lunedì 29 febbraio 2016

Corso d'arte con Mick Manning e Brita Granström per Editoriale Scienza


 "Un corso d'arte portatile e interattivo." Ecco una sintesi della presentazione del nuovo libro "Corso d'arte", edito da Editoriale Scienza (qui il link), firmato da una coppia ormai consolidata quale Mick Manning e Brita Granström. Una coppia - qui il loro link - che ha alle spalle una lunga carriera di illustrazioni e di libri illustrati, tra i quali diversi editi sempre da Editoriale Scienza, che vive nel Nord dell'Inghilterra insieme ai quattro figli.
Si può dire che i loro libri hanno fatto scuola e che i miei figli hanno imparato la catena alimentare grazie al loro bellissimo libro "Mangia che ti mangio", ora edito con il titolo "Gnam gnam- Cos'è la catena alimentare" (qui il link) un vero e proprio "tormentone" in casa nostra, per mesi e mesi, attraverso il quale non solo ci siamo divertiti, ma i miei bambini hanno imparato qualcosa di veramente utile...solo per citarne uno dei tanti.
 Qui a sinistra, vedete Brita alle prese con un'illustrazione sull'Inghilterra (speriamo che altri libri interessanti siano pubblicati anche in Italia...). Ringrazio Diana Pappas e i due autori per la concessione delle foto.



Come tutti i loro libri, che ho scoperto molti anni prima di avere dei figli quando in una vita precedente facevo la naturalista e mi occupavo principalmente di educazione ambientale - trovo che questa coppia - che riesce a coniugare senza problemi vita e lavoro -cosa non facile - rimanendo inossidabile con il passare degli anni - abbia l'abilità di unire l'estrema precisione e il rigore scientifico con cui affrontano gli argomenti alla poesia, alla fantasia e alla pragmaticità con cui riescono a presentare i loro libri, dando un sacco di spunti sia ai bambini sia agli adulti che vogliano lavorare con loro, sempre all'insegna del divertimento e della passione.

In questo libro in particolare l'arte diventa lo spunto per dare indicazioni per iniziare a diventare artisti (es. gli strumenti per dipingere che possono essere tra i più disparati, dal legno al pennello, al pennino sino alla penna d'oca)...

Attraverso la ruota dei colori si scoprono i colori complementari in un modo molto intuitivo, mentre con un sistema di specchi si impara a farsi il primo autoritratto... e ci si focalizza sui dettagli (l'educazione all'osservazione - che nei bambini è spontanea ma decresce con l'età - è davvero preziosa).
Un aspetto che non viene spesso preso in considerazione - ma che ha radici lontane - è quello dell'inquadratura. Imparare a isolare l'elemento da disegnare (o quello da fotografare, aggiungo io che amo far foto), è un buon esercizio per scegliere le inquadrature migliori.

Non voglio svelarvi tutto quello che c'è nel libro - che comprende anche un album portatile con cui sperimentare e mettere in pratica quello che gli autori propongono, anche con l'ausilio di uno speciale lettering.... Infine, non mancano spunti per esporre le proprie opere d'arte e i miei figli, abituati già a "venderci" le loro opere per tirar su qualche soldino (sarà per il nonno artista?) sicuramente troveranno altri spunti interessanti...

Posso solo aggiungere che ho avuto la fortuna di scrivere questa mattina direttamente a Mick Manning (qui a sinistra mentre in studio disegna un falco pellegrino), che come tanti grandi autori, stranieri e non, ha la straordinaria capacità di rispondere immediatamente e di persona, nonostante sia famoso. Una qualità rara...
Ecco dunque le mie domande e le sue risposte.
Da dove nasce l'idea di questo libro?
Mick Manning:
Abbiamo prodotto un libro 20 anni fa chiamato "Scuola d'arte" che è diventato molto popolare a livello internazionale.  È stato scritto sulla base dei progetti che ho scritto quando ero responsabile del corso di Illustrazione alla Glasgow School of Art per i miei studenti di laurea. Abbiamo voluto rivisitare l'idea di un libro progetto artistico di ispirare i bambini. Il nostro più giovane Charlie (9 anni) è amante dell'arte e vuole essere un artista; così questa storia è stata scritta e dedicata a lui.

Ci sono molti libri su arte, ma come si riesce a rendere un libro così accattivante, originale e pratico? Quali risultati vi aspettate? Che i bambini diventino modo un po 'autonomi nel trattare con il disegno e con l'arte?
Mick Manning:
Volevamo fare un libro che ispirasse i bambini a provare tutti gli aspetti dell'arte e del disegno. Alcuni libri d'arte tendono a sostituire l'ispirazione creativa con la tecnica o, peggio,  "con i libri da colorare"! Crediamo che i bambini possano trovare la propria strada, se gli si forniscono alcune indicazioni e un sacco di libertà creativa. 
Il nostro motto è "divertiti" /"non ti preoccupare: puoi imparare anche dagli errori' ... "qualunque cosa tu faccia sarà comunque importante, perché l'hai sperimentata" (credere più nel processo che nel risultato ndr) / "Credi in te stesso!".
Alcune massime che, personalmente, ritengo davvero importanti, specie oggi in cui i bambini sono più insicuri e sono portati a finalizzare qualcosa in vista di un voto, del risultato, senza pensare al processo che l'ha generato. Ringrazio per questo Mick Manning...

Tra le altre cose, ci sono alcuni aspetti molto interessanti, come l'invito ad essere un autoritratto, la cornice per inquadrare i suoi occhi, frottage, stencil e la stampa ...
Mick Manning: 
È stato emozionante trovare un editore britannico così felice di farci avere elementi interattivi - come lo specchio e lo spettatore. Si può così aggiungere elementi in più al libro e lo "sketchbook", ovvero il quaderno di appunti, da un lato è molto "liberatorio", dall'altro serve proprio come ausilio al lavoro che abbiamo progettato!
Gli autoritratti sono un grande esercizio per chiunque - e, naturalmente, per i bambini.

E io aggiungo, grazie a Editoriale Scienza per aver portato questo piccolo gioiello alla portata dei bambini italiani, spesso troppo pieni di fotocopie da colorare...

Bella l'idea di spiegare ai bambini quanto sia importante anche la parola e il carattere/la font, che fa parte del progetto stesso e si deve imparare a gestirlo ...
Mick Manning: Si la font può spaventare - anche agli adulti! Ma volevamo che i bambini si divertissero anche con le lettere - e che crescessero abituandosi ad esse ... ritagliandole dalle riviste" o utilizzando le lettere stencil che forniamo come inserto.

So che siete anche genitori, quanto è stato influenzato il vostro lavoro da quando siete diventati papà e mamma?
Mick Manning: Cerchiamo sempre di sperimentare i libri con i nostri figli - la nostra più grande ha 18 anni ed è appena andata all'università per studiare recitazione - ma quando era piccolo era la nostra "tester" per eccellenza... Ora abbiamo il nostro quarto figlio - che ha 9 anni, che lo fa per noi - e, siccome è molto interessato all'arte e al disegno, è perfetto per questo ruolo.

Ringraziandoti per questa opportunità... - e non nascondo che l'ho desiderato a lungo - mi chiedo se hai qualcosa altro da aggiungere a questo libro, che non vedo l'ora di utilizzare con mio figlio più grande, e perché no, anche in alcuni casi con il più piccolo di cinque anni...
Mick Manning: Speriamo che i bambini si possano divertire con il libro e non abbiano paura di andare oltre - perché è così che si ottiene meglio. Disegnare ogni giorno... e ricordarsi sempre che i "brutti" disegni sono importanti, in quanto stimolano a fare di meglio. Quando si disegna in un album da disegno per far pratica, non lasciatevi scoraggiare  - se commettete "un errore", cercate di non cancellarlo.
Posso solo aggiungere di continuare a disegnare fino ad arrivare all'obiettivo desiderato.


E che dire dopo un'intervista così piacevole e che invoglia a provare, se non: sperimentate! Sperimentate senza paura...
Ps. il libro può essere veramente d'aiuto e ispirare non solo i bmbini ma anche gli adulti che si sentono "incapaci" e lasciarli andare e farli mettere alla prova. Vedrete quanto sarà divertente...

sabato 27 febbraio 2016

Alla Feltrinelli Duomo Amélie Nothomb ed Elasti per parlare de "Il delitto del conte Neville", Voland


Affollatissima la sala incontri alla Feltrinelli Duomo mercoledì 24 febbraio: persone sedute sulle sedie, per terra o in piedi. Tutte pronte ad ascoltare dal vivo la scrittrice Amélie Nothomb - con la traduzione in simultanea di Roberto Lana - a rispondere alle vivaci domande della giornalista Claudia De Lillo, ai più nota come Elasti, per presentare l'ultimo piccolo grande capolavoro "Il delitto del conte Neville", edito dalla casa editrice Voland (qui il sito).


Un tour sta portando l'autrice belga, cresciuta in parte in Giappone, nel nostro Paese, e lei non dispensa conversazioni e autografi, facendo una maratona tra le librerie che la ospitano...

Madrina della presentazione è stata Claudia de Lillo che ha esordito ringraziando sia Amélie Nothomb per la sua presenza, sia il pubblico in sala dicendo che "credo che anche per una scrittrice abituata alle folle, le conferme dell'affetto siano sempre un regalo. Grazie anche a chi ha avuto l'idea di invitarmi qui perché io sono una grande lettrice e fan di Amélie, quindi sono grata di questa occasione. Cercherò di essere professionale e di resistere alla tentazione poco nobile di abbracciarla, "toccacciarla"... 
Amélie è reduce da una maratona di firme... 
Come sta?
Amélie Sono in estasi. Lavorare in Italia per me è una vacanza!

Claudia de Lillo Entriamo subito nel vivo. "Il delitto del conte Neville" racconta la storia di un nobile, un conte che fa un'ultima festa nel suo castello perché, purtroppo, è costretto dalle sue finanze a vendere il castello, fa questa ultima festa, ma una veggente gli fa una terribile premonizione. Gli dice che durante la festa ucciderà uno degli invitati. E questa cosa è terribile!Vuole continuare lei Amélie?...
Amélie Sì, perché anche se è terribile per il povero conte scoprire che ucciderà qualcuno - il che può succedere a chiunque - scoprire invece che ucciderà un suo ospite, questo sì che è inaudito!... C'è un'aspetto autobiografico in questo racconto, perché i miei genitori tenevano ricevimenti con 1000 persone al mese, sin dalla mia più tenera infanzia, ed è da lì che è nata l'idea, il "fantasma", ovvero il desiderio di uccidere un invitato.

Claudia de Lillo Questo libro, oltre ad avere un lato autobiografico di cui poi parliamo meglio, è anche un omaggio - se così dsi può dire - a Oscar Wilde - c'è un delizioso racconto "Il delitto del Lord Arthur Savile", che vi consiglio di leggere: anche il nome "Neville/Savile/Nothomb sembra avere una radice comune...
Amélie Sì, il mio cognome Nothomb è di lontana origine britannica e Nothomb deriva da Neville ovvero da "New Town"/Nuova città, il conte Neville è evidentemente mio padre e con questo libro regolo i conti con la mia famiglia.

Claudia de Lillo Facciamo un gioco di porte scorrevoli... questo racconto potrebbe in qualche modo raccontare la sua vita se invece di aver avuto la storia esotica in Giappone e altrove, fosse nata e cresciuta in Belgio? C'è qualcosa di Serieuse, che è la figlia del conte, un'adolescente assolutamente paradigmatica degli adolescenti?
 Amélie Sì, è vero. E' il racconto di come potrebbe essere stata la mia adolescenza se fossi cresciuta in Belgio. Io sono cresciuta in estremo Oriente; talvolta mi immagino cosa ne sarebbe stata di me, se fossi vissuta in Belgio, un Paese così incomprensibile: sarebbe stata una vera catastrofe.

Claudia de Lillo Restando in Belgio - un Paese per quanto piccolo e per quanto in Italia non sia ben conosciuto - un Paese estremamente moderno, anche solo per quanto riguarda i diritti civili o l'eutanasia... ma leggendo il suo libro è un Paese con tradizioni estremamente forti e antiche. Quanto si sente belga lei e cosa significa sentirsi belgi?
Amélie Ho finito per capire che ero profondamente belga... Ti senti belga quando ti senti goffa e patetica. Con il passare degli anni mi sento sempre di più belga. E' vero che c'è il cosidetto "paradosso belga", perché se da un lato siamo all'avanguardia per certi aspetti morali- nel 2003 è stata approvata la legge sul matrimonio degli omosessuali, e nessuno ha reagito in nessun modo a queste leggi, nonostante ci siano molto stupidi in Belgio, lo stesso vale per l'eutanasia - ma siamo al tempo stesso medievali, perché sono stata ricevuta pochi giorni fa dalla regina del Belgio e tutti hanno gioito di questo avvenimento. Un Paese davvero paradossale!
 
Claudia de Lillo Nel libro la descrizione della nobiltà belga è in parte spietata, ma anche in qualche modo "pacificata", a tratti quasi affettuosa. Cosa hanno detto i suoi? Recentemente, tra l'altro, è diventata baronessa e non le spettava di diritto...
Amélie Giuro che non c'era affatto premeditazione... Nessuno mi crede quando lo dico. Non volevo assolutamente diventare baronessa. Quando ho scritto il libro non ero baronessa e non volevo assolutamente diventarla. Quando il re mi ha insignito del titolo di baronessa, è stato incredibile. Questo mostra l'umorismo di questo Paese, perché in questo libro mostro tutto il lato ridicolo della nobiltà belga, che è ancora più ridicola di altre forme di nobilità. E non ho fatto a tempo a scrivere il libro che il re mi ha incoronato baronessa...

Claudia de Lillo Attraverso Sérieuse racconti l'adolescenza. Sarà che io ho un figlio che si sta affacciando al mondo dell'adolescenza, quindi devo dire che vista da fuori è un'età molto affascinante, vista da dentro molto meno probabilmente, che memorie ha della sua adolescenza e qual è l'età in cui è stata più "comoda" nei suoi stessi panni?
 Amélie Non ho un solo ricordo bello della mia adolescenza ma penso che questo sia successo a tutti. Non so come ho fatto a sopravvivere alla mia adolescenza ma è una domanda che pongo anche agli altri. Come ci siete riusciti? (rivolgendosi al pubblico). E' una domanda che non ha risposta.
 
Claudia de Lillo E se dovesse scegliere un'età in cui cristallizzarsi? Quale sceglierebbe dagli zero agli anni odierni?
Amélie Nel mio caso due anni e mezzo. E' stata la mia età della perfezione (... l'età raccontata nel libro "La metafisica dei tubi"). 

Claudia de Lillo Parlando di anni e date, sono affascinata da questa descrizione: "1975. Esiste una frontiera temporale tanto più insormontabile in quanto non ufficiale che divide l'umanità in due specie che potrebbero non capirsi mai. Collochiamola arbitrariamente nel 1975. Ben consapevoli dell'estrema variabilità della data a seconda dei Paesi e degli ambienti. E' il confine che separa i bambini nati per sedurre dai bambini nati per essere sedotti. Io trovo geniale questa descrizione. Entrambe siamo nate in un'età un po' sfortunata. Ho letto, non so se sia vero, che suo fratello la "sfrutta" per i suoi nipotini nati dopo il 1975 come "spauracchio", dicendo "adesso arriva la zia Amélie... E' vero?
Amélie Non ho figli ma in compenso mio fratello ne ha sette. Ho dovuto imparare a diventare zia. E l'unica maniera possibile è questa: sono diventata la zia spaventosa. Faccio terrore ai bambini e ho scoperto che mio fratello mi "sfrutta" per terrorizzare i suoi figli: per esempio "mangia la minestra altrimenti chiamo zia Amélie... In effetti funziona molto bene.



Claudia de Lillo Tornando un secondo alla nobilità, leggerei un passo molto rapido per introdurre la domanda: 
All'età di otto anni Henri - il conte Neville si chiama così - aveva rivolto una domanda terribile al padre. Non era "Babbo Natale sono i genitori?" 
"Non era neanche Come si fanno i bambini?"
" Era molto più grave: papà, cosa vuol dire essere nobili?" 
Aucassin aveva rivolto verso di lui uno sguardo penetrante. "Secondo te, figlio mio, che cosa significa?" 
"Non lo so. Rifletti"
Il bambino azzardò "Non so. Perdere il castello?"
"Ma no, insomma" risposte il padre con disprezzo.
Tanto che il bambino si domandò perché si dissanguassero per abitare a Pluvier
"Rifletti bene" ordinò Aucassin.
"Essere di buona famiglia?"
"Non basta"
Henri abbassò la testa assolutamente confuso.
Il padre alla fine dichiarò con voce minacciosa "Essere nobili, figlio mio, non significa che si hanno più diritti degli altri, significa che si hanno molti più doveri".
Ecco, in qualche modo è entrato dentro di lei questo discorso sulla nobilità?Gliel'hanno trasmessa anche i suoi genitori l'idea che si hanno più doveri degli altri?
Amélie La mia situazine è paradossale. Faccio parte di questo mondo nobiliare, ma al tempo stesso non ne faccio parte, in quanto donna, in Belgio il titolo nobiliare non è trasmesso alle femmine a meno che le donne non sposino un nobile. Io rappresento un'eccezione perché il re del Belgio mi ha assegnato questo titolo. Quindi, ma aderisco a questi dettami, penso che sia per questo motivio che mi lascio totalmente "tartassare" dagli editori, penso di avere più doveri degli altri scrittori, più interviste da rilasciare, e si presta a firmare autografi ai lettori...


Claudia de Lillo Sempre a questo proposito, citando Proust nel libro, parla del "Dongiovannismo dell'aristocrazia" e lo spiega molto bene come una specie di compulsione a sedurre; anche il talento nell'ospitalità del protagonista è l'idea di far sentire l'invitato la persona più importante del mondo. Questo un po' si riallaccia anche al discorso del suo rapporto con i lettori...
Amélie Sì, ho l'impressione che l'unico scopo della nobiltà sia il ricevimento; l'unico scopo sia invitare ed essere invitati, e che quando si invita hanno il dono di far sentire l'ospite unico, amato, farlo sentire a suo agio... L'unico aspetto terribile è la paura di non poter più invitare o non essere più invitati... Mio padre faceva lo stesso quando invitava gli ospiti, mostrando una grazia infinita; ma in privato, tra me e mio padre non succedeva nulla di speciale. La mia vita è piuttosto diversa, penso che il fantasma di uccidere un invitato, che mi ha accompagnato per tutta la vita, sia proprio dovuto a questo. Ma ho avuto sempre troppa paura di uccidere un invitato: vi assicuro che non ho nessuna intenzione di uccidere nessuno... ma è per questo che non invito mai nessuno, per la paura che questa compulsione possa mietere delle vittime...

Claudia de Lillo Tornando al rapporto con i lettori, questo è il 24simo libro pubblicato; sono ormai tanti anni che Amélie Nothomb è una star, immagino che i lettori siano tanti e che a volte siano invadenti, noisi...E allora mi chiedo: non si stufa mai di questo popolo che la circonda, non solo affettuoso ma anche invadente? E poi... Se pensa ai lettori quando scrive, se in qualche modo pensa a loro o risponde a un bisogno interiore?
Amélie Rispondo prima alla seconda domanda: No. Amo molto i miei lettori ma quando scrivo non penso a loro. Scrivo molto di più di quello che pubblico. Sto per scrivere il mio 85simo romanzo, ne ho pubblicati solo 24. Non c'è quindi un intento di premeditazione o seduzione quando scrivo. Quando scrivo non penso che alla "musicalità" della scrittura.
Quando sono al momento di pubblicare, allora sì, mi pongo la questione e penso al mio pubblico, se quello che ho scritto può interessare. E' una questione delicata e istintiva, non è sempre falice capire se quello che stai per pubblicare piacerà al tuo pubblico.
E per rispondere alla prima domanda questa è la mia risposta: il pubblico è soffocante? Mi regolo ultimamente con lo Champagne.... Una buona collezione di Champagne crea un'atmosfera festosa che mi permette di vivere in uno stato di completa incoscienza (è ben descritto nel romanzo precedente, nota del traduttore...).

Claudia de Lillo Oggi avrà incontrato moltissimi lettori; qual è la cosa le fa più piacere, che la sorprende sempre e che le fa dire "Ah, questo da un senso al mio lavoro".
Amélie Una cosa che mi viene detta spesso e che mi fa un piacere immenso è "da quando leggo i tuoi libri, ho ricominciato a leggere."
Sono consapevole che, grazie a me, molti si sono riaccostati alla lettura.

Claudia de Lillo In questo, ma anche in molti altri suoi libri, c'è il destino. Il conte Neville non mette in dubbio neanche per un istante che il suo destino sia quello di uccidere un invitato. Anche per lei il destino è così importante il destino.
Amélie Credere al destino, al fato è il difetto professionale di tutti gli scrittori. Sono come il conte Neville, non posso neanche accostarmi a un veggente o un medium o leggere un oroscopo perché mi senterei in dovere di obbedire alle predizioni.


Claudia de Lillo  Pétronille, che è la protagonista di un altro libro, amica scrittrice e compagna di champagne di Amélie, un altro romanzo dice "Per essere scrittori di successo non basta il talento, ci vuole la follia".
Amélie E' vero, bisogna essere un po' folli. Ma non basta. Non è così semplice. Il successo è qualcosa di ingiusto, complicato e incomprensibile. Non è che io non sia felice di avere successo e non dico di non meritarlo.
Ma lo merita anche Pétronille e non ha successo.
Ma con quel libro faccio giustizia, cerco di dare successo a una persona di talento. Denuncio un'ingiustizia e, attraverso questo romanzo, cerco di ristabilirla. Mostro chi è Pétronile, che è una persona in carne e ossa, una scrittrice edita da Voland, che si chiama in realtà Stephanie Hochet (qui il link ai suoi libri). Quando gliel'ho scritto e le ho chiesto se potevo pubblicarlo, lei mi ha risposto "Fai bene a farlo, per la prima volta parli di un soggetto importante".

Claudia de Lillo Questo va un po' contro alla risposta precedente sul destino... Ha mai pensato che cosa avrebbe voluto fare se non avesse scritto?
Amélie Domanda difficile... All'inizio, come sapete, volevo essere Dio, fino all'apoteosi. Poi la carriera di essere Dio è andata alle ortiche, è stata un fallimento, e ho deciso di diventare martire. E questo ha funzionato. Sono diventata martire in un'azienda giapponese (lo racconto in "Stupori e tremori"). Poi sono diventata scrittrice di Voland (che non è un martirio - aggiunge Roberto - e lei risponde "una via di mezzo...").

Claudia de Lillo C'è una leggenda che aleggia, ma mi piace credere a tutto quello che si scrive su di lei...

Amélie ha ragione.

Claudia de Lillo La sua routine letteraria prevedere che lei si alzi alle quattro del mattino e scriva per quattro ore... ogni vero scrittore dice che ci vuole estrema disciplina. Ora io so quanto sia faticoso alzarsi alle quattro, non per volontà mia ma perché lavoro alla radio (NB è conduttrice del programma radiofonico Caterpillar su Radio 2). Ci vuole raccontare dopo le otto del mattino qual è la vita di una scrittrice vera?
Amélie Dopo le otto? Prima di tutto mi vesto, perché scrivo in pigiama arancione, poi vado nella sede della casa editrice Albin Michel e poi mi metto a leggere le lettere che ricevo - ne ricevo in effetti diverse... - e questo mi prende diverso tempo perché non rispondo con l'email ma a mano, per lettera. E' un lavoro durissimo, anche se mi piace molto, e mi occupa molte ore. Quando decido che ne ho scritte abbastanza per quel giorno, è già pomeriggio e allora inizia la "vita dannata", e il suo incontro con lo champagne...
 

Claudia de Lillo Qualche anno fa sulla mia strada ho incontrato un'insegnante meravigliosa che mi ha detto una grande verità, riferendosi agli scrittori, ma che vale anche per tutti. Ci disse "diffidate di chi porta pantofole a forma di cane e di chi non ha una visione del mondo. Ora, io sono sicura che lei non porti pantofole a forma di cane...
Amélie Brava!

Claudia de Lillo Detto questo, scansato ogni dubbio. So che è difficile. Se dovesse dire qual è la visione del mondo che vorrebbe emergesse dai suoi libri; una volta ha detto "Il metodo per sfuggire al principe azzurro"...
Amélie E' una domanda difficile. Prima dicevo che non avevo una risposta. Ma oggi i professori mi mandano così tanti adolescenti di 14 anni che ho dovuto inventarmi una risposta... A un adolescente di quattordici anni non puoi dire che non hai risposte.
Penso che la visione del mondo che cerco di trasmettere è il "romanticismo belga" - l'ho inventato io! da domani comparirà nei libri di testo... - ovvero il "romanticismo paranoico", una visione duale del mondo. Ci sono due poli nella mia personalità: quello creativo, demoniaco, comico, che mostra quanto c'è di ridicolo in tutte le cose; l'altro è quello romantico, che si riferisce all'amore, e io ci credo veramente anche alle cose grandiose. E io mi ritrovo in mezzo a questi due poli. Quando affermo cose romantiche, favolose, il diavoletto che c'è in me, mi prende in giro e mi fa vedere il lato grottesco. Ma le due cose coesistono e nella sua visione del mondo.


Claudia de Lillo Farò ancora due domande, anche se ne avrei ancora tantissime... poi lascio la parola al pubblico. 
C'è un equilibrio sottile tra "esporsi" e "proteggersi", nel senso che lei parla di sé, delle persone a cui si vuole bene, ma inevitabilmente bisogna mettere dei filtri... almeno credo... ma lei sembra molto disinvolta nel camminare su questo filo... che filtri usa - e con le persone e con se stessi uno fà i conti con sé -ma con le persone che coinvolge nel libro come si regola?
Amélie Penso che con il passare degli anni filtri diventano sempre più sottili. Perché meno filtri uso e più le cose sono paradossali, meno le persone ci credono... a partire dai miei parenti: nell'ultimo libro "Il conte di Neville" parla di me, mio fratello, mia sorella dei miei genitori. Quando lo hanno letto sono morti dalle risate e mi hanno detto "Ma chi sono queste persone? 


Claudia de Lillo So che lei è una grande lettrice, ci consiglia 3/5 titoli di libri interessanti, di cui uno belga - possibilmente non Simenon perché lo conosciamo...
Amélie Rischio di diventare accademica, ma vorrei citare un autore Simon Leys "La morte di Napoleone", naturalmente Marguerite Yourcenar, poi "Il delitto del Lord Arthur Savile" di Oscar Wilde, "Il padiglione d'oro", di Yukio Mishima, una storia vera di un monaco folle che nel 1950 ha incendiato il padiglione d'oro a Kyoto perché odiava la bellezza, poi un libro francese di Madame de Lafayette "La principessa di Clèves" che parla di un rifiuto amoroso, un erotismo mostruoso, in cui la donna si rifiuta di concedersi fino alla fine.


Spazio alle domande. 
Una prima domanda dal pubblico: Parli di Sérieuse, della sua età difficile come l'adolescenza usando il termine "sentiti".
Amélie In Francia e in Belgio un tempo si provavano sentimenti, emozioni, sensazioni ora si parla di "resenti". Si è creato qualcosa di nuovo, di intellettuale...
Roberto Lana E' stata anche una grossa "sfida" nella traduzione, non c'è una corrispondenza di verbi in Italiano.
Amélie Come quando un tempo non si parlava di una vita ma di un "vissuto"...


Un'altra domanda: Mi vuoi sposare? Vista la situazione in Italia...
Amélie Mi sono informata, se mi sposo voi non potrete diventare baronessa...


Un'altra domanda: grazie innanzitutto, ogni anno aspetto l'uscita del tuo nuovo libro e sto per qualche tempo senza leggere libri, prima di leggere un tuo libro, rimango in astinenza per godermelo maggiormente... Quando ritieni sia cambiato il tuo modo di vedere dal tuo primo libro pubblicato "Igiene dell'assassino" del 1992.
Amélie Il mio primo libro pubblicato era in realtà l'unidicesimo manoscritto. C'è stato un cambiamento, ora i miei libri sono più leggeri. Il primo ha una scrittura barocca e molto grottesco. Se continuerò a scrivere alla fine l'ultimo romanzo sarà un haiku.

E ora spazio agli autografi. Grazie Amélie e a Voland per averti portata in tour a Milano e in Italia.


E se non vi basta l'intervista, ecco le sensazioni di Claudia de Lillo sul suo blog Nonsolomamma qui.

giovedì 25 febbraio 2016

In mostra a Palazzo Reale di Milano “L’arte del bijou italiano”

Ornella Bijoux, Collier cristalli di vetro imitazione smeraldo, strass, metallo bianco. Anni '60-'70.

Resterà aperta fino al 2 marzo 2016 - in occasione della Settimana della Moda donna milanese - la mostra a Palazzo Reale L'arte del bijou italiano, allestita nelle splendide sale degli Arazzi, promossa dal Comune, Fiera Milano e Homi.

Un'esposizione che illustra e valorizza il talento e la passione italiani, con una particolare attenzione alla varietà tipica del nostro Paese, in accordo con la tradizione. 

La mostra che ripercorre, nella prima sala, la storia degli accessori più glamour dagli anni Cinquanta al Duemila, racconta il nostro Paese e l'evoluzione del gusto e della moda attraverso 300 pezzi unici firmati da stilisti e designer di fama internazionale. Un viaggio nel tempo che porta i visitatori alla scoperta delle creazioni realizzate per grandi stilisti come Walter Albini, Giorgio Armani, Renato Balestra, Biki, Ugo Correani, Enrico Coveri, Gildo Cristian, Dolce & Gabbana, Gianfranco Ferrè, Emy Forte, Krizia, Lancetti, Missoni, Moschino, Tina Rossi, Luciano Soprani, Valentino, Gianni Versace. Ci sono tutti, in un grande connubio con i grandi biogiottieri.

Un racconto che si snoda anche attraverso una seconda sala dedicata ai cinque bigiottieri milanesi più famosi: Bozart, Ornella Bijoux, Sharra Pagano, Ottavio Re e Unger. Una storia d'amore, una storia di cinque vite spese con passione e dedizione all'arte del bijou.


La Settimana della Moda femminile entra a Palazzo Reale con un vero e proprio ‘gioiello’ di mostra che accompagna il fermento della città, incarnando l’essenza propria dello spirito milanese: quello di saper dare forma alla bellezza grazie alla sapienza dell’artigianato unita al talento creativo, capacità che qui a Milano ha sempre trovato il terreno più fertile per germogliare – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno durante la conferenza stampa lo scorso 18 febbraio - Arte da indossare, creatività prêt-à-porter: con linguaggi diversi da quelli che solitamente lo abitano, Palazzo Reale racconta al pubblico l’evoluzione del gusto della società italiana attraverso l’interpretazione dei suoi più grandi stilisti”.


Alba Cappellieri, professoressa di design al Politecnico di Milano e curatrice della mostra insieme a Lino Raggio, ha raccontato che "Ogni oggetto deve rappresentare il proprio tempo. In questo sta il suo valore e il suo significato. Il bijou è sempre stato considerato il figlio minore del gioiello prezioso, ma del gioiello prezioso non condivide né i tempi, né tantomeno i significati: perché se il prezioso tende all'eternità, il bijou rappresenta l'immanenza del presente. Ed è per questo, in una sorta di omaggio alla cultura materiale e alla bellezza, che abbiamo deciso di dedicare questa bellissima mostra all'arte del bijou italiano, in quanto il bijou può essere considerato come una delle massime espressioni della manifattura, dell'arte, della moda, della cultura italiana."

Qui, per chi non volesse leggere la presentazione, un video di Maria Elena Capelli.



La prima sala: dalla Dolce vita al Prêt à porter
"Ecco allora che la mostra è divisa in due momenti, prosegue la Cappellieri, la prima dedicata alla "Dolce Vita" e al "Prêt à porter"-  che sono probabilmente le stagioni più felici non soltanto per il bijou ma anche per la società italiana; la prima che parte, con la ricostruzione e il Boom economico del Dopoguerra, negli anni Cinquanta che arriva fino al Sessantotto, e la seconda, che arriva con la nascita dell'identità della Moda italiana che si attesta in ambito internazionale. 

Ci sono due momenti che possiamo considerare come i "termini" di questa narrazione: il primo è il 1951, perché è in questo momento che il bijou diventa un sistema autonomo-integrato.

Solitamente il bijou è raccontato in termini diacronici, attraverso lo scorrere del tempo. Non è questo. Il bijou non è quello delle zie in naftalina, ma del presente, della moda, che racconta la bellezza del quotidiano, segue l'effimero presente della moda laddove il prezioso non può farlo perché deve seguire un passato e un futuro, un senso di eternità che il bijou non ha. Ecco allora che queste due stagioni non sono state analizzate secondo né un percorso stilistico né un percorso storico, ma secondo una lettura molto più contestuale che è quella contemporanea, vale a dire in relazione al contesto economico, finanziario, politico, sociale in quegli anni

I principali bigiottieri italiani dell’epoca quali Luciana Aloisi di Reutern, Giuliano Fratti, Canesi, Unger, Maria Vittoria Albani per Ornella Bijoux, Ferenaz, Ottavio Re, Bijoux Cascio, Ercole Moretti, Coppola e Toppo, Bozart, riuscirono a evolvere e a contaminare il modello produttivo dall’alto artigianato alla piccola serie, dall’atelier alla confezione, pur conservando un modello di imprenditoria familiare che, comparato alle grandi aziende americane, è risultato essere nel tempo di gran lunga più agile e più flessibile, sebbene più rischioso. 


Visitando la mostra, la mia anima naturalistica, ha apprezzato molto i bijou di Giorgio Armani...


ma per gli appassionati di altri stili ecco bijou completamente diversi...

Gianni Versace, anni Ottanta, Versace, collana Conchiglie e stelle marine metallo dorato, strass.
Da sinistra, bracciale gettoni di Sharra Pagano (anni Settanta)
e Mochino, realizzazione a opera di Sharra Pagano, spilla cucchiaino (anni Settanta). 


Moschino, realizzazione di Sharra Pagano, anni Ottanta. Collana pasticcini.
Karl Lagerfeld, realizzazione Ugo Correani, spille 1983.
Ornella Bijoux. Spilla animalier in ottone dorato, perle di pasta di vetro e strass Swarowski.
Fendi, anni Ottanta, bracciali in resina.
Stefano Piaggi | Anna Piaggi Ugo Correani per Versace collana 80 metallo dorato, plastica.
Moschino, realizzazione a cura di Sharra Pagano, anni Ottanta, collana punto interrogativo.
Riprendendo le parole di Alba Cappellieri in conferenza stampa che ci accompagnano nel racconto della mostra "... è per questo che la mostra in Triennale del 1951 (la IX triennale dedicata all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne. Per la prima volta il bijou entrava in Triennale al fianco dei maestri del progetto italiano ed era trattato alla pari del gioiello prezioso )

e soprattutto la sfilata di Alta Moda che Giorgini dedica per la prima volta all'arte italiana  (Giovan Battista Giorgini organizzò nella sua Villa Torreggiani a Firenze la prima sfilata di Alta Moda Italiana che includeva i Bijoux e gli accessori)

diventano i termini prioritari anche per il bijou italiano, perché è in questo momento che il bijou incontra il mercato internazionale e, in particolar modo, il mercato americano. Il mercato americano significa: consumatori. Il Made in Italy, non dimentichiamolo, non è dedicato al mercato locale, ma ai mercati internazionali. Anche il bijou, a partire dal 1951, entra in un sistema internazionale. 

Certamente i bijou sono sempre esistiti (preziosi o meno; sulla definizione di prezioso è una storia lunga...), ma è a partire dal 1951 che si pone per la prima volta come un sistema. Ed è esattamente quello che succede, a Milano nella moda e nel design; Milano è la capitale della Moda e del Design perché ha saputo costituirsi come un sistema. Vale a dire la compresenza di: progetto, produzione, comunicazione, distribuzioneed è per questo che Milano è diventata uno dei grandi baricentri.

Gli anni Ottanta sono gli anni dell’"edonismo e dell’opulenza", quelli in cui i bijoux testimoniano il connubio tra gli accessori e la moda in uno scambio intenso di esperienze e di contaminazioni. L’interesse sistematico degli stilisti per i bijoux determinò un’intensa collaborazione con i bigiottieri e la possibilità di innovare tanto l’ambito creativo quanto quello produttivo con risultati straordinari. Tutti i principali stilisti italiani firmarono una linea di bijoux, non soltanto i pezzi unici per la sfilata ma soprattutto collezioni di accessori accessibili e democratici pensati in relazione all’abito



La seconda sala: omaggio ai cinque principali bigiottieri milanesi
"Ecco allora che la seconda parte della mostra rende omaggio a questa straordinaria capacità milanese, mettendo in esposizione i lavori dei cinque principali bigiottieri milanesi che hanno scritto la storia del Bijou italiano, che sono: Bozart, Ornella Bijou, Scharra Pagano, Ottavio Re e Unger

Nella seconda sala emergono cinque storie completamente diverse, cinque linguaggi completamente diversi. A conferma e a testimonianza che la principale virtù italiana è la varietà

Quella varietas di cui parlava Leon Battista Alberti (1404-1472) già nel Rinascimento, e che è una delle principali capacità di produrre bellezza. La prima differenza tra il bijou italiano e quello francese è proprio questa.  In questa varietà nel giocare su scale diverse: i bigiottieri italiani hanno questa capacità rapsodica di passare dal pezzo unico di alta moda a una produzione seriale. Che comporta uno scarto di pensiero e di processo radicale, che soltanto la flessibilità delle imprese familiari italiane è in grado di fare. Passare dalla microscala del pezzo unico alla macroscala delle collezioni della moda pronta. Ed ecco allora che le storie che vedrete in mostra sono non solo storie di materiali innovativi ma anche di tradizione e tecniche tradizionali, sono delle storie di innovazione, di sperimentazione, e al tempo stesso di esaltazione del nostro passato. Sono anche storie di persone, di uomini e donne che hanno dedicato a questo oggetto straordinario molto di più della loro abilità o tecnica, hanno dedicato la storia delle loro famiglie, hanno dedicato la storia delle loro vite. Ed ecco allora che possiamo pensare alle storie del bijou come a storie d'amore."

La mostra è dedicata alla memoria di Gianfranco Signori, fondatore di Scharra Pagano, che ci ha lasciato qualche giorno prima dell'inaugurazione.

Bozart
Fondata nel 1956 da Emy Forte e Lucio Manca, Bozart inizia la produzione milanese lo stesso anno. La capacità di operare attraverso più tecnologie consente all'azienda di collaborare con le case di Moda romana e le redazioni giornalistiche.


Ornella Bijou


L'Atelier Ornella Bijoux apre a Milano nel 1944, grazie alla passione di una giovanissima Maria Vittoria Albani (14 anni!), eclettica designer "baciata" da un talento unico nell'intrecciare arte e moda e nel plasmare gioielli di costume.
Perle lucenti, metalli smaltati, conchiglie levigate, legni dipinti, vetri di Murano, ceramiche retrò, cristalli Swarovski alzano nel tempo un sipario affascinante che apre a un palcoscenico incantato di spille, anelli, parure, diademi, in una mostra d'autore senza fine di emozioni e impressioni.
Per decenni il tocco di classe di Maria Vittoria Albani forgia straordinari preziosi "limited edition", illuminando il fascino di dive e regine, tra galá esclusivi e passerelle internazionali.
Fino a ricevere, da "guest star", svariati oscar alla carriera: dalla mostra itinerante del Teatro alla Scala curata da Swarovski, alla vetrina dorata del Victoria Museum di Londra, agli inviti ufficiali ad eventi artistici da New York a Tokio, passando per tutte le capitali delle tendenze più chic.
Dal classico al contemporaneo, dalla tradizione all'innovazione. 
L'azienda familiare oggi è seguita anche dalla figlia Simona Scala.


Qui il sito internet, qui la pagina facebook.

Scharra Pagano

Qui il sito internet.

Ottavio Re
Azienda storica, operante sin dal 1934, ha oggi un piccolo showroom in via Bagutta, nel quadrilatero della moda.

Qui il sito internet.

Unger
Interessante la storia di questa azienda nata per il commercio del ricamo nel 1875 da due fratelli viennesi acquistata nel 1900 da due italiani, Benigno Rossi e Clotilde Silva (sotto la sua direzione viene aggiunto l'accessorio moda, gli ornamenti per corpetti e bijoux). Per i bijoux l'azienda si procura pezzi rari provenienti dalla Boemia e da Venezia (ancor oggi il maggior vanto della ditta).
 
Qui il sito internet.

Se volete approfondire ulteriormente, potrete vedere anche questi video qui su Televisionet, qui su Fashion Channel Milano. E se non siete stufi di immagini, ecco una bella carrellata su Homi qui (in una ho visto che tra la folla ci sono anch''io... immaginate cosa sto facendo?), un bel pezzo su Signorina Bloggy (qui) e Sul principe azzurro esiste (qui).
Ex post alla mostra, oggi ho ricevuto un bel video su un'intervista rilasciata alla curatrice della mostra e non solo, opera della giornalista Cristina Provenzano, (puntata del 6/3 dal minuto 19.00simo) che trovate qui.

Informazioni pratiche sulla Mostra
Quando: fino al 2 marzo 2016
Dove: a Palazzo Reale (Milano) - Sala Arazzi (piano nobile)
Orari: lunedì 14,30 - 19,30/ martedì - mercoledì - venerdì - domenica 9,30 - 19,30/ giovedì - sabato 9,30 - 22,30.
Prezzo: ingresso gratuito.
Informazioni: www.palazzorealemilano.it