I temi che mi stanno a cuore spaziano dalla fotografia alla Natura, dagli albi illustrati all'educazione, dalla biodiversità alla creatività, dalle notizie giornalistiche alle attività con i bambini. Ho scelto di chiamare il mio blog "A casa di Anna" perché spero che vi sentiate un po' a casa. Mettetevi comodi e leggete. E se avrete voglia di commentare mi farete solo piacere. Buona navigazione.
giovedì 31 marzo 2016
"Hitchcock Truffaut", il film di Kent Jones, dal 4 al 6 aprile al Cinema
Uscirà nelle sale dei cinema italiani dal 4 al 6 aprile il film "Hitchcock Truffaut", diretto dal regista Kent Jones, distribuito da Cinema e Nexo Digital, in collaborazione con Radio DeeJay e MyMoovies.it (media partner).
Un film documentario di 85 minuti che racconta l'importante sodalizio tra i due registi, l'uno inglese per nascita, americano di adozione, l'altro francese, grazie alla famosa intervista di cinquanta ore che Alfred Hitchcock - 63 anni, all'epoca una celebrità in televisione, conosciuto come il maestro della suspence grazie a Psyco - concesse al giovane Fraçois Truffaut nel 1962, rispondendo alle 500 domande che quest'ultimo si era preparato meticolosamente come prima di girare un nuovo film. Il tutto grazie alla traduzione in simultanea di Helen Scott, del French Film Office. E a un reportage fotografico ad hoc.
Il cinema secondo Hitchcock
Grazie al libro di François Truffaut "Il cinema secondo Hitchcock", edito da Il Saggiatore (qui il link dove potrete trovare un "assaggio" in pdf)), il talento del regista inglese emerse definitivamente. Nella prefazione all'edizione definitiva del libro Truffaut scrive "Negli anni Cinquanta e Sessanta Hitchcock si trovava all'apice della creatività e del successo" specie con la serie di trasmissioni televisive "Hitchcock presenta", ma nonostante questo il regista era tenuto in scarsa considerazione dai giornalisti e dai critici americani che dicevano "E' ricco, ha successo ma i suoi film non hanno sostanza".
L'amore per il cinema e il passato di critico (Truffaut scriveva per le "Cahiers du Cinéma" e faceva parte dei registi della Nouvelle Vague come Jean-Luc Godard, Louis Malle, Claude Chabrol), gli fece pensare che Hitchcock era un vero artista, alla pari di Salvador Dalì. Infatti, dalla pubblicazione del libro nel 1968 (ci vollero infatti quattro anni per "far trascrivere i nastri" e "mettere insieme il materiale fotografico"), tutto cambiò e il libro è diventato un caposaldo per chi si avvicina al cinema. La prima versione si fermava al cinquantesimo film "Sipario strappato" (1966... con uno splendido Paul Newman seguace del metodo Stanislavskij di cui il regista non era un fan); la versione aggiornata del libro è stata rivista da Truffaut, anche se riguarda solo gli altri quattro film.
Così lontani, così vicini
Quando si incontrarono Truffaut aveva alle spalle tre film e un'esperienza di critico cinematografico, Hitchcock era all'apice del successo e aveva già girato quaranta film. Due registi così diversi - come emerge anche nel film - il primo istintivo, capace di cambiare un dialogo dopo una chiacchierata con un suo attore, il secondo meticoloso in ogni dettaglio, dalle immagini alle luci, dalle inquadrature alla sceneggiatura, fino al montaggio e al suono. Così diversi eppure così vicini, accumunati da una forte passione per il cinema, per entrambi fonte di vita.
Come racconta Truffaut "Hitchcock non si immischia nella vita, la guarda" e nell'intervista all'amico francese Hitchcock - riguardo al film "La Finestra sul cortile" (del 1954, con due interpreti magistrali, James Stewart e Grace Kelly ) - spiega "Niente avrebbe potuto impedirmi di girare questo film, perché il mio amore per il cinema è più forte di qualsiasi morale".
François Truffaut (1932-1984) era amante della libertà: sofferse molto per la sofferenza che gli procurò il padre adottivo e cercò di sostituirlo in seguito con altri padri "spirituali" quali André Bazin - per primo - Jean Renoir, Roberto Rossellini e, infine, Alfred Hitchcock, al quale rimase legato fino alla morte, nel 1980 (quattro anni prima della sua, precoce, scomparsa a causa di un tumore al cervello).
"Come Hitchcock riuscì a liberare il Trouffaut artista, questi lo liberò dalla fama di intrattenitore".
Talmente "ossessionato" dalla prigionia (il padre lo fece rinchiudere in riformatorio, un episodio che raccontò nel primo film autobiografico, "I quattrocento colpi", del 1959), Truffaut iniziò il libro con la prima domanda ad Alfred Hitchcock che diceva così: "Della sua infanzia conosco soltanto un episodio, quello del commissariato. E' una storia vera?" a cui il regista inglese rispose "Sì avevo forse quattro o cinque anni... Mio padre mi mandò al commissariato di polizia con una lettera. Il Commissario la lesse, e mi rinchiuse in una cella per cinque o dieci minuti dicendomi "Ecco cosa si fa ai bambini cattivi".
Insomma, due uomini, due grandi amici che sapevano cosa era la paura. Due persone che continuarono uno scambio di idee fino alla morte del regista inglese.
#HITCHCOCKTRUFFAUT
Nel film di Kent Kones si fa un tuffo nel passato, rivisitando il magico incontro di una settimana tra i due registi, intervallato dalle osservazioni preziose di registi di oggi quali:
Martin Scorsese
David Fincher
Arnaud Desplechin
Wes Anderson
James Gray
Richard Linklater
Olivier Assayas
Kiyoshi Kurosawa
Peter Bogdanovich
Paul Schrader
Ognuno racconta come sia stato influenzato nel suo lavoro da Hitchcock o spiega come il regista abbia rivoluzionato il modo di fare cinema.
Anche nel suo "Hitchbook" come lo chiamava affettuosamente Truffaut, non solo il regista francese svelava i segreti di un artista, ma anche la sua importanza nella storia del cinema e la rivoluzione che inevitabilmente aveva apportato.
Nel film vengono fuori diversi aspetti, come l'importanza del cinema muto, la forza dell'immagine senza la parola, che ha il suo apice in un film come "La donna che visse due volte/Vertigo" (1958) in cui l'onirico, il contemplativo e il lato "perverso" - come viene spiegato ironicamente (la scena in cui il protagonista chiede a Kim Novak di tingersi bionda...) - emergono prepotentemente.
Si racconta anche della Nuvelle Vague, costituita da "auteurs" (autori) che poi divennero registi e che si consideravano artisti a tutti gli effetti. "Essere un vero artista voleva dire esporsi, "gettarsi" completamente nel proprio film, con tutte le paure e le ossessioni e i feticci, proprio come faceva Hitchcock".
Si racconta brevemente anche la vita di Hitchcock (1899-1980) londinese di nascita, che prima di approdare al cinema hollywoodiano nel 1939 lavorò anche nella pubblicità, in seguito alle sceneggiature e alla produzione. Aveva lavorato anche nel cinema muto: come scrisse Truffaut "Hitchcock è il solo cineasta in grado di filmare e di renderci percettibili i pensieri dei personaggi mentre sappiamo bene che spesso le cose si svolgono diversamente nella vita"... e ..."Se assistiamo bene come osservatori ... avvertiamo benissmo che le parole pronunciate sono secondarie, di convenienza, e che l'essenziale è altrove, nei pensieri degli invitati, pensieri che possiamo cogliere osservando gli sguardi").
Si vedono alcune riprese dell'incontro in cui Hitchcock decide come i due devono posizionarsi davanti alla macchina fotografica (naturalmente lui in alto e il giovane regista in basso!), commentando con il suo humor inglese: "non con i sigari, potremmo sembrare registi".
Nel film, si intravede qualche scorcio - tenero - di vita privata, il rapporto con la moglie Alma Reville, che gli fu sempre accanto sin dagli esordi, e a cui lui chiedeva sempre consiglio (se non lo conoscete, andate a vedervi anche Hitchcock (qui un link), un film del 2012, diretto da Sacha Gervasi, in cui si intravede il rapporto con Alma e la figlia Patricia, magistralmente interpretato da un irriconoscibile Anthony Hopkins e da Helen Mirren).
Vorrei scrivere ancora... c'è molto da dire.... ma al tempo stesso non voglio svelare altro di questo film, sperando di avervi incuriosito.
Qui trovate il trailer in italiano.
Sono sicura che, come è capitato alla sottoscritta, appena usciti, qualcuno andrà a cercarsi il libro di Truffaut (se non lo avete già in casa).
Poiché i giorni a disposizione sono pochissimi, fatevi sotto e cercate subito la sala a voi più vicina: cliccate qui.
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lunedì 21 marzo 2016
La giornata dedicata alla sindrome di Down, Lo zaino di Emma, Il pentolino di Antonino e una maratona per AGPD
Ricorre oggi 21 marzo, come ogni anno, la Giornata Mondiale dedicata alle Persone con Sindrome di Down (World Down Syndrome Day o WDSD link qui). La data non è stata scelta a caso, ma ricorre il 21° giorno del 3° mese dell'anno, per indicare la trisomia (triplicazione) del cromosoma 21 che causa la sindrome di Down. Il 19 dicembre 2011, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) ha dichiarato il 21 marzo la Giornata Mondiale dedicata alla sindrome di Down, da osservare ogni anno a partire dal 2012 invitando "tutti gli Stati membri, le organizzazioni pertinenti del sistema delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali, così come la società civile, tra cui organizzazioni non governative e il settore privato, a osservare la sindrome di Down la Giornata mondiale in modo adeguato, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica di sindrome di Down". Alcuni link interessanti: qui, qui.
"Le persone con sindrome di Down, in condizioni di parità con le altre persone, devono essere in grado di godere dei diritti e delle pari, sia come i bambini e gli adulti. Ciò include la possibilità di partecipare pienamente alla loro comunità.
La realtà per molti è che prevalgono atteggiamenti negativi si traducono in aspettative basso, la discriminazione e l'esclusione, la creazione di comunità dove i bambini e gli adulti con sindrome di Down non possono integrare con successo con i loro coetanei."
La Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sulla Sindrome di Down
Da cinque anni a questa parte si tiene la conferenza internazionale sulla Sindrome di Down presso la sede delle Nazioni Unite ed è organizzata da Sindrome di Down International e promosso ogni anno da Missioni permanenti degli Stati membri delle Nazioni Unite e dalle agenzie internazionali e dalle organizzazioni non governative. La Conferenza affronta ogni volta un tema diverso, che mira in generale per far avanzare i diritti umani delle persone con sindrome di Down e disabilità, attraverso la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD) e altri strumenti sui diritti umani. I relatori provengono da Paesi di tutto il mondo e hanno diverse competenze e qualifiche.
Al quinto meeting della Conferenza mondiale sulla Sindrome di Down a New York (qui un video di presentazione e qui un videomessaggio) ci sarà oggi Martina Fuga, Consigliere di CoorDown ONLUS Italia, che porterà l'intervento su "Come costruire una cultura inclusiva: Comprendere la sindrome di Down attraverso la lente della diversità".
PS qui trovate la relazione che Martina Fuga ha tenuto alle Nazioni Unite e che ha postato sul suo blog Imprevisti oggi 31 marzo.
PS qui trovate la relazione che Martina Fuga ha tenuto alle Nazioni Unite e che ha postato sul suo blog Imprevisti oggi 31 marzo.
Il video di Coordown #HowDoYouSeeMe
CoorDown
Onlus (Coordinatore delle Associazioni italiane di persone con
sindrome di Down Syndrome) celebra la Giornata Mondiale di Down celebra la giornata dedicata alle persone con sindrome di Down attraverso una campagna di comunicazione sociale internazionale realizzata,
attraverso la collaborazione con
agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi, (sede di New York). Quest'anno il cortometraggio si intitola "How Do You See Me?" ovvero "Come mi vedi?" (qui il link per vederlo, la foto è quella a inizio post) ed è stato diretto da Reed Morano e ha avuto come protagoniste l'attrice americana Olivia Wilde, ambasciatore di varie associazioni senza scopo di lucro e AnnaRose, una giovane ragazza con sindrome di Down (qui la sua associazione Anna Foundation) che racconta la sua vita. Un video emozionante contro i pregiudizi, che mostra come si possa vedere la propria vita con occhi diversi a seconda di chi la guardi, dal di dentro o dal di fuori. E su come si possa essere felici e realizzare una vita piena. Gli hashtag ufficiali sono #HowDoYouSeeMe e #WDSD16. Guardate il video e fate girare! Vi invito anche a leggere il bellissimo post di Martina Fuga sul suo blog Imprevisti (qui). Qui anche il pezzo di oggi sul Corriere della Sera nella rubrica Invisibili (grazie Martina Gerosa per la segnalazione!).
AGPD
Martina Fuga fa parte anche di AGPD onlus, (Associazione Genitori e Persone con Sindrome di Down), come si legge sul sito (qui) è "un
punto di riferimento in Lombardia per le persone con sindrome di Down e
per le loro famiglie. Si batte da sempre e opera per l’integrazione, il rispetto, la dignità e la maggior autonomia possibile delle persone con sindrome di Down". Ora capitanata da Rita Viotti che, pur nella sua discrezione, ha dato una impronte di forte pragmaticità portando avanti l'associazione con iniziative davvero interessanti e alla portata del mondo esterno, per far conoscere la sindrome di Down attraverso campagne informative speciali.
All'interno del sito si possono vedere i progetti realizzati e in corso (qui). Qui invece si racconta come l'associazione lo scorso 12 settembre abbia incontrato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia "con la sua capacità unica di essere vicino ai cittadini milanesi." Per il suo incredibile lavoro AGPD il 7 dicembre 2015 ha ricevuto l'Ambrogino d'oro, uno dei riconoscimenti più ambiti nella città, (qui il comunicato ufficiale).
Ma AGDP, sempre proiettata verso il futuro, lancia una nuova sfida, che vi invito a raccogliere: la Milano Marathon 2016. Dopo l'esperienza dello scorso anno, l'associazione invita tutti per una staffetta il 3 aprile per le strade di Milano. In questo caso la corsa sarà legata al progetto: Liberi di scegliere. Liberi di abitare. Non importa se siate staffettisti o maratoneti. Se non amate correre potete anche invitare gli amici a una raccolta fondi. Per gareggiare occorre versare una quota minima che potete incrementare con le loro donazioni. Per la staffetta (quattro partecipanti) compilate il modulo qui, per la maratona (42,195 Km) se volete partecipare come singoli compilate il modulo qui. Altre info sulle quote di iscrizioni qui. Qui la rete del dono. Per info: maratona@agpdonlus.it
Ma AGDP, sempre proiettata verso il futuro, lancia una nuova sfida, che vi invito a raccogliere: la Milano Marathon 2016. Dopo l'esperienza dello scorso anno, l'associazione invita tutti per una staffetta il 3 aprile per le strade di Milano. In questo caso la corsa sarà legata al progetto: Liberi di scegliere. Liberi di abitare. Non importa se siate staffettisti o maratoneti. Se non amate correre potete anche invitare gli amici a una raccolta fondi. Per gareggiare occorre versare una quota minima che potete incrementare con le loro donazioni. Per la staffetta (quattro partecipanti) compilate il modulo qui, per la maratona (42,195 Km) se volete partecipare come singoli compilate il modulo qui. Altre info sulle quote di iscrizioni qui. Qui la rete del dono. Per info: maratona@agpdonlus.it
Lo zaino di Emma
Oggi mi sembra il giorno giusto per parlare di un libro "Lo zaino di Emma" di Martina Fuga, edito da Mondadori, (di cui hanno già parlato tutti: le principali recensioni le trovate riassunte qui) che ho letto tutto d'un fiato a marzo 2015 anche se in realtà, diversi pezzi del libro li avevo già letti sulla pagina facebook "Emma's Friends" e poi sul blog "Imprevisti".
Essendo al tempo stesso così intimo, prezioso, delicato ma anche potente e dirompente, pieno di domande, ha richiesto parecchia elaborazione prima di raccontarlo. Leggere tutte le riflessioni insieme è stato emozionante e mi ha fatto vedere tutte le fragilità e le potenzialità che ogni mamma ha (anche senza avere un figlio con la Sindrome di Down). Ma i genitori di persone con la Sindrome di Down, oltre ad affrontare tutte le problematiche con cui si ha a che fare quando si diventa genitori, hanno un mondo amplificato.
Come spiega Martina
E allora ripercorriamo con questa mamma i pensieri dalla nascita di sua figlia, i dubbi sul non aver fatto indagini prenatali, il rapporto con il marito che, dopo l'arrivo di Emma, li ha resi ancora più complici (purtroppo non è sempre così, perché immagino che un evento del genere sia davvero sconvolgente). Martina ci conduce attraverso le tappe che penso ogni mamma affronti, la confusione, il desiderio di capire di cosa si tratti, le ansie legate alla salute, lo sguardo degli altri.
Martina scrive "Prima della nascita di Emma non avevo mai conosciuto una persona con la sindrome di Down, un mondo che mi è passato tante volte accanto senza che lo incontrassi davvero. Ora che sono mamma di una bambina con la sindrome di Down, vorrei che lo sguardo degli altri fosse diverso, così come vorrei che anche il mio lo fosse stato da ragazza". La chiave forse sono i bambini che con la loro spontaneità "abbattono il muro del silenzio" perché si ha paura di chiedere e i genitori di persone con sindrome di Down si sentono sempre lo sguardo addosso.
Silenzi imbarazzati.
Poi le ansie da prestazione (che le mamme hanno sempre e comunque nei confronti dei figli, e qui si amplificano), che il proprio figlio non ce la faccia. Non sia in grado. Ma Martina ci rassicura (anche nell'introduzione la dedica è a tutti i figli e a Emma "maestra di vita, radiosa, determinata, felice") perché ogni giorno sua figlia è lì a dimostrarle che può farcela.
Poi le frustrazioni per il carico di responsabilità che hanno i fratelli di Emma, Giulia "Ci sono bambini che hanno bisogno di tempo per crescere. Questi bambini si chiamano Down" e Cesare.
Negli ultimi anni si è dedicata maggiore attenzione a questo aspetto: per esempio a Torino lo scorso anno si è dedicato il convegno "Fratelli unici" - organizzato da Area Onlus - sui sibling, così vengono chiamati i fratelli dei disabili (ne ho accennato qui).
I capitoli si dipanano affrontando tutto: dalla rabbia alla burocrazia infinita, dalla scuola ai termini spregiativi usati nei confronti delle persone con sindrome di Down, dalle terapie infinite all'arte della pazienza, dalla maratona (Martina è anche una runner e ha fatto nel libro una dedica speciale) al rapporto meraviglioso con il marito e padre dei suoi figli.
Mi piace finire di parlare di questo libro con queste frasi che ha scritto Martina, perché sono collegate a un filo rosso a un albo che amo moltissimo... e di cui vi parlerò subito sotto.
"Quando cerco di spiegare ai bambini che cos'ha Emma, uso la metafora dello zaino"... E' come se Emma avesse uno zainetto pesante sulle spalle, che le complica un po' le cose, le fa fare più fatica in tutto, ma non c'è nulla che non proverà a fare se non lo vorrà. A volte quello zaino contiene solo il necessario, a volte ha un'attrezzatura più pesante, dipende dall'impresa che dovrà affrontare, una gita al parco con due panini e una coca cola o una scalata in montagna con scarponcini, corde e picchetti; più l'avventura sarà impegnativa, più il suo zaino peserà e lei dovrà metterci più impegno e farà più fatica".
Il pentolino di Antonino
Quando ho letto "Il pentolino di Antonino" di Isabelle Carrier, Kite edizioni, ho pensato subito a un filo rosso che unisse questo albo alla metafora descritta da Martina Fuga.
Antonino è un essere speciale, a cui un giorno è capitato in testa un pentolino. Non si sa perché.
Fatto sta che da allora nonostante sia molto sensibile, abbia un grande senso artistico, la gente lo trova strano. Lo trova diverso.
Insomma, il pentolino gli complica la vita e le relazioni con gli altri.
All'inizio, dopo una fase di rabbia, Antonino decide di nascondersi...
finché non conosce una persona straordinaria...
che gli fa vedere le cose da un'altra prospettiva. Gli "insegna a convivere con il suo pentolino" (accettazione di sé). Gli mostra i "suoi punti forti" e addirittura, gli confeziona una "saccoccia" per il suo pentolino.
Mi piace festeggiare così la giornata dedicata alle persone con la Sindrome di Down e alle mamme che ho conosciuto in questi anni. Per me speciali (anche se non amano farselo dire).
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venerdì 18 marzo 2016
Storia di goccia e fiocco, Il Castoro editore
Mamma: ma non ti aveva fatto una corona Greta?
Andrea: sì, è una corona di fiocco di neve,
è per quello che mi è venuto in mente di fare oggi Fiocco e Goccia.
Magari domani faccio una corona da goccia, così ne ho una di goccia e una di fiocco.
Mamma: alllora potresti fare tu i laboratori al posto mio...
Andrea: Ma io sono piccolo... e timido. Magali pozzo fale il tuo assistente?
Andrea: sì, è una corona di fiocco di neve,
è per quello che mi è venuto in mente di fare oggi Fiocco e Goccia.
Magari domani faccio una corona da goccia, così ne ho una di goccia e una di fiocco.
Mamma: alllora potresti fare tu i laboratori al posto mio...
Andrea: Ma io sono piccolo... e timido. Magali pozzo fale il tuo assistente?
Quando un libro "Stora di Goccia e Fiocco", scritto da Pierdomenico Baccalario e Alessandro Gatti poeticamente illustrato da Simona Mulazzani, Edito da Il Castoro, entra nel cuore di un bambino, che ogni sera ti chiede di leggerlo e rileggerlo ancora... (meno male che lo abbiamo scoperto nella biblioteca Sant'Ambrogio a Milano!!), ecco che a scuola scocca la magia. Le educatrici - meravigliose! - invitano i bambini a comporre immagini con la carta: Andrea ha creato Goccia e Fiocco. Sono emozionata!
Il libro è, a parer mio, molto interessante per diversi motivi. Come mi dice sempre Andrea, cinque anni e furbizia all'ennesima potenza "ti ho fegato: pecché non è un libro solo sono duee!". Infatti, questo è un libro che esplora due punti di vista: quello di una goccia d'inchiostro e quello di un fiocco di neve. Lei, nera e panciuta anche se a forma di lacrima, lui bianco - candido come la neve di cui fa parte - arzigogolato e meraviglioso.
La storia si può leggere come si vuole: prima da un verso, quello di Goccia, ad esempio, poi, voltando fisiacamente il libro, dall'altro verso quello di Fiocco.
La cosa meravigliosa è che le due storie si intrecciano e anche a livello figurativo si hanno due punti di vista (la stessa immagine vista da un lato e dall'altro, che aiuta molto il bambino a osservare le inquadrature da angolazioni diverse).
Goccia
Partendo da Goccia...è una "semplice" goccia d'inchiostro che aspetta con tanta smania di comparire in una delle illustrazioni. Ce ne sono tante...
Ma mentre Goccia immagina sognando a occhi aperti, un vento birichino apre all'improvviso la finestra, facendo volteggiare i disegni in una bellissima danza. Le passano vicini "come tanti sogni" e lei pensa (naturalmente il pensiero è a macchia d'inchiostro!) che vorrebbe camminare tra i fiori (e i bambini scoprono di cosa si tratta), correre in posti misteriosi....
finché la boccetta che la contiene la fa scivolare proprio via dalla finestra (il gatto di casa, prima placidamente accoccolato si accorge e osserva la scena quasi ipnotizzato) e lei si dispera a tal punto che sembra una lacrima.
Poi lo incontra... e la magia ha inizio.
Fiocco
Fiocco è in viaggio sopra una città trasportato da nuvole d'argento e non vede l'ora di buttarsi giù - proprio come un paracadutista - ma non è ancora il momento. E mentre viaggia sopra la città, osservando dall'alto i tetti delle case colorate e i comignoli pieni di fumo, scivola e sogna... sogna di posarsi in un canale per proseguire il suo viaggio in acqua, sogna di confondersi tra gli animali di un circo, sogna di giocare con i bambini, usciti all'aperto per godersi la neve.
E invece, il soffio di un illustratore dalle gote rosse, appena uscito dalla panetteria, lo riporta inalto, proprio quando aveva deciso di posarsi sul vetro di quella vetrina piena di pane e colori.
Risale in alto e là la incontra. Ed è ancora magia.
Provate a sfogliarlo e risfogliarlo con i vostri bambini e ditemi cosa ne pensate. Mi piacerebbe tanto saperlo. Io devo dire che ho imparato a gustarmelo pian piano, non è un libro che di primo acchito può far innamorare, mci vuole tempo per trovare tutti i dettagli della storia. Poi una volta amato, non ci lascia più.
Con questo post partecipo alla bella iniziativa di HomeMadeMamma del Venerdì del libro.
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giovedì 17 marzo 2016
La porta di Anne, di Guia Risari, Mondadori editore
"La porta di Anne" della scrittrice Guia Risari, con le delicate illustrazioni di Arianna Floris (se cliccate sul nome trovate anche gli "studi" preparatori al libro), edito da Mondadori (qui la scheda, dove potete leggere anche il primo capitolo), racconta la storia dei conviventi di Anna Frank negli oltre due anni di "reclusione forzata" nell'alloggio segreto.
Il libro colpisce subito perché si entra nel vivo della quotidianità di ogni abitante della casa, con lo sguardo diverso di ogni protagonista. La scrittrice ha immaginato - dopo un'attenta ricostruzione e un lungo studio e approfondimento della vicenda - i pensieri e le azioni di queste otto persone la mattina prima dell'arresto, prima della deportazione nei campi di sterminio (ai quali è sopravvissuto solo il padre di Anna, Otto Frank). A questi otto sguardi si aggiunge quello dell'esecutore materiale dell'arresto.
Il libro contiene una prefazione in cui si spiegano le motivazioni che stanno alla base del libro e una postfazione in cui si riassumono tutte le organizzazioni che promuovono la memoria di questa vicenda; inoltre fornisce alcuni numeri (agghiaccianti) sullo sterminio avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale a opera delle SS, che ha riguardato non solo gli ebrei (6 milioni), ma anche rom e sinti (500mila), omosessuali (tra 10mila e 600mila), disabili (200mila).
La vicenda si svolge in Olanda, ad Amsterdam, dove i Frank si trasferiscono nel 1933 da Francoforte e dove 5 anni dopo Otto Frank fonda l'azienda Pectacon, dche diventerà la sede dell'Alloggio Segreto (nel libro si spiega tutta la vicenda e si mostra anche la planimetria per avere una migliore idea).
A uno a uno Guia Risari ci presenta i personaggi e i loro pensieri, facendoci entrare nella casa e scoprire i sentimenti più intimi. Peter Van Pels: è il ragazzo vedetta dell'Alloggio, che crede nell'amore per gli altri, nel coraggio e nell'onestà. Un ragazzo religioso, amante degli animali e appassionato di falegnameria. Un ragazzo che si dà da fare, per studiare ed esercitarsi - grazie all'aiuto di Otto Frank - perché "la vita non è tutta qui, in pochi metri quadrati. Prima o poi torneremo là fuori e allora dovrò essere pronto."
Auguste Van Pels: casalinga elegante, nella casa si occupa della cucina; "sposata a un uomo incapace di svegliarsi con un sorriso, una bella parola. ...è invece solare. Ogni mattina però realizza di aver perso la sua libertà. Osserva di nascosto la gente per strada e la invidia perché "La gente continua la sua vita come se niente fosse. Camminano incuranti come automi, senza nemmeno rendersi conto del previlegio che hanno." E si chiede se tutti loro chiusi in quelle quattro mura siano mai esistiti (in silenzio, con rigorosa precisione per non incorrere in errori fatali, con una routine a volte sfiancante). Ha una grande ammirazione per Otto Frank "ottimo poeta e paroliere" mentre pensa che Anne e la sorella siano un po' troppo vivaci. Ma è felice che Anne piaccia a suo figlio Peter, troppo spesso "serio e profondo", con poca fiducia in se stesso.
Anche in quel fatidico giorno, nonostante si svegli con brutti presentimenti, li scaccia via subito perché "In quella mattina calda che annunciava una giornata di sole intenso ad Auguste morire sembrava insensato impossibile, addirittura contro natura".
Otto Frank è l'unico che si salverà. A lui la scrittrice lascia una profonda riflessione su quello che succede agli ebrei, su Hitler e sulle sue folli idee. Di Otto viene fuori tutta l'energia e la vitalità, "la capacità di inventare detti, proverbi, canzoncine mai esistiti". In questo modo ogni giorno si aggrappa a qualcosa di nuovo, senza abbandonarsi alla ripetizione o alla passività per tenere il cervello stimolato". Reagisce con creatività a tutti i divieti imposti pian piano agli ebrei (dalla perdita del lavoro alla mancata frequentazione di luoghi pubblici, dal divieto di fare sport o andare in bici all'attraversamento dei confini).
Nel libro viene fuori tutta la sua dedizione alla famiglia e in particolare alle sue figlie Margot (la maggiore "una grande, dolcissima nave in grado di solcare qualsiasi oceano") e Anne (la minore "Una giunca: rapida, semplice e geniale. Poche assi affusolate e due righe irregolari le consentivano di scivolare a velocità folle sull'oceano, sfidando le onde più altre e rimbalzando sul pelo dell'acqua..."). Viene valorizzato il suo continuo ottimismo e il giusto valore che attribuisce agli aiuti ricevuti dalle persone che consentono loro di vivere nascosti.
Forse è questo suo spirito vitale e ottimistico che riesce a farlo sopravvivere ai campi di sterminio?
Margot Frank è la figlia maggiore "brava, paziente, docile... misurata e saggia...". Margot ama nuotare, perché "L'acqua è il miglior esempio di forza, è leggerezza e invincibilità allo stato puro". Energica, determinata, ama anche pattinare. Tutte passioni che non può più coltivare, se non nei sogni. Ma non cede alla quotidianità. Si è iscritta a un corso di latino per corrispondenza e insieme alla sorella a un corso di stenografia. Margot è una ragazza che si da da fare. Lei e Anne condividono la passione per il cinema. Vorrebbe viaggiare una volta uscita.
Fritz Pfeffer è il passionale della casa: scrive lettere d'amore con impeto, preso dal trasporto e dal coinvolgimento per Charlotte, la donna che ha ridato un senso alla sua vita "bella: alta, bionda, con capelli a boccoli, un piccolo naso all'insù e la bocca espressiva valorizzata da rossetti scuri". Non scrive brutte copie ma compone "le lettere a mente, declamando tra sé lunghe frasi che si srotolavano come le perle di una collana" (wow!!). Friztz è arrivato in seguito nell'alloggio, nel novembre 1942 ( i Frank sono entrati a luglio, quando Margot ha ricevuto una convocazione per un campo di lavoro"in Germania). Fritz ama le passeggiate e le uscite in solitaria a cavallo. Ha un figlio che ha allevato da solo ed è riuscito a far fuggire per tempo in Inghilterra.
Ed ecco Edith Frank, forse la figura più fragile: la vita nell'alloggio segreto per lei è "insopportabile e ripetitiva e senza scampo". Lo spazio è angusto. Sono lì da 760 giorni. Non ce la fa più. Al contrario del marito, è una persona misurata e osservatrice, le mancano le piccole cose, le manca l'aria. È molto religiosa e si aggrappa tenacemente alla sua fede. Anche se appare premurosa e gentile, nasconde a tutti le sue ansie e le sue frustrazioni. Solo una lacrima che scivola sul suo volto rivela quello che veramente prova.
Hermann Van Pels ha un "amore sviscerato per la cucina e in particolare per il sapore, l'odore, la consistenza e il colore della carne". Quello è il suo talento. Ha cercato invano cercato di trasmettere la sua passione al figlio, ma Peter è fantasioso e svagato, adora il legno e gli animali. Pensa a Peter e alle occhiatine che si lanciano lui e Anne e spera in una storia d'amore fra i due, consapevole di quello che potrebbero non vivere.
Anne Frank arriva in chiusura: è una ragazzina vivace; da amante del cinema, le sembra di vivere in un film in quello spazio angusto. Anne sa di essere "difficile e di non comportarsi bene". Il suo grande amore sono la lettura e la scrittura. Ha iniziato un diario a cui confida i suoi segreti.
I sogni di tutti i protagonisti della casa si infrangono la mattina del 4 agosto del 1944, quando, grazie a una soffiata di un'informatrice, un ufficiale delle SS Karl Josef Silberbauer apre il nascondiglio segreto, fa preparare le valigie agli abitanti della casa e li fa deportare. Di lì a poco saranno smistati in vari campi di concentramento.
La scrittrice ha scelto di dedicare a Karl Josef Silberbauer la parte iniziale e finale del libro, per dovere di cronaca. Abituato a indagare e fare sopralluoghi entra nella Gestapo, dove però è una sorta di "pedina" spostata all'occorrenza di Paese in Paese. La sua figura mi ha riportato alla mente il bellissimo film "Le vite degli altri" dove il protagonista inizialmente è un esecutore degli ordini che gli vengono impartiti (solo che nel film c'è una svolta di conversione che qui manca. Ma non siamo in un film, siamo nella realtà).
Che dire, se non che il libro si legge tutto di un fiato, è ben scritto e a tratti poetico nonostante l'argomeno: si respira ogni istante insieme ai protagonisti e te li vedi, ti sembra di essere accanto a loro, vivere i loro disagi e i loro sogni.
Proprio per questo, ho voluto terminare con un'intervista alla scrittrice perché il libro ha creato in me molte domande, a cui, molto gentilmente Guia Risari ha risposto subito.
Trovo molto interessante questa idea di colmare il vuoto di scoprire cosa sia successo anche alle persone nella casa con Anne. Cosa ti ha spinto a farlo e quanto tempo ti ha richiesto lo studio e l'approfondimento di una tematica così delicata, su cui in tanti hanno già scritto molto?
Mi ha dato l'idea Marta Mazza, editor della Mondadori, e io l'ho "colta al balzo" perché andava nel senso delle mie convinzioni più profonde, ovvero che nessun essere umano è l'unico protagonista di una vicenda. Noi siamo nutriti - e direi, pericolosamente - dal mito dell'eroe e dell'eroina che contiene in sé i corollari di destino eccezionale, apparenza fuori dal comune, doti uniche, e molto altro. Se questi grandi personaggi possono ispirare, falsano però la costruzione di un sé sano - che si delinea lentamente, grazie agli errori e al confronto - e una buona pratica sociale, la quale dovrebbe ricordarci che siamo tutti interconnessi e quel che capita a un altro capita in qualche modo anche a noi.
Anne Frank rischia di diventare l'icona di una vittima, un simbolo, "un fantoccio", invece di essere ricordata nella sua umanità quotidiana, nelle sue" bizze" e nelle sue relazioni con gli altri. Per questo, aveva senso inserirla nel suo contesto: l'alloggio segreto e le persone con cui condivise la sua esistenza per più di due anni.
E' vero che tanti libri sono stati dedicati ad Anne Frank, ma mancava la dimensione corale e anche
il punto di vista dell'aguzzino che compì il fatidico arresto. Senza questa dimensione, senza questa prospettiva - negativa ma realistica - la storia di Anne Frank è un'idealizzazione. Il male, infatti, non è una teoria astratta, né un nemico oscuro e imbattibile: è incarnato in individui assolutamente normali, le cui debolezze diventano motivi di rivalsa e di odio. Anche questo era importante per me sottolineare.
Sei andata a visitare la casa di Anna Frank. Se si, cosa ti ha colpito?
Non ho avuto modo di visitare la casa di Anne Frank, ma ho studiato la ricostruzione dell'Alloggio Segreto presente nel sito dell'organizzazione olandese dedicata ad Anne Frank. In una sezione, c'è un programma che permette di entrare e visitarlo (qui il link).
Si trattava di un appartamentino per due famiglie, situato ad Amsterdam, al 263 di Prinsengracht, in un edificio commerciale che ospitava gli uffici dell'azienda di Otto Frank. L'appartamento sorgeva al II piano, al termine di una scala ripidissima, che conduceva in una stanzetta archivio.
La porta dell'alloggio si nascondeva dietro una libreria girevole.
Appena entrati, andando dritto s'incontrava la stanza di Otto, Edith e Margot Frank; a destra dell'ingresso c'era il bagno; dietro il bagno, la stanza che condividevano Fritz Pfeiffer e Anne.
Al III piano, c'era la stanza di Peter Van Pels e, dietro, il soggiorno e sala da pranzo che, di notte, fungeva da camera da letto di Herman e Auguste Van Pels.
Al piano superiore, c'era una soffitta in cui venivano stoccate le provviste; era l'unica stanza dotata di finestra,da cui si poteva sbirciare con molta attenzione l'esterno.
Quel che bisogna immaginarsi, visto che l'appartamento confinava con un'azienda, è l'assoluto silenzio che, negli orari d'ufficio, doveva essere mantenuto. Tutti indossavano pantofole e bisbigliavano. L'uso dell'acqua era vietato fino alla chiusura (dell'azienda).
Un'altra autrice per ragazzi, Daniela Palumbo (qui il post), ha raccontato che per riuscire a fare un'operazione del genere, così faticosa, bisogna essere empatici e mettersi nei panni dell'altro. Tu cosa ne pensi? Come sei riuscita a immaginarti i personaggi? Il racconto appare così spontaneo; sembra che tu fossi lì a vivere nella casa con loro.
L'empatia è un ingrediente fondamentale per ogni buon essere umano. Tanto più, poi, se si pensa di parlare agli altri di come certe persone hanno vissuto determinati eventi, specie se tragici. Per mantenere attivo il proprio grado di empatia, bisogna ricordarsi che quel che accade o è accaduto a un altro non è lontano, ma ci riguarda in prima persona, indipendentemente dal tempo e dallo spazio. Bisogna ricordarsi insomma che siamo tutti uniti, connessi da una rete di relazioni dirette o indirette, la famosa "social catena" di Leopardiana memoria non è una posizione astratta, ma reale. Personalmente è così che faccio: dietro alla facciata, cerco sempre la persona viva, fatta di gusti, vicende, capricci, dettagli. In questo caso specifico, mi sono documentata leggendo, ascoltando interviste, guardando foto: ho fatto un viaggio umano e personalissimo nel tempo e, a ogni racconto, ho rivissuto un'esperienza. Ho anche pensato che, come tutti i piccoli gruppi costretti a vivere insieme a stretto contatto, si fosse verificato una sorta di contagio nell'immaginario collettivo. A tutti gli abitanti dell'Alloggio Segreto doveva mancare l'aria aperta, la libertà, il territorio sconfinato dei sogni.
Io penso che libri come questi tengano viva la Memoria specie nelle nuove generazioni che non hanno vissuto questa tragedia. Cosa pensi che si possa fare d'altro? In realtà i ragazzi e i bambini di oggi sono sommersi a volte da informazioni su tragedie gravi che si svolgono nel mondo. Tu pensi che questa sia stata la prima grande tragedia dell'Umanità? È per questo che se ne parla, per fortuna, ancora?
La memoria è il tesoro dell'umanità. È buffo che la gente si affezioni alle cose materiali e le difenda con la vita, mentre qualcosa di impalpabile come la memoria sembra un aspetto accessorio, qualcosa di poco importante che muove solo degli stupidi nostalgici. La memoria invece è tutto. Non solo la memoria della storia del pianeta, delle tappe evolutive delle società umane, ma anche la memoria personale di ciò che si è vissuto, non si è vissuto e si è sognato, immaginato, sperato. Considero la memoria così fondamentale che arrivo a dire che una persona è tutto quel che può ricordare e trasmettere. La memoria non è solo un bagaglio, ma una facoltà da stimolare e mantenere viva.
Un libro può contribuire in questo senso, incentivando l'uso della memoria attiva e spingendo a ricordare e rielaborare. E questo vale per tutte le età.
Credo che viviamo in un'epoca che adora celebrare le sciagure e le tragedie, come se fossero un valore in sé e soprattutto come se fossero delle catastrofi naturali, dei fatti ineluttabili. La maggior parte di questi tristi eventi, invece, non è affatto inevitabile. Parlarne per me significa spiegare le ragioni del loro accadere e le conseguenze che hanno comportato. Altrimenti, se si tratta di "lucidare una data con annessi e connessi" - targhe commemorative, statue, cerimonie, discorsi celebrativi - la cosa non mi interessa: è una memoria strumentale, fittizia.
Ci sono poi ancora - e questo non va dimenticato - molte fonti che cercano di occultare i fatti.
Il famigerato revisionismo che nega l'esistenza delle camere a gas e dei campi di sterminio non è sfortunatamente censurato. Così come non lo sono i movimenti neonazisti, xenofobi o razzisti. Il Ku Klux Clan, responsabile di migliaia di linciaggi anche nel XX secolo, ha un sito pubblico, regolarmente finanziato e visitato.
In nome della libertà di pensiero, viene così consentito di cancellare il passato e di mostrare il presente come un terreno fertile per nuove battaglie contro qualcuno, che è naturalmente sempre un "altro".
Anche questo bisognerebbe ricordare: se non si deve smettere di raccontare la Shoah e gli stermini avvenuti nella Seconda Guerra mondiale non lo si fa per celebrare un popolo, ma per rammentare che, insieme a lui, sono stati colpiti tanti esseri umani: rom, disabili fisici e psichici, omosessuali, dissidenti politici, credenti, stranieri, delinquenti comuni.
Questa non è la prima né sarà l'ultima tragedia dell'umanità. Potremmo ricordare, tra gli altri, lo sterminio delle popolazioni americane, la deportazione in massa degli africani, la persecuzione dei cosiddetti "eretici", la caccia alle streghe, i gulag, i campi di rieducazione, la distruzione degli armeni. Quando si parla di fatti storici così gravi, non si dovrebbe poterli manipolare e, meno che mai, si dovrebbe entrare in un conflitto di memorie, per cui se ricordo un genocidio ne dimentico o sottovaluto un altro. Ogni evento è unico, ma funziona da modello. E in quanto tale deve essere studiato, capito e "servire" alle generazioni future.
Se vuoi aggiungere altre cose e suggestioni al libro, le emozioni che hai provato...
Scrivere un libro come questo mi ha inevitabilmente rattristata. Avrei preferito vivere in un mondo migliore dove nessuno, per sopravvivere, dovesse nascondersi e scomparire. Non ho affrontato questo compito alla leggera e nemmeno come una sfida (detesto le competizioni), ma come un dovere: il dovere di far rivivere delle persone che in un mondo migliore, il posto dove vorrei vivere appunto, avrebbero contribuito insieme agli altri ad arricchire la società con le loro personalità e le loro doti. Quel che ho voluto comunicare con "La porta di Anne", nel ricordare ognuna di queste persone, è soprattutto un senso di perdita collettiva.
Spero che dopo aver letto questo libro sorgano spontanee delle domande. Com'è stata possibile una cosa del genere? Si poteva evitare che accadesse? Potrebbe succedere ancora? Che cos'è una società giusta? Che cos'è un essere umano?
Che valore ha la vita?
Sono domande che non si possono ignorare e credo che sia il compito di ognuno di noi cercare delle risposte.
Grazie Guia. Ho imparato molto e ho ancora molto da imparare. Ma grazie a te, la riflessione continua....
Il libro colpisce subito perché si entra nel vivo della quotidianità di ogni abitante della casa, con lo sguardo diverso di ogni protagonista. La scrittrice ha immaginato - dopo un'attenta ricostruzione e un lungo studio e approfondimento della vicenda - i pensieri e le azioni di queste otto persone la mattina prima dell'arresto, prima della deportazione nei campi di sterminio (ai quali è sopravvissuto solo il padre di Anna, Otto Frank). A questi otto sguardi si aggiunge quello dell'esecutore materiale dell'arresto.
Il libro contiene una prefazione in cui si spiegano le motivazioni che stanno alla base del libro e una postfazione in cui si riassumono tutte le organizzazioni che promuovono la memoria di questa vicenda; inoltre fornisce alcuni numeri (agghiaccianti) sullo sterminio avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale a opera delle SS, che ha riguardato non solo gli ebrei (6 milioni), ma anche rom e sinti (500mila), omosessuali (tra 10mila e 600mila), disabili (200mila).
La vicenda si svolge in Olanda, ad Amsterdam, dove i Frank si trasferiscono nel 1933 da Francoforte e dove 5 anni dopo Otto Frank fonda l'azienda Pectacon, dche diventerà la sede dell'Alloggio Segreto (nel libro si spiega tutta la vicenda e si mostra anche la planimetria per avere una migliore idea).
A uno a uno Guia Risari ci presenta i personaggi e i loro pensieri, facendoci entrare nella casa e scoprire i sentimenti più intimi. Peter Van Pels: è il ragazzo vedetta dell'Alloggio, che crede nell'amore per gli altri, nel coraggio e nell'onestà. Un ragazzo religioso, amante degli animali e appassionato di falegnameria. Un ragazzo che si dà da fare, per studiare ed esercitarsi - grazie all'aiuto di Otto Frank - perché "la vita non è tutta qui, in pochi metri quadrati. Prima o poi torneremo là fuori e allora dovrò essere pronto."
Auguste Van Pels: casalinga elegante, nella casa si occupa della cucina; "sposata a un uomo incapace di svegliarsi con un sorriso, una bella parola. ...è invece solare. Ogni mattina però realizza di aver perso la sua libertà. Osserva di nascosto la gente per strada e la invidia perché "La gente continua la sua vita come se niente fosse. Camminano incuranti come automi, senza nemmeno rendersi conto del previlegio che hanno." E si chiede se tutti loro chiusi in quelle quattro mura siano mai esistiti (in silenzio, con rigorosa precisione per non incorrere in errori fatali, con una routine a volte sfiancante). Ha una grande ammirazione per Otto Frank "ottimo poeta e paroliere" mentre pensa che Anne e la sorella siano un po' troppo vivaci. Ma è felice che Anne piaccia a suo figlio Peter, troppo spesso "serio e profondo", con poca fiducia in se stesso.
Anche in quel fatidico giorno, nonostante si svegli con brutti presentimenti, li scaccia via subito perché "In quella mattina calda che annunciava una giornata di sole intenso ad Auguste morire sembrava insensato impossibile, addirittura contro natura".
Otto Frank è l'unico che si salverà. A lui la scrittrice lascia una profonda riflessione su quello che succede agli ebrei, su Hitler e sulle sue folli idee. Di Otto viene fuori tutta l'energia e la vitalità, "la capacità di inventare detti, proverbi, canzoncine mai esistiti". In questo modo ogni giorno si aggrappa a qualcosa di nuovo, senza abbandonarsi alla ripetizione o alla passività per tenere il cervello stimolato". Reagisce con creatività a tutti i divieti imposti pian piano agli ebrei (dalla perdita del lavoro alla mancata frequentazione di luoghi pubblici, dal divieto di fare sport o andare in bici all'attraversamento dei confini).
Nel libro viene fuori tutta la sua dedizione alla famiglia e in particolare alle sue figlie Margot (la maggiore "una grande, dolcissima nave in grado di solcare qualsiasi oceano") e Anne (la minore "Una giunca: rapida, semplice e geniale. Poche assi affusolate e due righe irregolari le consentivano di scivolare a velocità folle sull'oceano, sfidando le onde più altre e rimbalzando sul pelo dell'acqua..."). Viene valorizzato il suo continuo ottimismo e il giusto valore che attribuisce agli aiuti ricevuti dalle persone che consentono loro di vivere nascosti.
Forse è questo suo spirito vitale e ottimistico che riesce a farlo sopravvivere ai campi di sterminio?
Margot Frank è la figlia maggiore "brava, paziente, docile... misurata e saggia...". Margot ama nuotare, perché "L'acqua è il miglior esempio di forza, è leggerezza e invincibilità allo stato puro". Energica, determinata, ama anche pattinare. Tutte passioni che non può più coltivare, se non nei sogni. Ma non cede alla quotidianità. Si è iscritta a un corso di latino per corrispondenza e insieme alla sorella a un corso di stenografia. Margot è una ragazza che si da da fare. Lei e Anne condividono la passione per il cinema. Vorrebbe viaggiare una volta uscita.
Fritz Pfeffer è il passionale della casa: scrive lettere d'amore con impeto, preso dal trasporto e dal coinvolgimento per Charlotte, la donna che ha ridato un senso alla sua vita "bella: alta, bionda, con capelli a boccoli, un piccolo naso all'insù e la bocca espressiva valorizzata da rossetti scuri". Non scrive brutte copie ma compone "le lettere a mente, declamando tra sé lunghe frasi che si srotolavano come le perle di una collana" (wow!!). Friztz è arrivato in seguito nell'alloggio, nel novembre 1942 ( i Frank sono entrati a luglio, quando Margot ha ricevuto una convocazione per un campo di lavoro"in Germania). Fritz ama le passeggiate e le uscite in solitaria a cavallo. Ha un figlio che ha allevato da solo ed è riuscito a far fuggire per tempo in Inghilterra.
Ed ecco Edith Frank, forse la figura più fragile: la vita nell'alloggio segreto per lei è "insopportabile e ripetitiva e senza scampo". Lo spazio è angusto. Sono lì da 760 giorni. Non ce la fa più. Al contrario del marito, è una persona misurata e osservatrice, le mancano le piccole cose, le manca l'aria. È molto religiosa e si aggrappa tenacemente alla sua fede. Anche se appare premurosa e gentile, nasconde a tutti le sue ansie e le sue frustrazioni. Solo una lacrima che scivola sul suo volto rivela quello che veramente prova.
Hermann Van Pels ha un "amore sviscerato per la cucina e in particolare per il sapore, l'odore, la consistenza e il colore della carne". Quello è il suo talento. Ha cercato invano cercato di trasmettere la sua passione al figlio, ma Peter è fantasioso e svagato, adora il legno e gli animali. Pensa a Peter e alle occhiatine che si lanciano lui e Anne e spera in una storia d'amore fra i due, consapevole di quello che potrebbero non vivere.
Anne Frank arriva in chiusura: è una ragazzina vivace; da amante del cinema, le sembra di vivere in un film in quello spazio angusto. Anne sa di essere "difficile e di non comportarsi bene". Il suo grande amore sono la lettura e la scrittura. Ha iniziato un diario a cui confida i suoi segreti.
I sogni di tutti i protagonisti della casa si infrangono la mattina del 4 agosto del 1944, quando, grazie a una soffiata di un'informatrice, un ufficiale delle SS Karl Josef Silberbauer apre il nascondiglio segreto, fa preparare le valigie agli abitanti della casa e li fa deportare. Di lì a poco saranno smistati in vari campi di concentramento.
La scrittrice ha scelto di dedicare a Karl Josef Silberbauer la parte iniziale e finale del libro, per dovere di cronaca. Abituato a indagare e fare sopralluoghi entra nella Gestapo, dove però è una sorta di "pedina" spostata all'occorrenza di Paese in Paese. La sua figura mi ha riportato alla mente il bellissimo film "Le vite degli altri" dove il protagonista inizialmente è un esecutore degli ordini che gli vengono impartiti (solo che nel film c'è una svolta di conversione che qui manca. Ma non siamo in un film, siamo nella realtà).
Che dire, se non che il libro si legge tutto di un fiato, è ben scritto e a tratti poetico nonostante l'argomeno: si respira ogni istante insieme ai protagonisti e te li vedi, ti sembra di essere accanto a loro, vivere i loro disagi e i loro sogni.
Proprio per questo, ho voluto terminare con un'intervista alla scrittrice perché il libro ha creato in me molte domande, a cui, molto gentilmente Guia Risari ha risposto subito.
Trovo molto interessante questa idea di colmare il vuoto di scoprire cosa sia successo anche alle persone nella casa con Anne. Cosa ti ha spinto a farlo e quanto tempo ti ha richiesto lo studio e l'approfondimento di una tematica così delicata, su cui in tanti hanno già scritto molto?
Mi ha dato l'idea Marta Mazza, editor della Mondadori, e io l'ho "colta al balzo" perché andava nel senso delle mie convinzioni più profonde, ovvero che nessun essere umano è l'unico protagonista di una vicenda. Noi siamo nutriti - e direi, pericolosamente - dal mito dell'eroe e dell'eroina che contiene in sé i corollari di destino eccezionale, apparenza fuori dal comune, doti uniche, e molto altro. Se questi grandi personaggi possono ispirare, falsano però la costruzione di un sé sano - che si delinea lentamente, grazie agli errori e al confronto - e una buona pratica sociale, la quale dovrebbe ricordarci che siamo tutti interconnessi e quel che capita a un altro capita in qualche modo anche a noi.
Anne Frank rischia di diventare l'icona di una vittima, un simbolo, "un fantoccio", invece di essere ricordata nella sua umanità quotidiana, nelle sue" bizze" e nelle sue relazioni con gli altri. Per questo, aveva senso inserirla nel suo contesto: l'alloggio segreto e le persone con cui condivise la sua esistenza per più di due anni.
E' vero che tanti libri sono stati dedicati ad Anne Frank, ma mancava la dimensione corale e anche
il punto di vista dell'aguzzino che compì il fatidico arresto. Senza questa dimensione, senza questa prospettiva - negativa ma realistica - la storia di Anne Frank è un'idealizzazione. Il male, infatti, non è una teoria astratta, né un nemico oscuro e imbattibile: è incarnato in individui assolutamente normali, le cui debolezze diventano motivi di rivalsa e di odio. Anche questo era importante per me sottolineare.
Sei andata a visitare la casa di Anna Frank. Se si, cosa ti ha colpito?
Non ho avuto modo di visitare la casa di Anne Frank, ma ho studiato la ricostruzione dell'Alloggio Segreto presente nel sito dell'organizzazione olandese dedicata ad Anne Frank. In una sezione, c'è un programma che permette di entrare e visitarlo (qui il link).
Si trattava di un appartamentino per due famiglie, situato ad Amsterdam, al 263 di Prinsengracht, in un edificio commerciale che ospitava gli uffici dell'azienda di Otto Frank. L'appartamento sorgeva al II piano, al termine di una scala ripidissima, che conduceva in una stanzetta archivio.
La porta dell'alloggio si nascondeva dietro una libreria girevole.
Appena entrati, andando dritto s'incontrava la stanza di Otto, Edith e Margot Frank; a destra dell'ingresso c'era il bagno; dietro il bagno, la stanza che condividevano Fritz Pfeiffer e Anne.
Al III piano, c'era la stanza di Peter Van Pels e, dietro, il soggiorno e sala da pranzo che, di notte, fungeva da camera da letto di Herman e Auguste Van Pels.
Al piano superiore, c'era una soffitta in cui venivano stoccate le provviste; era l'unica stanza dotata di finestra,da cui si poteva sbirciare con molta attenzione l'esterno.
Quel che bisogna immaginarsi, visto che l'appartamento confinava con un'azienda, è l'assoluto silenzio che, negli orari d'ufficio, doveva essere mantenuto. Tutti indossavano pantofole e bisbigliavano. L'uso dell'acqua era vietato fino alla chiusura (dell'azienda).
Un'altra autrice per ragazzi, Daniela Palumbo (qui il post), ha raccontato che per riuscire a fare un'operazione del genere, così faticosa, bisogna essere empatici e mettersi nei panni dell'altro. Tu cosa ne pensi? Come sei riuscita a immaginarti i personaggi? Il racconto appare così spontaneo; sembra che tu fossi lì a vivere nella casa con loro.
L'empatia è un ingrediente fondamentale per ogni buon essere umano. Tanto più, poi, se si pensa di parlare agli altri di come certe persone hanno vissuto determinati eventi, specie se tragici. Per mantenere attivo il proprio grado di empatia, bisogna ricordarsi che quel che accade o è accaduto a un altro non è lontano, ma ci riguarda in prima persona, indipendentemente dal tempo e dallo spazio. Bisogna ricordarsi insomma che siamo tutti uniti, connessi da una rete di relazioni dirette o indirette, la famosa "social catena" di Leopardiana memoria non è una posizione astratta, ma reale. Personalmente è così che faccio: dietro alla facciata, cerco sempre la persona viva, fatta di gusti, vicende, capricci, dettagli. In questo caso specifico, mi sono documentata leggendo, ascoltando interviste, guardando foto: ho fatto un viaggio umano e personalissimo nel tempo e, a ogni racconto, ho rivissuto un'esperienza. Ho anche pensato che, come tutti i piccoli gruppi costretti a vivere insieme a stretto contatto, si fosse verificato una sorta di contagio nell'immaginario collettivo. A tutti gli abitanti dell'Alloggio Segreto doveva mancare l'aria aperta, la libertà, il territorio sconfinato dei sogni.
Io penso che libri come questi tengano viva la Memoria specie nelle nuove generazioni che non hanno vissuto questa tragedia. Cosa pensi che si possa fare d'altro? In realtà i ragazzi e i bambini di oggi sono sommersi a volte da informazioni su tragedie gravi che si svolgono nel mondo. Tu pensi che questa sia stata la prima grande tragedia dell'Umanità? È per questo che se ne parla, per fortuna, ancora?
La memoria è il tesoro dell'umanità. È buffo che la gente si affezioni alle cose materiali e le difenda con la vita, mentre qualcosa di impalpabile come la memoria sembra un aspetto accessorio, qualcosa di poco importante che muove solo degli stupidi nostalgici. La memoria invece è tutto. Non solo la memoria della storia del pianeta, delle tappe evolutive delle società umane, ma anche la memoria personale di ciò che si è vissuto, non si è vissuto e si è sognato, immaginato, sperato. Considero la memoria così fondamentale che arrivo a dire che una persona è tutto quel che può ricordare e trasmettere. La memoria non è solo un bagaglio, ma una facoltà da stimolare e mantenere viva.
Un libro può contribuire in questo senso, incentivando l'uso della memoria attiva e spingendo a ricordare e rielaborare. E questo vale per tutte le età.
Credo che viviamo in un'epoca che adora celebrare le sciagure e le tragedie, come se fossero un valore in sé e soprattutto come se fossero delle catastrofi naturali, dei fatti ineluttabili. La maggior parte di questi tristi eventi, invece, non è affatto inevitabile. Parlarne per me significa spiegare le ragioni del loro accadere e le conseguenze che hanno comportato. Altrimenti, se si tratta di "lucidare una data con annessi e connessi" - targhe commemorative, statue, cerimonie, discorsi celebrativi - la cosa non mi interessa: è una memoria strumentale, fittizia.
Ci sono poi ancora - e questo non va dimenticato - molte fonti che cercano di occultare i fatti.
Il famigerato revisionismo che nega l'esistenza delle camere a gas e dei campi di sterminio non è sfortunatamente censurato. Così come non lo sono i movimenti neonazisti, xenofobi o razzisti. Il Ku Klux Clan, responsabile di migliaia di linciaggi anche nel XX secolo, ha un sito pubblico, regolarmente finanziato e visitato.
In nome della libertà di pensiero, viene così consentito di cancellare il passato e di mostrare il presente come un terreno fertile per nuove battaglie contro qualcuno, che è naturalmente sempre un "altro".
Anche questo bisognerebbe ricordare: se non si deve smettere di raccontare la Shoah e gli stermini avvenuti nella Seconda Guerra mondiale non lo si fa per celebrare un popolo, ma per rammentare che, insieme a lui, sono stati colpiti tanti esseri umani: rom, disabili fisici e psichici, omosessuali, dissidenti politici, credenti, stranieri, delinquenti comuni.
Questa non è la prima né sarà l'ultima tragedia dell'umanità. Potremmo ricordare, tra gli altri, lo sterminio delle popolazioni americane, la deportazione in massa degli africani, la persecuzione dei cosiddetti "eretici", la caccia alle streghe, i gulag, i campi di rieducazione, la distruzione degli armeni. Quando si parla di fatti storici così gravi, non si dovrebbe poterli manipolare e, meno che mai, si dovrebbe entrare in un conflitto di memorie, per cui se ricordo un genocidio ne dimentico o sottovaluto un altro. Ogni evento è unico, ma funziona da modello. E in quanto tale deve essere studiato, capito e "servire" alle generazioni future.
Se vuoi aggiungere altre cose e suggestioni al libro, le emozioni che hai provato...
Scrivere un libro come questo mi ha inevitabilmente rattristata. Avrei preferito vivere in un mondo migliore dove nessuno, per sopravvivere, dovesse nascondersi e scomparire. Non ho affrontato questo compito alla leggera e nemmeno come una sfida (detesto le competizioni), ma come un dovere: il dovere di far rivivere delle persone che in un mondo migliore, il posto dove vorrei vivere appunto, avrebbero contribuito insieme agli altri ad arricchire la società con le loro personalità e le loro doti. Quel che ho voluto comunicare con "La porta di Anne", nel ricordare ognuna di queste persone, è soprattutto un senso di perdita collettiva.
Spero che dopo aver letto questo libro sorgano spontanee delle domande. Com'è stata possibile una cosa del genere? Si poteva evitare che accadesse? Potrebbe succedere ancora? Che cos'è una società giusta? Che cos'è un essere umano?
Che valore ha la vita?
Sono domande che non si possono ignorare e credo che sia il compito di ognuno di noi cercare delle risposte.
Grazie Guia. Ho imparato molto e ho ancora molto da imparare. Ma grazie a te, la riflessione continua....
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martedì 15 marzo 2016
Le storie beduine di Vento di Terra per i sabati aperti con Sei Casati e Share Radio
Proprio in questi giorni una delegazione palestinese è accolta da Vento di Terra onlus in Italia (qui il link alla notizia), per portare la propria testimonianza del lavoro svolto in questi territori disagiati a tanti bambini, genitori ed educatori italiani. Ma qualche sabato fa, per la precisione il 27 febbraio scorso, l'Associazione Sei Casati (qui) ha coinvolto questa Ong all'interno dell'inziativa Scuole aperte (di cui ha vinto il bando), in un evento a chiusura della settimana della cooperazione.
Per l'occasione c'era anche RSG, la redazione (webradio) della scuola primaria di secondo grado di via San Gregorio, (la voce delle scuole Casati e San Gregorio) coordinata da Share Radio, (Web Radio Metropolitana Milano), capitanata da Nicola Mogno.
Grazie a loro, sia in diretta, sia in differita, è stato possibile ascoltare le interviste a Barbara Archetti, presidente di Vento di Terra, che ha raccontato cosa fa la sua Ong e da dove ha origine il libro bilingue Ghoula, Anasiye e Huseini (Fiabe tradizionali raccontate dai bambini beduini palestinesi ai bambini del mondo, edito da Vento di Terra e Tamer Institute for Community Education – Ramallah)...
e a Giovannij Lucci, presidente di Sei Casati, interviste che trovate per intero qui (compreso il pezzo dedicato al concerto finale del coro multietnico Elikya (qui il link all'associazione).
Giovannij Lucci ha spiegato che questo è il secondo "sabato aperto", iniziativa volta ad aprire la scuola a progetti di vario tipo, ogni volta con un filo conduttore diverso, rivolte al quartiere e a tutte le persone che vogliano partecipare. Approfondimenti sulle scuole aperte li trovate qui.
La webradio di San Gregorio
La webradio scolastica della scuola di via San Gregorio (qui il link dove se ne parla) "nasce nell’ambito del progetto scuole aperte, promosso dall’associazione SeiCasati, e si propone di coinvolgere tutti gli studenti che abbiano voglia di raccontare le proprie passioni, il proprio tempo libero, la propria scuola, il proprio quartiere". Come spiegano su Share Radio è "Un’occasione per imparare ad usare strumenti di comunicazione diversi (dalla radio al video, dalla fotografia al blog, il tutto passando per un uso consapevole e creativo dei social network)".
La preparazione del laboratorio...
Storie beduine: da dove partiamo?
Barbara ha raccolto intorno a sé i bambini e impiegando il bellissimo libro "Mappe"di Aleksandra Mizielinska e Daniel Mizielinski, edito da Mondadori Electa (qui la scheda) li ha portati in viaggio ...
alla scoperta del mondo intero.
Dall'Italia...
giù giù giù... fino ad attraversare il Mar Meditterraneo
per approdare in Palestina.
Con l'ausilio di alcune foto Barbara ha mostrato il paesaggio tipico delle aree dove vivono i beduini.
Attraverso le foto ha anche raccontato cosa fanno i bambini e come vivono...
Qui nel link alle pubblicazioni si legge che "Nei workshop i bambini beduini, dopo aver ascoltato dai genitori e dai nonni, hanno raccontato storie e leggende al poeta Anas Abu Rahma e a Denis Asaad, la narratrice che le ha sapientemente trascritte. Le illustrazioni nascono da un percorso di scambio tra artisti italiani e artisti palestinesi, che insieme hanno avuto modo di condurre laboratori nelle scuole elementari beduine e in quelle italiane." Qui un approfondimento sull'importanza della tradizione orale beduina.
E così Barbara ha iniziato a raccontare la storia della Ghoula, delle corna d’oro di Anasiye e della furbizia dell’Huseini...
Ispirati dalla storia raccontata da Barbara e dalle carte realizzate insieme ai bambini palestinesi, i prtecipanti si sono messi all'opera a creare il personaggio che li aveva incuriositi maggiormente.
raccontando poi a Barbara il significato delle proprie creazioni.
Che bei lavori vero?
Un appuntamento da non perdere
Ne approfitto per segnalarvi che il 3 aprile (alle ore 21) al Teatro Menotti si terrà lo spettacolo di teatro-musica "Cafè Jerusalem" per la prima volta a Milano, testo di Paola Caridi, con la partecipazione dei Radiodervish e il patrocinio del Comune di Milano. Il ricavato della serata servirà a sostenere la ricostruzione della Terra dei Bambini a Gaza, un centro per l'infanzia distrutto nel luglio 2014 (qui ulteriori notizie).
Qui trovate tutte le informazioni: "Cafè Jerusalem è un canto dedicato a una città sovraesposta, mitologica, dove gli esseri umani sono sovente abbandonati a loro stessi, dimenticati, invisibili al mondo. Gerusalemme viene racchiusa in un tipico caffè della Città Vecchia, che a sua volta contiene i riflessi delle storie e delle vite dei suoi abitanti...". Si può prenotare online o scoprire i posti dove è possibile acquistare i biglietti.
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