in mostra. Quando ho mandato il manoscritto a mio padre ho fatto questa premessa: questa famiglia non siamo noi. Premessa necessaria perché la famiglia del romanzo è molto diversa dalla nostra, ma la relazione fra i fratelli ha risentito molto di quella che è la storia mia e di mio fratello.
Per distaccarmene il più possibile ho ambientato la storia in Messico, anche perché quando ho capito che volevo incentrare questo racconto e questo rapporto sulla bellezza incredibile - quasi surreale e mistica - di Miguel, mi è sembrato perfetto quel posto dove ancora il misticismo è forte; almeno lo era dieci anni fa quando l'ho attraversato nel corso di un viaggio incredibile tra Chapas e Yucatan (il romanzo è ambientato nello Yucatan). Mi è sembrato il posto perfetto per raccontare questa storia, anche per darle quel respiro magico che volevo. Sono molto felice che questa parola (magica) sia stata usata anche dall'editore.

Elisa Giacalone A proposito di magia colgo l'occasione per leggere un pezzo del romanzo, l'incipit, perché da lì respiri l'atmosfera e vedi quel rapporto che c'è tra Miguel e Santiago, quindi entriamo "per direttissima" nell'anima di questi due personaggi piccoli, perché Miguel ha zero giorni e Santiago ha appena cinque anni.

Dietro il vetro c'è la faccia di Miguel, zero giorni, davanti al vetro c'è la faccia di Santiago, cinque anni. La sua espressione stupita si riflette sulla vetrata assieme al neo sulla guancia destra, come il bottone di una camicetta, come il punto di domanda. E la domanda che pensa Santiago osservando il fratellino nella culla oltre il vetro è una soltanto: perché è così bello? Lo pensano tutti in effetti. Che sia bello in un modo speciale, i grandi sopra la testa di Santiago lo ripetono ad alta voce come una cantilena. Chiunque si muova lungo il corridoio dell'ospedale e si trattenga davanti alla vetrata a un certo punto lo dice “è bellissimo”.  Lo è nel confronto impietoso con i sette neonati che gli stanno intorno, cinque maschi e due femmine, alcuni davvero brutti, ciascuno bello solo per la loro madre. Miguel invece è bellissimo per tutti senza margine di dubbio”.
Già qui entriamo in questa bellezza stupefacente che ritorna nel resto del romanzo.



Ora passiamo la parola a Massimo Canuti, alle sue Coincidenze dell'estate.
Non sei alla prima esperienza come romanziere – prima esperienza con la casa editrice E/O – ma avevi già scritto “Contro i cattivi funziona” (edito da Instar Libri, ne ho parlato quiqui, ndr). Come sei arrivato a questo secondo romanzo?


Massimo Canuti Anche in questo caso l'idea è nata da un'esperienza personale, o meglio, da una sensazione. Quella che si prova quando si entra negli androni in estate, quando fa molto caldo. Tant'è che una volta ho pensato, come sarebbe bello se portassi il materasso e dormissi lì. 
Da lì l'idea...  se ci fosse veramente qualcuno che ha necessità di rinfrescarsi? Nell'arco del tempo la storia è cresciuta mentre la scrivevo. Spesso quando ho una traccia nella mente, la vedo nascere e crescere solo quando la “metto su carta", un'espressione che ora non si usa più, insomma, quando inizio a scrivere sulla tastiera. In questo caso il romanzo è ambientato a Milano, perché è la mia città, e anche perché è una città che a volte è molto calda in estate, e mi è sembrato lo scenario giusto. Pian piano sono nati i personaggi, come Italo, che suo malgrado si ritrova a vivere per strada in questo periodo difficile e improvvisamente si imbatte in questo androne che per lui diventa proprio una casa, anche perché trova qualcuno disposto a ospitarlo. Da lì nasce una storia di amicizia con Vincenzo.
Il tema dell'adolescenza mi appartiene, anche nel primo libro il protagonista è un adolescente, anche se un po' più piccolo, ma è qualcosa che mi viene facile raccontare.


Elisa Giacalone Ci fermiamo a questo misterioso incontro tra Vincenzo e Italo, misterioso barbone perché non lo sa nemmeno lui perché ha perso la memoria. Ecco perché torniamo al discorso dell'identità perché o i personaggi la stanno cercando o l'hanno persa. E fanno qualcosa per conquistarla o per riconquistarla, come Italo. A questo proposito leggiamo un pezzetto, il momento in cui Vincenzo si imbatte in Italo, sul pianerottolo del proprio palazzo.

Quando esce sul pianerottolo capisce cos'era che lo bloccava.
Il corpo di un uomo.
Vincenzo nota una camicia, per terra, sporca e strappata. Si avvicina al corpo.
La puzza è al limite del fetore. Devono essere giorni, settimane che quell'uomo non si lava. Ha la barba lunga, i capelli grigi. Non riesce a guardarlo bene in faccia per via della posizione bocconi. Anche se a occhio e croce non deve superare i sessant'anni. Forse è morto per la caduta. Si china per controllare se respira.
L'uomo si volta rivelando la sua faccia.
Vincenzo lo osserva. All'inizio quel volto nascosto dalla barba non gli dice niente. Poi però appare qualcosa. Un'immagine di qualche tempo fa.
Non ha dubbi. Quell'uomo l'ha già visto."

Scoprirete poi perché lo riconosce, i due si conoscevano.

Elisa Giacalone Continuando sul filone degli aspetti in comune, una cosa che mi è sembrata avessero è la famiglia. Nel primo caso Miguel e Santiago vivono in una famiglia con due genitori completamente diversi tra loro, nel secondo caso la famiglia si può dire che quasi non esista, non solo nel caso di Vincenzo ma anche in quello di Evelina, perché si scoprirà che anche lei non ha una famiglia solida alle spalle.

Andiamo ora allo stile di scrittura dei due romanzi, partendo dal primo: Massimo Cuomo tratteggia i personaggi, li disegna, ha la capacità di scolpirli, delinearli come quasi fossero in una pellicola. Quanto hai lavorato ai personaggi, visto che a quanto vedo c'è quasi una cura maniacale non solo per quanto riguarda le movenze ma anche il fisico. Ti chiedo se hai sempre lavorato così o se questo romanzo ti ha richiesto maggiore cura.



Massimo Cuomo Do una risposta che parte da lontano, dal mio primo romanzo e che ho raccontato anche nel caso del secondo. Nel primo romanzo tutti mi dicevano “Scorrevole ma non banale”, era un commento bellissimo ma sentivo il desiderio che qualcuno mi dicesse anche “Scritto bene”. Quando mi sono messo a scrivere “Piccola osteria senza parole” ho lavorato sullo stile attraverso un percorso che avevo fatto nei due anni precedenti anche di analisi del testo degli altri;  si dice spesso che quando uno inizia a scrivere perde un po' il gusto della lettura perché lo fai in maniera critica e cercando di capire come migliorare la propria scrittura. Anche se ho la sensazione di scrivere così da quando ero ragazzo, sto cercando di limarla. A questo romanzo sono arrivato con il desiderio di fare un passo ulteriore, per arrivare a un pubblico che ho conosciuto negli ultimi due anni, di cui mi sono innamorato, quello dei librai indipendenti che sono un pubblico di lettori forti: ho scoperto che se riesci a conquistarli poi ti regalano tanto in termini di diffusione del tuo romanzo e ho capito che quella è la cosa che più mi interessa. Ieri sera ero a una presentazione a Venezia dove c'era un libraio che ha uno scaffale che ha chiamato “Mai senza”, dove conserva i suoi romanzi preferiti, che sono 500. Ho capito che mi piacerebbe tanto entrare in quelli scaffali, perché è l'unico modo per sopravvivere ai tre mesi di vita media che ha un libro in libreria, per le logiche del mercato attuale.

Ho cercato quindi di scolpire ancora di più la mia scrittura ed è il motivo per cui sono molto lento, non solo perché ci metto tanto a trovare una storia, quanto perché ci metto molto a scriverla. In questo caso mi sono ritrovato a lavorare su una mezza pagina per un'intera giornata. Ho capito che questo è l'unico modo per migliorare la scrittura: lavorare sui singoli dettagli in questo modo. Spero che questo lavoro "arrivi". Rispetto al passato, ho scritto con le cuffie alle orecchie, ho cominciato – per respirare quelle atmosfere – ad ascoltare la musica cubana e altre canzoni attinenti. L'arte influenza l'arte. Ho la sensazione e la speranze che un po' di quella musica sia riuscita ad arrivare al mio romanzo. Non mi sono mai emozionato così tanto e spero che questo abbia aiutato.



Elisa Giacalone La si sente e la si respira quell'atmosfera. Leggiamo un brano in cui si delinea la figura del padre e della madre. Vedrete in poche righe come si tratti di due persone così diverse.
"Vincente Moya non sorride, perché non sorride mai. Guarda il figlio come se aspettasse che a dire qualcosa per primo fosse Miguel, che allunga le dita sui baffi folti dell'uomo, li tira quasi per strapparli, facendogli appena il solletico, e gli strappa invece un sorriso. Splendido, rarissimo, prezioso."

"Maria Serrano non è mai stata bella. E da quando si è maritata a Vincente Moya lo è meno ancora: è diventata solamente la moglie brutta di un marito bellissimo. Così, non appena Miguel le atterra finalmente addosso, lei pallida e consumata dallo sforzo del parto, in un momento è chiaro che da ora sarà pure la madre brutta di un figlio bellissimo. Se le prestassero uno specchio, se le mostrassero l'immagine che produce il primo abbraccio col suo neonato, forse, lo scoprirebbe anche lei. O forse no, perché Maria certe cose non sembra in grado di vederle. Sui gradini della chiesa, in bianco sorrideva e basta, come sorride adesso, come sorrideva cinque anni fa, quando fra le braccia le atterrò il piccolo Santiago.
Santiago, appunto, che entra nella stanza numero sei dietro a tutti, più basso di tutti, senza che nessuno si accorga di lui. Nessuno tranne Maria Serrano, che certe cose non sembra vederle ma le vede sempre."

Vedete già come in contrapposizione abbiamo il sorriso. Una donna che sorride quasi non fosse presente a se stessa, con un sorriso quasi imbarazzato, e il marito invece che non sorride mai e forse per la prima volta ha sorriso quando ha preso in braccio il suo secondogenito. Anche qui tutta la contrapposizione tra i due caratteri e gli stili di vita e di educazione dei due figli.



Andiamo a vedere i personaggi di Massimo Canuti: quanto ci hai lavorato, come sei arrivato a delinearli e a descriverli.

Massimo Canuti: diversamente da Massimo nel mio caso mi viene piuttosto facile buttare giù una trama. Il romanzo l'ho scritto si può dire in un paio di mesi, ovviamente era da riscrivere (il vero lavoro è la riscrittura), però c'era già tutto. Evidentemente ho questa capacità. Ovviamente da lì a dire funziona e va bene ce ne vuole.
Nel mio caso trovo che ci sia continuità con il primo libro anche se anch'io volevo fare un passo avanti, in termini di complessità, anche se la scrittura è simile.
La mia scrittura è molto leggera e scorrevole, mi piace che sia così, i libri che amo di più sono quelli che hanno tanti dialoghi, che fanno parlare i personaggi perché le storie sono mosse dai personaggi che fanno la storia, giorno dopo giorno, tendo invece a limitarmi nelle descrizioni. Faccio sempre in modo che siano i personaggi a condurre la storia. Non a caso, anche in questo romanzo è molto “dialogato”; penso che questo sia un pregio: la spontaneità, la leggerezza con cui si esprimono. Vorrei che fosse sempre così.

Massimo Cuomo: sto leggendo il tuo romanzo e ho apprezzato la capacità dei dialoghi che io in realtà ho perso nel tempo, spinto dalla ricerca della descrizione perfetta, riduco i dialoghi a battute. Mi accorgo che sto andando in quella direzione. Recentemente ho visto un film È solo la fine del mondo di un regista giovanissimo, Xavier Roland, mi ha colpito molto perché è un film senza dialoghi, fa esprimere le relazioni tra le persone attraverso sguardi lunghissimi, in cui si alza la musica, e io ho provato un'emozione fortissima. Ho visto gente che si alzava e usciva. Io mi sono emozionato perché è esattamente quello che vorrei fare: riuscire a comunicare un'emozione e un sentimento attraverso la descrizione di uno sguardo.

Elisa Giacalone Una curiosità: la componente circense che compare in entrambi i romanzi... Nel caso di Bellissimo abbiamo il papà che – non si capisce se nella realtà o in un evento onirico – a un certo punto scapperà con una contorsionista lasciando in sogno la moglie, durante un pomeriggio in cui era andato al circo con la famiglia.


Nel caso di Le Coincidenze dell'estate la sorella di Vincenzo, Serena, scappa con un giocoliere, che ha lavorato al circo.

Leggiamo quindi un momento di gioco circense in un ambiente inusuale, quello di un ospedale, il Fatebenefratelli.
Da sinistra, Sandro Ferri, editore di E/O, e Massimo Canuti.

Massimo Canuti allo stand di Edizioni E/O.

giovedì 27 ottobre 2016

"Una vacanza quasi perfetta" di Anne Percin, Giralangolo


Diciassette anni, Maxime, per scampare all'ennesima vacanza in Corsica con i suoi genitori -supportato da Alice, la sorella più piccola che ha le idee più chiare di lui (passare del tempo in una colonia estiva con la sua migliore amica) - preso alla sprovvista, decide di trascorrere luglio e agosto con la nonna, in un quartiere poco distante da Ivry, un comune alla periferia di Parigi (link). Pochi chilometri separano i due edifici ma la distanza sembra siderale "Il quartiere Kremlin-Bicêtre pur essendo solo a qualche fermata di autobus da Ivry, per me era come se fosse oltre le steppe degli Urali. È lontano ed è bello perché laggiù c'è un giardino, e in quel giardino c'è un ciliegio, e in quel ciliegio c'è un gatto. ... E in mezzo al giardino, tra la strada e il ciliegio sorge ben dritta la casa di nonna Lisette, con le finestre dalle imposte di legno e il cancelletto arrugginito che cigola." Naturalmente quella abitazione nasconde una serie di tesori molto più cari al ragazzo, come l'intera collezione di libri di Agatha Christie, fumetti ingialliti a non finire, una "soffitta di scatole dal contenuto bizzarro, perché la nonna è stata maestra di scuola", una camera insonorizzata, e una stanza con il computer quasi nuovo da cui scaricare "film nell'illegalità più completa".

Così inizia in sordina il periodo di svago di Maxime in "Una vacanza quasi perfetta" di Anne Percin (edito da Giralangoloqui), un libro che propone in modo ironico come riuscire a crescere affrontando le piccole e grandi sfide che la vita ci riserva. Se infatti a Maxime si prospettano solo ore di ozio, nottate a chattare con gli amici, rintanato nel suo guscio ad ascoltare e comporre musica con la chitarra, il giovane si ritroverà all'improvviso catapultato in un'esperienza al di sopra delle sue aspettative.
Infatti, dopo la prima settimana tranquilla, in cui viene coccolato e vezzeggiato, lasciato libero di curiosare e di scoprire la vita piena che Lisette ha al di fuori delle faccende quotidiane, Maxime subisce un vero e proprio straniamento quando, un pomeriggio, si ritrova in cucina avvolto da un forte odore di caramello e dai vapori di fumo che si levano dalla pentola di rame sul fuoco:"Una vera marmitta da strega". Ma le sorprese sono appena iniziate, perché, evitato l'incendio, andando alla ricerca della nonna, la troverà accasciata e priva di sensi nel sottoscala alla "Harry Potter". Di fatto la nonna finisce in ospedale, e il lettore segue con grande interesse la serie di gag esilaranti che capitano una dopo l'altra al giovane protagonista, alle prese non solo con la polizia ma anche con le cartine dell'ospedale...

Inizia così un'estate diversa, in cui un adolescente si troverà ad affrontare da solo insolite avventure, dalla gestione quotidiana di una casa dove qualche ora prima era un semplice ospite - alle prese con le prime esperienze culinarie (con qualche sorpresa gastronomica), una caterva di panni sporchi o con lo scaldabagno che non funziona - alla relazione con la nonna, che all'inizio sembra avere perso la memoria, ma pian piano riuscirà a riprendersi, passando da un reparto all'altro.
Il ragazzo saprà cavarsela egregiamente e, senza volerlo, scoprirà una verità scomoda sulla sua famiglia, che metterà in discussione l'immagine "stereotipata" e forse "edulcorata" delle persone care, che celano molti più segreti di quanto uno possa immaginare.

Nel romanzo non manca anche una parte dedicata alla prima "cotta" che, come a volte succede, nasce da un'iniziale ostilità e dal pregiudizio, per trasformarsi in qualcosa di imprevisto, e quindi, ancora più bello ed emozionante.

Il libro, raccontato in prima persona, è bel mix di descrizioni sceniche, note ironiche e riflessioni non prive di emozioni e commozioni del protagonista. Lasciato in balia di se stesso, Maxime a volte è in preda alla nostalgia e alla solitudine, senza però lasciarsi mai prendere dallo sconforto e, grazie alle energie ritrovate, riuscirà a scoprire quanto sia in grado di badare a se stesso e agli altri molto meglio di quanto pensasse, perché "Bisognerebbe smettere di credere che prima dei vent'anni siamo dei vegetali."

Questo romanzo incolla il lettore pagina dopo pagina facendosi "divorare" in poco tempo con molta piacevolezza, senza togliere spazio alla riflessione, dimostrando come i giovani, lasciati liberi di agire senza pre-giudizi, siano capaci di sorprendere.
Non a caso il libro dell'autrice francese, ha ricevuto un riconoscimento in Francia (qui il suo commento in francese), e sono lieta che sia finalmente uscito nella versione italiana grazie a Giralangolo.

Per chi ne vorrà fare buon uso, ecco anche un link (qui) che suggerisce una serie di approfondimenti sui temi trattati e collegamenti utili (sempre in francese) specie a studenti e insegnanti.

sabato 27 febbraio 2016

Alla Feltrinelli Duomo Amélie Nothomb ed Elasti per parlare de "Il delitto del conte Neville", Voland


Affollatissima la sala incontri alla Feltrinelli Duomo mercoledì 24 febbraio: persone sedute sulle sedie, per terra o in piedi. Tutte pronte ad ascoltare dal vivo la scrittrice Amélie Nothomb - con la traduzione in simultanea di Roberto Lana - a rispondere alle vivaci domande della giornalista Claudia De Lillo, ai più nota come Elasti, per presentare l'ultimo piccolo grande capolavoro "Il delitto del conte Neville", edito dalla casa editrice Voland (qui il sito).


Un tour sta portando l'autrice belga, cresciuta in parte in Giappone, nel nostro Paese, e lei non dispensa conversazioni e autografi, facendo una maratona tra le librerie che la ospitano...

Madrina della presentazione è stata Claudia de Lillo che ha esordito ringraziando sia Amélie Nothomb per la sua presenza, sia il pubblico in sala dicendo che "credo che anche per una scrittrice abituata alle folle, le conferme dell'affetto siano sempre un regalo. Grazie anche a chi ha avuto l'idea di invitarmi qui perché io sono una grande lettrice e fan di Amélie, quindi sono grata di questa occasione. Cercherò di essere professionale e di resistere alla tentazione poco nobile di abbracciarla, "toccacciarla"... 
Amélie è reduce da una maratona di firme... 
Come sta?
Amélie Sono in estasi. Lavorare in Italia per me è una vacanza!

Claudia de Lillo Entriamo subito nel vivo. "Il delitto del conte Neville" racconta la storia di un nobile, un conte che fa un'ultima festa nel suo castello perché, purtroppo, è costretto dalle sue finanze a vendere il castello, fa questa ultima festa, ma una veggente gli fa una terribile premonizione. Gli dice che durante la festa ucciderà uno degli invitati. E questa cosa è terribile!Vuole continuare lei Amélie?...
Amélie Sì, perché anche se è terribile per il povero conte scoprire che ucciderà qualcuno - il che può succedere a chiunque - scoprire invece che ucciderà un suo ospite, questo sì che è inaudito!... C'è un'aspetto autobiografico in questo racconto, perché i miei genitori tenevano ricevimenti con 1000 persone al mese, sin dalla mia più tenera infanzia, ed è da lì che è nata l'idea, il "fantasma", ovvero il desiderio di uccidere un invitato.

Claudia de Lillo Questo libro, oltre ad avere un lato autobiografico di cui poi parliamo meglio, è anche un omaggio - se così dsi può dire - a Oscar Wilde - c'è un delizioso racconto "Il delitto del Lord Arthur Savile", che vi consiglio di leggere: anche il nome "Neville/Savile/Nothomb sembra avere una radice comune...
Amélie Sì, il mio cognome Nothomb è di lontana origine britannica e Nothomb deriva da Neville ovvero da "New Town"/Nuova città, il conte Neville è evidentemente mio padre e con questo libro regolo i conti con la mia famiglia.

Claudia de Lillo Facciamo un gioco di porte scorrevoli... questo racconto potrebbe in qualche modo raccontare la sua vita se invece di aver avuto la storia esotica in Giappone e altrove, fosse nata e cresciuta in Belgio? C'è qualcosa di Serieuse, che è la figlia del conte, un'adolescente assolutamente paradigmatica degli adolescenti?
 Amélie Sì, è vero. E' il racconto di come potrebbe essere stata la mia adolescenza se fossi cresciuta in Belgio. Io sono cresciuta in estremo Oriente; talvolta mi immagino cosa ne sarebbe stata di me, se fossi vissuta in Belgio, un Paese così incomprensibile: sarebbe stata una vera catastrofe.

Claudia de Lillo Restando in Belgio - un Paese per quanto piccolo e per quanto in Italia non sia ben conosciuto - un Paese estremamente moderno, anche solo per quanto riguarda i diritti civili o l'eutanasia... ma leggendo il suo libro è un Paese con tradizioni estremamente forti e antiche. Quanto si sente belga lei e cosa significa sentirsi belgi?
Amélie Ho finito per capire che ero profondamente belga... Ti senti belga quando ti senti goffa e patetica. Con il passare degli anni mi sento sempre di più belga. E' vero che c'è il cosidetto "paradosso belga", perché se da un lato siamo all'avanguardia per certi aspetti morali- nel 2003 è stata approvata la legge sul matrimonio degli omosessuali, e nessuno ha reagito in nessun modo a queste leggi, nonostante ci siano molto stupidi in Belgio, lo stesso vale per l'eutanasia - ma siamo al tempo stesso medievali, perché sono stata ricevuta pochi giorni fa dalla regina del Belgio e tutti hanno gioito di questo avvenimento. Un Paese davvero paradossale!
 
Claudia de Lillo Nel libro la descrizione della nobiltà belga è in parte spietata, ma anche in qualche modo "pacificata", a tratti quasi affettuosa. Cosa hanno detto i suoi? Recentemente, tra l'altro, è diventata baronessa e non le spettava di diritto...
Amélie Giuro che non c'era affatto premeditazione... Nessuno mi crede quando lo dico. Non volevo assolutamente diventare baronessa. Quando ho scritto il libro non ero baronessa e non volevo assolutamente diventarla. Quando il re mi ha insignito del titolo di baronessa, è stato incredibile. Questo mostra l'umorismo di questo Paese, perché in questo libro mostro tutto il lato ridicolo della nobiltà belga, che è ancora più ridicola di altre forme di nobilità. E non ho fatto a tempo a scrivere il libro che il re mi ha incoronato baronessa...

Claudia de Lillo Attraverso Sérieuse racconti l'adolescenza. Sarà che io ho un figlio che si sta affacciando al mondo dell'adolescenza, quindi devo dire che vista da fuori è un'età molto affascinante, vista da dentro molto meno probabilmente, che memorie ha della sua adolescenza e qual è l'età in cui è stata più "comoda" nei suoi stessi panni?
 Amélie Non ho un solo ricordo bello della mia adolescenza ma penso che questo sia successo a tutti. Non so come ho fatto a sopravvivere alla mia adolescenza ma è una domanda che pongo anche agli altri. Come ci siete riusciti? (rivolgendosi al pubblico). E' una domanda che non ha risposta.
 
Claudia de Lillo E se dovesse scegliere un'età in cui cristallizzarsi? Quale sceglierebbe dagli zero agli anni odierni?
Amélie Nel mio caso due anni e mezzo. E' stata la mia età della perfezione (... l'età raccontata nel libro "La metafisica dei tubi"). 

Claudia de Lillo Parlando di anni e date, sono affascinata da questa descrizione: "1975. Esiste una frontiera temporale tanto più insormontabile in quanto non ufficiale che divide l'umanità in due specie che potrebbero non capirsi mai. Collochiamola arbitrariamente nel 1975. Ben consapevoli dell'estrema variabilità della data a seconda dei Paesi e degli ambienti. E' il confine che separa i bambini nati per sedurre dai bambini nati per essere sedotti. Io trovo geniale questa descrizione. Entrambe siamo nate in un'età un po' sfortunata. Ho letto, non so se sia vero, che suo fratello la "sfrutta" per i suoi nipotini nati dopo il 1975 come "spauracchio", dicendo "adesso arriva la zia Amélie... E' vero?
Amélie Non ho figli ma in compenso mio fratello ne ha sette. Ho dovuto imparare a diventare zia. E l'unica maniera possibile è questa: sono diventata la zia spaventosa. Faccio terrore ai bambini e ho scoperto che mio fratello mi "sfrutta" per terrorizzare i suoi figli: per esempio "mangia la minestra altrimenti chiamo zia Amélie... In effetti funziona molto bene.



Claudia de Lillo Tornando un secondo alla nobilità, leggerei un passo molto rapido per introdurre la domanda: 
All'età di otto anni Henri - il conte Neville si chiama così - aveva rivolto una domanda terribile al padre. Non era "Babbo Natale sono i genitori?" 
"Non era neanche Come si fanno i bambini?"
" Era molto più grave: papà, cosa vuol dire essere nobili?" 
Aucassin aveva rivolto verso di lui uno sguardo penetrante. "Secondo te, figlio mio, che cosa significa?" 
"Non lo so. Rifletti"
Il bambino azzardò "Non so. Perdere il castello?"
"Ma no, insomma" risposte il padre con disprezzo.
Tanto che il bambino si domandò perché si dissanguassero per abitare a Pluvier
"Rifletti bene" ordinò Aucassin.
"Essere di buona famiglia?"
"Non basta"
Henri abbassò la testa assolutamente confuso.
Il padre alla fine dichiarò con voce minacciosa "Essere nobili, figlio mio, non significa che si hanno più diritti degli altri, significa che si hanno molti più doveri".
Ecco, in qualche modo è entrato dentro di lei questo discorso sulla nobilità?Gliel'hanno trasmessa anche i suoi genitori l'idea che si hanno più doveri degli altri?
Amélie La mia situazine è paradossale. Faccio parte di questo mondo nobiliare, ma al tempo stesso non ne faccio parte, in quanto donna, in Belgio il titolo nobiliare non è trasmesso alle femmine a meno che le donne non sposino un nobile. Io rappresento un'eccezione perché il re del Belgio mi ha assegnato questo titolo. Quindi, ma aderisco a questi dettami, penso che sia per questo motivio che mi lascio totalmente "tartassare" dagli editori, penso di avere più doveri degli altri scrittori, più interviste da rilasciare, e si presta a firmare autografi ai lettori...


Claudia de Lillo Sempre a questo proposito, citando Proust nel libro, parla del "Dongiovannismo dell'aristocrazia" e lo spiega molto bene come una specie di compulsione a sedurre; anche il talento nell'ospitalità del protagonista è l'idea di far sentire l'invitato la persona più importante del mondo. Questo un po' si riallaccia anche al discorso del suo rapporto con i lettori...
Amélie Sì, ho l'impressione che l'unico scopo della nobiltà sia il ricevimento; l'unico scopo sia invitare ed essere invitati, e che quando si invita hanno il dono di far sentire l'ospite unico, amato, farlo sentire a suo agio... L'unico aspetto terribile è la paura di non poter più invitare o non essere più invitati... Mio padre faceva lo stesso quando invitava gli ospiti, mostrando una grazia infinita; ma in privato, tra me e mio padre non succedeva nulla di speciale. La mia vita è piuttosto diversa, penso che il fantasma di uccidere un invitato, che mi ha accompagnato per tutta la vita, sia proprio dovuto a questo. Ma ho avuto sempre troppa paura di uccidere un invitato: vi assicuro che non ho nessuna intenzione di uccidere nessuno... ma è per questo che non invito mai nessuno, per la paura che questa compulsione possa mietere delle vittime...

Claudia de Lillo Tornando al rapporto con i lettori, questo è il 24simo libro pubblicato; sono ormai tanti anni che Amélie Nothomb è una star, immagino che i lettori siano tanti e che a volte siano invadenti, noisi...E allora mi chiedo: non si stufa mai di questo popolo che la circonda, non solo affettuoso ma anche invadente? E poi... Se pensa ai lettori quando scrive, se in qualche modo pensa a loro o risponde a un bisogno interiore?
Amélie Rispondo prima alla seconda domanda: No. Amo molto i miei lettori ma quando scrivo non penso a loro. Scrivo molto di più di quello che pubblico. Sto per scrivere il mio 85simo romanzo, ne ho pubblicati solo 24. Non c'è quindi un intento di premeditazione o seduzione quando scrivo. Quando scrivo non penso che alla "musicalità" della scrittura.
Quando sono al momento di pubblicare, allora sì, mi pongo la questione e penso al mio pubblico, se quello che ho scritto può interessare. E' una questione delicata e istintiva, non è sempre falice capire se quello che stai per pubblicare piacerà al tuo pubblico.
E per rispondere alla prima domanda questa è la mia risposta: il pubblico è soffocante? Mi regolo ultimamente con lo Champagne.... Una buona collezione di Champagne crea un'atmosfera festosa che mi permette di vivere in uno stato di completa incoscienza (è ben descritto nel romanzo precedente, nota del traduttore...).

Claudia de Lillo Oggi avrà incontrato moltissimi lettori; qual è la cosa le fa più piacere, che la sorprende sempre e che le fa dire "Ah, questo da un senso al mio lavoro".
Amélie Una cosa che mi viene detta spesso e che mi fa un piacere immenso è "da quando leggo i tuoi libri, ho ricominciato a leggere."
Sono consapevole che, grazie a me, molti si sono riaccostati alla lettura.

Claudia de Lillo In questo, ma anche in molti altri suoi libri, c'è il destino. Il conte Neville non mette in dubbio neanche per un istante che il suo destino sia quello di uccidere un invitato. Anche per lei il destino è così importante il destino.
Amélie Credere al destino, al fato è il difetto professionale di tutti gli scrittori. Sono come il conte Neville, non posso neanche accostarmi a un veggente o un medium o leggere un oroscopo perché mi senterei in dovere di obbedire alle predizioni.


Claudia de Lillo  Pétronille, che è la protagonista di un altro libro, amica scrittrice e compagna di champagne di Amélie, un altro romanzo dice "Per essere scrittori di successo non basta il talento, ci vuole la follia".
Amélie E' vero, bisogna essere un po' folli. Ma non basta. Non è così semplice. Il successo è qualcosa di ingiusto, complicato e incomprensibile. Non è che io non sia felice di avere successo e non dico di non meritarlo.
Ma lo merita anche Pétronille e non ha successo.
Ma con quel libro faccio giustizia, cerco di dare successo a una persona di talento. Denuncio un'ingiustizia e, attraverso questo romanzo, cerco di ristabilirla. Mostro chi è Pétronile, che è una persona in carne e ossa, una scrittrice edita da Voland, che si chiama in realtà Stephanie Hochet (qui il link ai suoi libri). Quando gliel'ho scritto e le ho chiesto se potevo pubblicarlo, lei mi ha risposto "Fai bene a farlo, per la prima volta parli di un soggetto importante".

Claudia de Lillo Questo va un po' contro alla risposta precedente sul destino... Ha mai pensato che cosa avrebbe voluto fare se non avesse scritto?
Amélie Domanda difficile... All'inizio, come sapete, volevo essere Dio, fino all'apoteosi. Poi la carriera di essere Dio è andata alle ortiche, è stata un fallimento, e ho deciso di diventare martire. E questo ha funzionato. Sono diventata martire in un'azienda giapponese (lo racconto in "Stupori e tremori"). Poi sono diventata scrittrice di Voland (che non è un martirio - aggiunge Roberto - e lei risponde "una via di mezzo...").

Claudia de Lillo C'è una leggenda che aleggia, ma mi piace credere a tutto quello che si scrive su di lei...

Amélie ha ragione.

Claudia de Lillo La sua routine letteraria prevedere che lei si alzi alle quattro del mattino e scriva per quattro ore... ogni vero scrittore dice che ci vuole estrema disciplina. Ora io so quanto sia faticoso alzarsi alle quattro, non per volontà mia ma perché lavoro alla radio (NB è conduttrice del programma radiofonico Caterpillar su Radio 2). Ci vuole raccontare dopo le otto del mattino qual è la vita di una scrittrice vera?
Amélie Dopo le otto? Prima di tutto mi vesto, perché scrivo in pigiama arancione, poi vado nella sede della casa editrice Albin Michel e poi mi metto a leggere le lettere che ricevo - ne ricevo in effetti diverse... - e questo mi prende diverso tempo perché non rispondo con l'email ma a mano, per lettera. E' un lavoro durissimo, anche se mi piace molto, e mi occupa molte ore. Quando decido che ne ho scritte abbastanza per quel giorno, è già pomeriggio e allora inizia la "vita dannata", e il suo incontro con lo champagne...
 

Claudia de Lillo Qualche anno fa sulla mia strada ho incontrato un'insegnante meravigliosa che mi ha detto una grande verità, riferendosi agli scrittori, ma che vale anche per tutti. Ci disse "diffidate di chi porta pantofole a forma di cane e di chi non ha una visione del mondo. Ora, io sono sicura che lei non porti pantofole a forma di cane...
Amélie Brava!

Claudia de Lillo Detto questo, scansato ogni dubbio. So che è difficile. Se dovesse dire qual è la visione del mondo che vorrebbe emergesse dai suoi libri; una volta ha detto "Il metodo per sfuggire al principe azzurro"...
Amélie E' una domanda difficile. Prima dicevo che non avevo una risposta. Ma oggi i professori mi mandano così tanti adolescenti di 14 anni che ho dovuto inventarmi una risposta... A un adolescente di quattordici anni non puoi dire che non hai risposte.
Penso che la visione del mondo che cerco di trasmettere è il "romanticismo belga" - l'ho inventato io! da domani comparirà nei libri di testo... - ovvero il "romanticismo paranoico", una visione duale del mondo. Ci sono due poli nella mia personalità: quello creativo, demoniaco, comico, che mostra quanto c'è di ridicolo in tutte le cose; l'altro è quello romantico, che si riferisce all'amore, e io ci credo veramente anche alle cose grandiose. E io mi ritrovo in mezzo a questi due poli. Quando affermo cose romantiche, favolose, il diavoletto che c'è in me, mi prende in giro e mi fa vedere il lato grottesco. Ma le due cose coesistono e nella sua visione del mondo.


Claudia de Lillo Farò ancora due domande, anche se ne avrei ancora tantissime... poi lascio la parola al pubblico. 
C'è un equilibrio sottile tra "esporsi" e "proteggersi", nel senso che lei parla di sé, delle persone a cui si vuole bene, ma inevitabilmente bisogna mettere dei filtri... almeno credo... ma lei sembra molto disinvolta nel camminare su questo filo... che filtri usa - e con le persone e con se stessi uno fà i conti con sé -ma con le persone che coinvolge nel libro come si regola?
Amélie Penso che con il passare degli anni filtri diventano sempre più sottili. Perché meno filtri uso e più le cose sono paradossali, meno le persone ci credono... a partire dai miei parenti: nell'ultimo libro "Il conte di Neville" parla di me, mio fratello, mia sorella dei miei genitori. Quando lo hanno letto sono morti dalle risate e mi hanno detto "Ma chi sono queste persone? 


Claudia de Lillo So che lei è una grande lettrice, ci consiglia 3/5 titoli di libri interessanti, di cui uno belga - possibilmente non Simenon perché lo conosciamo...
Amélie Rischio di diventare accademica, ma vorrei citare un autore Simon Leys "La morte di Napoleone", naturalmente Marguerite Yourcenar, poi "Il delitto del Lord Arthur Savile" di Oscar Wilde, "Il padiglione d'oro", di Yukio Mishima, una storia vera di un monaco folle che nel 1950 ha incendiato il padiglione d'oro a Kyoto perché odiava la bellezza, poi un libro francese di Madame de Lafayette "La principessa di Clèves" che parla di un rifiuto amoroso, un erotismo mostruoso, in cui la donna si rifiuta di concedersi fino alla fine.


Spazio alle domande. 
Una prima domanda dal pubblico: Parli di Sérieuse, della sua età difficile come l'adolescenza usando il termine "sentiti".
Amélie In Francia e in Belgio un tempo si provavano sentimenti, emozioni, sensazioni ora si parla di "resenti". Si è creato qualcosa di nuovo, di intellettuale...
Roberto Lana E' stata anche una grossa "sfida" nella traduzione, non c'è una corrispondenza di verbi in Italiano.
Amélie Come quando un tempo non si parlava di una vita ma di un "vissuto"...


Un'altra domanda: Mi vuoi sposare? Vista la situazione in Italia...
Amélie Mi sono informata, se mi sposo voi non potrete diventare baronessa...


Un'altra domanda: grazie innanzitutto, ogni anno aspetto l'uscita del tuo nuovo libro e sto per qualche tempo senza leggere libri, prima di leggere un tuo libro, rimango in astinenza per godermelo maggiormente... Quando ritieni sia cambiato il tuo modo di vedere dal tuo primo libro pubblicato "Igiene dell'assassino" del 1992.
Amélie Il mio primo libro pubblicato era in realtà l'unidicesimo manoscritto. C'è stato un cambiamento, ora i miei libri sono più leggeri. Il primo ha una scrittura barocca e molto grottesco. Se continuerò a scrivere alla fine l'ultimo romanzo sarà un haiku.

E ora spazio agli autografi. Grazie Amélie e a Voland per averti portata in tour a Milano e in Italia.


E se non vi basta l'intervista, ecco le sensazioni di Claudia de Lillo sul suo blog Nonsolomamma qui.