“Due romanzi completamente diversi tra loro, per le atmosfere, per lo stile di scrittura, per la psicologia e per quello che raccontano” come ha esordito la giornalista Elisa Giacalone, moderatrice dell'incontro “ma dovendo trovare dei fili conduttori, quello che li accomuna sono il viaggio e la ricerca dell'identità.”
La giornalista Elisa Giacalone con Massimo Cuomo, autore di "Bellissimo", Edizioni E/O. |
Bellissimo Al centro della storia di Bellissimo c'è il rapporto tra Miguel e Santiago, due fratelli; siamo di fronte a una relazione che coinvolgerà non solo loro ma l'intera famiglia, Miguel è un bambino dalla bellezza stupefacente, quasi miracolosa; il fratello maggiore Santiago vede la sua vita letteralmente stravolta dopo la sua nascita, perché chiaramente vengono a mancare tutte le attenzioni che gli erano rivolte, ma soprattutto perché si imbatte in un carattere diverso dal suo. Miguel è esuberante, riesce a ottenere tutto quello che vuole dal padre, dalla madre, dagli amici e a scuola; mentre Santiago, che come fratello maggiore dovrebbe essere una guida, si ritrova dimesso, a ricoprire un ruolo secondario. La storia si svolge in Messico e richiama atmosfere magiche alla Garcia Marquez.
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Le coincidenze dell'estate Nel caso de "Le coincidenze dell'estate" la narrazione si svolge a Milano. Ci imbattiamo nella storia di Vincenzo, un adolescente amante della musica e degli skate e, anche qui, abbiamo un percorso di ricerca della propria identità. Vincenzo non sa se è attratto dalle ragazze o dai ragazzi, non sa ancora quello che farà da grande e si imbatterà in Italo, un uomo di cinquant'anni che incontrerà nell'androne del suo palazzo, e con il quale intratterrà un rapporto di amicizia. Oltre a Italo e a Vincenzo, altro personaggio chiave è Evelina, un'anziana signora che abita nel palazzo e che insieme ai due ne "combinerà di ogni". Il romanzo in questo caso è incentrato sull'amicizia inaspettata tra tre personaggi di generazioni diverse: l'adolescente Vincenzo, il cinquantenne Italo, diventato barbone suo malgrado, ed Eveleina di circa ottant'anni. Si parla anche della difficoltà di crescere in una famiglia a pezzi, per via della mamma giornalista sempre in giro per il mondo e di un padre poco presente (Vincenzo di fatto cresce da solo); si parla anche della scoperta dell'omosessualità, del coraggio di uscire allo scoperto e di come riferirlo ai genitori. È quindi un romanzo che parla della scoperta delle identità.
Elisa Giacalone Massimo Cuomo, hai dichiarato che questo romanzo è molto differente dagli altri due, non solo per l'ambientazione, ma perché qui hai affrontato una ricerca più intima e più intensa della scrittura. Ci spieghi come è stato il percorso e come sei arrivato a "Bellissimo"?
Massimo Cuomo Buonasera a tutti. Per parlare di questo romanzo non posso non parlare dei libri precedenti, perché questo è un percorso nella narrativa iniziato da qualche anno; ogni volta è un'esperienza che mi arricchisce e mi fa capire quale sarà il prossimo passo da fare. Questo è il terzo romanzo e segue “Osteria senza parole”, da cui si differenzia completamente. Quest'ultimo è un libro a cui sono molto affezionato e a cui devo grandi soddisfazioni, che mi ha insegnato molte cose. Mentre lo presentavo in giro, qualcuno ha proposto di andare avanti con questa storia, proseguendo la saga sulla scia di quello che hanno fatto Malvaldi in Toscana o Camilleri in Sicilia con le storie dei bar e delle osterie riportate in letteratura. Io ho invece pensato che la storia si fosse esaurita.
Avevo voglia di mettermi nuovamente alla prova, scrivendo qualcosa di diverso e sono rimasto in attesa che questa storia arrivasse. È successo un pomeriggio, sull'isola dove mio fratello si sposava. Io ero il suo testimone di nozze e sono andato sull'altare a fare un racconto, sostanzialmente una breve relazione sul nostro rapporto, una relazione complessa che ci ha portato a diventare oggi i due migliori amici, ma che è stato anche un percorso tortuoso e complicato.
Il racconto che ho fatto quel giorno è stato talmente intenso e intimo, che hanno iniziato a piangere tutti, anche quelli che non ci conoscevano, dal fotografo alla ragazza del catering. Allora ho compreso si trattava di qualcosa di forte, che andava raccontato in maniera completa. Così ho trovato la mia storia, poi ho fatto di tutto per allontanarla da me, in modo che non sembrasse un'autobiografia, un po' perché penso che sia quello che gli scrittori debbano fare – cercare di nascondersi tra le pagine – un po' perché essendo un racconto molto intimo ho cercato di non scoprirmi e non mettermi troppo in mostra. Quando ho mandato il manoscritto a mio padre ho fatto questa premessa: questa famiglia non siamo noi. Premessa necessaria perché la famiglia del romanzo è molto diversa dalla nostra, ma la relazione fra i fratelli ha risentito molto di quella che è la storia mia e di mio fratello.
Per distaccarmene il più possibile ho ambientato la storia in Messico, anche perché quando ho capito che volevo incentrare questo racconto e questo rapporto sulla bellezza incredibile - quasi surreale e mistica - di Miguel, mi è sembrato perfetto quel posto dove ancora il misticismo è forte; almeno lo era dieci anni fa quando l'ho attraversato nel corso di un viaggio incredibile tra Chapas e Yucatan (il romanzo è ambientato nello Yucatan). Mi è sembrato il posto perfetto per raccontare questa storia, anche per darle quel respiro magico che volevo. Sono molto felice che questa parola (magica) sia stata usata anche dall'editore.
Massimo Cuomo Buonasera a tutti. Per parlare di questo romanzo non posso non parlare dei libri precedenti, perché questo è un percorso nella narrativa iniziato da qualche anno; ogni volta è un'esperienza che mi arricchisce e mi fa capire quale sarà il prossimo passo da fare. Questo è il terzo romanzo e segue “Osteria senza parole”, da cui si differenzia completamente. Quest'ultimo è un libro a cui sono molto affezionato e a cui devo grandi soddisfazioni, che mi ha insegnato molte cose. Mentre lo presentavo in giro, qualcuno ha proposto di andare avanti con questa storia, proseguendo la saga sulla scia di quello che hanno fatto Malvaldi in Toscana o Camilleri in Sicilia con le storie dei bar e delle osterie riportate in letteratura. Io ho invece pensato che la storia si fosse esaurita.
Avevo voglia di mettermi nuovamente alla prova, scrivendo qualcosa di diverso e sono rimasto in attesa che questa storia arrivasse. È successo un pomeriggio, sull'isola dove mio fratello si sposava. Io ero il suo testimone di nozze e sono andato sull'altare a fare un racconto, sostanzialmente una breve relazione sul nostro rapporto, una relazione complessa che ci ha portato a diventare oggi i due migliori amici, ma che è stato anche un percorso tortuoso e complicato.
Il racconto che ho fatto quel giorno è stato talmente intenso e intimo, che hanno iniziato a piangere tutti, anche quelli che non ci conoscevano, dal fotografo alla ragazza del catering. Allora ho compreso si trattava di qualcosa di forte, che andava raccontato in maniera completa. Così ho trovato la mia storia, poi ho fatto di tutto per allontanarla da me, in modo che non sembrasse un'autobiografia, un po' perché penso che sia quello che gli scrittori debbano fare – cercare di nascondersi tra le pagine – un po' perché essendo un racconto molto intimo ho cercato di non scoprirmi e non mettermi troppo in mostra. Quando ho mandato il manoscritto a mio padre ho fatto questa premessa: questa famiglia non siamo noi. Premessa necessaria perché la famiglia del romanzo è molto diversa dalla nostra, ma la relazione fra i fratelli ha risentito molto di quella che è la storia mia e di mio fratello.
Per distaccarmene il più possibile ho ambientato la storia in Messico, anche perché quando ho capito che volevo incentrare questo racconto e questo rapporto sulla bellezza incredibile - quasi surreale e mistica - di Miguel, mi è sembrato perfetto quel posto dove ancora il misticismo è forte; almeno lo era dieci anni fa quando l'ho attraversato nel corso di un viaggio incredibile tra Chapas e Yucatan (il romanzo è ambientato nello Yucatan). Mi è sembrato il posto perfetto per raccontare questa storia, anche per darle quel respiro magico che volevo. Sono molto felice che questa parola (magica) sia stata usata anche dall'editore.
Elisa Giacalone A proposito di magia colgo l'occasione per leggere un pezzo del romanzo, l'incipit, perché da lì respiri l'atmosfera e vedi quel rapporto che c'è tra Miguel e Santiago, quindi entriamo "per direttissima" nell'anima di questi due personaggi piccoli, perché Miguel ha zero giorni e Santiago ha appena cinque anni.
“Dietro il vetro c'è la faccia di Miguel, zero giorni, davanti al vetro c'è la faccia di Santiago, cinque anni. La sua espressione stupita si riflette sulla vetrata assieme al neo sulla guancia destra, come il bottone di una camicetta, come il punto di domanda. E la domanda che pensa Santiago osservando il fratellino nella culla oltre il vetro è una soltanto: perché è così bello? Lo pensano tutti in effetti. Che sia bello in un modo speciale, i grandi sopra la testa di Santiago lo ripetono ad alta voce come una cantilena. Chiunque si muova lungo il corridoio dell'ospedale e si trattenga davanti alla vetrata a un certo punto lo dice “è bellissimo”. Lo è nel confronto impietoso con i sette neonati che gli stanno intorno, cinque maschi e due femmine, alcuni davvero brutti, ciascuno bello solo per la loro madre. Miguel invece è bellissimo per tutti senza margine di dubbio”.
Già qui entriamo in questa bellezza stupefacente che ritorna nel resto del romanzo.
Ora passiamo la parola a Massimo Canuti, alle sue Coincidenze dell'estate.
Non sei alla prima esperienza come romanziere – prima esperienza con la casa editrice E/O – ma avevi già scritto “Contro i cattivi funziona” (edito da Instar Libri, ne ho parlato qui e qui, ndr). Come sei arrivato a questo secondo romanzo?
Massimo Canuti Anche in questo caso l'idea è nata da un'esperienza personale, o meglio, da una sensazione. Quella che si prova quando si entra negli androni in estate, quando fa molto caldo. Tant'è che una volta ho pensato, come sarebbe bello se portassi il materasso e dormissi lì.
Da lì l'idea... se ci fosse veramente qualcuno che ha necessità di rinfrescarsi? Nell'arco del tempo la storia è cresciuta mentre la scrivevo. Spesso quando ho una traccia nella mente, la vedo nascere e crescere solo quando la “metto su carta", un'espressione che ora non si usa più, insomma, quando inizio a scrivere sulla tastiera. In questo caso il romanzo è ambientato a Milano, perché è la mia città, e anche perché è una città che a volte è molto calda in estate, e mi è sembrato lo scenario giusto. Pian piano sono nati i personaggi, come Italo, che suo malgrado si ritrova a vivere per strada in questo periodo difficile e improvvisamente si imbatte in questo androne che per lui diventa proprio una casa, anche perché trova qualcuno disposto a ospitarlo. Da lì nasce una storia di amicizia con Vincenzo.
Il tema dell'adolescenza mi appartiene, anche nel primo libro il protagonista è un adolescente, anche se un po' più piccolo, ma è qualcosa che mi viene facile raccontare.
Elisa Giacalone Ci fermiamo a questo misterioso incontro tra Vincenzo e Italo, misterioso barbone perché non lo sa nemmeno lui perché ha perso la memoria. Ecco perché torniamo al discorso dell'identità perché o i personaggi la stanno cercando o l'hanno persa. E fanno qualcosa per conquistarla o per riconquistarla, come Italo. A questo proposito leggiamo un pezzetto, il momento in cui Vincenzo si imbatte in Italo, sul pianerottolo del proprio palazzo.
Il tema dell'adolescenza mi appartiene, anche nel primo libro il protagonista è un adolescente, anche se un po' più piccolo, ma è qualcosa che mi viene facile raccontare.
Elisa Giacalone Ci fermiamo a questo misterioso incontro tra Vincenzo e Italo, misterioso barbone perché non lo sa nemmeno lui perché ha perso la memoria. Ecco perché torniamo al discorso dell'identità perché o i personaggi la stanno cercando o l'hanno persa. E fanno qualcosa per conquistarla o per riconquistarla, come Italo. A questo proposito leggiamo un pezzetto, il momento in cui Vincenzo si imbatte in Italo, sul pianerottolo del proprio palazzo.
“ Quando esce sul pianerottolo capisce cos'era che lo bloccava.
Il corpo di un uomo.
Vincenzo nota una camicia, per terra, sporca e strappata. Si avvicina al corpo.
La puzza è al limite del fetore. Devono essere giorni, settimane che quell'uomo non si lava. Ha la barba lunga, i capelli grigi. Non riesce a guardarlo bene in faccia per via della posizione bocconi. Anche se a occhio e croce non deve superare i sessant'anni. Forse è morto per la caduta. Si china per controllare se respira.
L'uomo si volta rivelando la sua faccia.
Vincenzo lo osserva. All'inizio quel volto nascosto dalla barba non gli dice niente. Poi però appare qualcosa. Un'immagine di qualche tempo fa.
Non ha dubbi. Quell'uomo l'ha già visto."
Scoprirete poi perché lo riconosce, i due si conoscevano.
Elisa Giacalone Continuando sul filone degli aspetti in comune, una cosa che mi è sembrata avessero è la famiglia. Nel primo caso Miguel e Santiago vivono in una famiglia con due genitori completamente diversi tra loro, nel secondo caso la famiglia si può dire che quasi non esista, non solo nel caso di Vincenzo ma anche in quello di Evelina, perché si scoprirà che anche lei non ha una famiglia solida alle spalle.
Elisa Giacalone Continuando sul filone degli aspetti in comune, una cosa che mi è sembrata avessero è la famiglia. Nel primo caso Miguel e Santiago vivono in una famiglia con due genitori completamente diversi tra loro, nel secondo caso la famiglia si può dire che quasi non esista, non solo nel caso di Vincenzo ma anche in quello di Evelina, perché si scoprirà che anche lei non ha una famiglia solida alle spalle.
Andiamo ora allo stile di scrittura dei due romanzi, partendo dal primo: Massimo Cuomo tratteggia i personaggi, li disegna, ha la capacità di scolpirli, delinearli come quasi fossero in una pellicola. Quanto hai lavorato ai personaggi, visto che a quanto vedo c'è quasi una cura maniacale non solo per quanto riguarda le movenze ma anche il fisico. Ti chiedo se hai sempre lavorato così o se questo romanzo ti ha richiesto maggiore cura.
Massimo Cuomo Do una risposta che parte da lontano, dal mio primo romanzo e che ho raccontato anche nel caso del secondo. Nel primo romanzo tutti mi dicevano “Scorrevole ma non banale”, era un commento bellissimo ma sentivo il desiderio che qualcuno mi dicesse anche “Scritto bene”. Quando mi sono messo a scrivere “Piccola osteria senza parole” ho lavorato sullo stile attraverso un percorso che avevo fatto nei due anni precedenti anche di analisi del testo degli altri; si dice spesso che quando uno inizia a scrivere perde un po' il gusto della lettura perché lo fai in maniera critica e cercando di capire come migliorare la propria scrittura. Anche se ho la sensazione di scrivere così da quando ero ragazzo, sto cercando di limarla. A questo romanzo sono arrivato con il desiderio di fare un passo ulteriore, per arrivare a un pubblico che ho conosciuto negli ultimi due anni, di cui mi sono innamorato, quello dei librai indipendenti che sono un pubblico di lettori forti: ho scoperto che se riesci a conquistarli poi ti regalano tanto in termini di diffusione del tuo romanzo e ho capito che quella è la cosa che più mi interessa. Ieri sera ero a una presentazione a Venezia dove c'era un libraio che ha uno scaffale che ha chiamato “Mai senza”, dove conserva i suoi romanzi preferiti, che sono 500. Ho capito che mi piacerebbe tanto entrare in quelli scaffali, perché è l'unico modo per sopravvivere ai tre mesi di vita media che ha un libro in libreria, per le logiche del mercato attuale.
Ho cercato quindi di scolpire ancora di più la mia scrittura ed è il motivo per cui sono molto lento, non solo perché ci metto tanto a trovare una storia, quanto perché ci metto molto a scriverla. In questo caso mi sono ritrovato a lavorare su una mezza pagina per un'intera giornata. Ho capito che questo è l'unico modo per migliorare la scrittura: lavorare sui singoli dettagli in questo modo. Spero che questo lavoro "arrivi". Rispetto al passato, ho scritto con le cuffie alle orecchie, ho cominciato – per respirare quelle atmosfere – ad ascoltare la musica cubana e altre canzoni attinenti. L'arte influenza l'arte. Ho la sensazione e la speranze che un po' di quella musica sia riuscita ad arrivare al mio romanzo. Non mi sono mai emozionato così tanto e spero che questo abbia aiutato.
Elisa Giacalone La si sente e la si respira quell'atmosfera. Leggiamo un brano in cui si delinea la figura del padre e della madre. Vedrete in poche righe come si tratti di due persone così diverse.
"Vincente Moya non sorride, perché non sorride mai. Guarda il figlio come se aspettasse che a dire qualcosa per primo fosse Miguel, che allunga le dita sui baffi folti dell'uomo, li tira quasi per strapparli, facendogli appena il solletico, e gli strappa invece un sorriso. Splendido, rarissimo, prezioso."
"Maria Serrano non è mai stata bella. E da quando si è maritata a Vincente Moya lo è meno ancora: è diventata solamente la moglie brutta di un marito bellissimo. Così, non appena Miguel le atterra finalmente addosso, lei pallida e consumata dallo sforzo del parto, in un momento è chiaro che da ora sarà pure la madre brutta di un figlio bellissimo. Se le prestassero uno specchio, se le mostrassero l'immagine che produce il primo abbraccio col suo neonato, forse, lo scoprirebbe anche lei. O forse no, perché Maria certe cose non sembra in grado di vederle. Sui gradini della chiesa, in bianco sorrideva e basta, come sorride adesso, come sorrideva cinque anni fa, quando fra le braccia le atterrò il piccolo Santiago.
Santiago, appunto, che entra nella stanza numero sei dietro a tutti, più basso di tutti, senza che nessuno si accorga di lui. Nessuno tranne Maria Serrano, che certe cose non sembra vederle ma le vede sempre."
Vedete già come in contrapposizione abbiamo il sorriso. Una donna che sorride quasi non fosse presente a se stessa, con un sorriso quasi imbarazzato, e il marito invece che non sorride mai e forse per la prima volta ha sorriso quando ha preso in braccio il suo secondogenito. Anche qui tutta la contrapposizione tra i due caratteri e gli stili di vita e di educazione dei due figli.
Andiamo a vedere i personaggi di Massimo Canuti: quanto ci hai lavorato, come sei arrivato a delinearli e a descriverli.
Massimo Canuti: diversamente da Massimo nel mio caso mi viene piuttosto facile buttare giù una trama. Il romanzo l'ho scritto si può dire in un paio di mesi, ovviamente era da riscrivere (il vero lavoro è la riscrittura), però c'era già tutto. Evidentemente ho questa capacità. Ovviamente da lì a dire funziona e va bene ce ne vuole.
Nel mio caso trovo che ci sia continuità con il primo libro anche se anch'io volevo fare un passo avanti, in termini di complessità, anche se la scrittura è simile.
La mia scrittura è molto leggera e scorrevole, mi piace che sia così, i libri che amo di più sono quelli che hanno tanti dialoghi, che fanno parlare i personaggi perché le storie sono mosse dai personaggi che fanno la storia, giorno dopo giorno, tendo invece a limitarmi nelle descrizioni. Faccio sempre in modo che siano i personaggi a condurre la storia. Non a caso, anche in questo romanzo è molto “dialogato”; penso che questo sia un pregio: la spontaneità, la leggerezza con cui si esprimono. Vorrei che fosse sempre così.
Massimo Cuomo: sto leggendo il tuo romanzo e ho apprezzato la capacità dei dialoghi che io in realtà ho perso nel tempo, spinto dalla ricerca della descrizione perfetta, riduco i dialoghi a battute. Mi accorgo che sto andando in quella direzione. Recentemente ho visto un film È solo la fine del mondo di un regista giovanissimo, Xavier Roland, mi ha colpito molto perché è un film senza dialoghi, fa esprimere le relazioni tra le persone attraverso sguardi lunghissimi, in cui si alza la musica, e io ho provato un'emozione fortissima. Ho visto gente che si alzava e usciva. Io mi sono emozionato perché è esattamente quello che vorrei fare: riuscire a comunicare un'emozione e un sentimento attraverso la descrizione di uno sguardo.
Elisa Giacalone Una curiosità: la componente circense che compare in entrambi i romanzi... Nel caso di Bellissimo abbiamo il papà che – non si capisce se nella realtà o in un evento onirico – a un certo punto scapperà con una contorsionista lasciando in sogno la moglie, durante un pomeriggio in cui era andato al circo con la famiglia.
Nel caso di Le Coincidenze dell'estate la sorella di Vincenzo, Serena, scappa con un giocoliere, che ha lavorato al circo.
Leggiamo quindi un momento di gioco circense in un ambiente inusuale, quello di un ospedale, il Fatebenefratelli.
Massimo Canuti: diversamente da Massimo nel mio caso mi viene piuttosto facile buttare giù una trama. Il romanzo l'ho scritto si può dire in un paio di mesi, ovviamente era da riscrivere (il vero lavoro è la riscrittura), però c'era già tutto. Evidentemente ho questa capacità. Ovviamente da lì a dire funziona e va bene ce ne vuole.
Nel mio caso trovo che ci sia continuità con il primo libro anche se anch'io volevo fare un passo avanti, in termini di complessità, anche se la scrittura è simile.
La mia scrittura è molto leggera e scorrevole, mi piace che sia così, i libri che amo di più sono quelli che hanno tanti dialoghi, che fanno parlare i personaggi perché le storie sono mosse dai personaggi che fanno la storia, giorno dopo giorno, tendo invece a limitarmi nelle descrizioni. Faccio sempre in modo che siano i personaggi a condurre la storia. Non a caso, anche in questo romanzo è molto “dialogato”; penso che questo sia un pregio: la spontaneità, la leggerezza con cui si esprimono. Vorrei che fosse sempre così.
Massimo Cuomo: sto leggendo il tuo romanzo e ho apprezzato la capacità dei dialoghi che io in realtà ho perso nel tempo, spinto dalla ricerca della descrizione perfetta, riduco i dialoghi a battute. Mi accorgo che sto andando in quella direzione. Recentemente ho visto un film È solo la fine del mondo di un regista giovanissimo, Xavier Roland, mi ha colpito molto perché è un film senza dialoghi, fa esprimere le relazioni tra le persone attraverso sguardi lunghissimi, in cui si alza la musica, e io ho provato un'emozione fortissima. Ho visto gente che si alzava e usciva. Io mi sono emozionato perché è esattamente quello che vorrei fare: riuscire a comunicare un'emozione e un sentimento attraverso la descrizione di uno sguardo.
Elisa Giacalone Una curiosità: la componente circense che compare in entrambi i romanzi... Nel caso di Bellissimo abbiamo il papà che – non si capisce se nella realtà o in un evento onirico – a un certo punto scapperà con una contorsionista lasciando in sogno la moglie, durante un pomeriggio in cui era andato al circo con la famiglia.
Leggiamo quindi un momento di gioco circense in un ambiente inusuale, quello di un ospedale, il Fatebenefratelli.
Da sinistra, Sandro Ferri, editore di E/O, e Massimo Canuti. |
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