venerdì 4 novembre 2016

VI incontro della Rete/ Educare nel vuoto per imparare a perdersi: gli insegnamenti della Terra, la parola a Monica Guerra



Sabato 22 ottobre, nella sessione plenaria della Rete di Cooperazione educativa C'è speranza se accade @ (qui il link al primo post) Monica Guerra, del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, dell'Università degli Studi Milano Bicocca, ha incantato la platea con il suo intervento “Educare nel vuoto per imparare a perdersi: gli insegnamenti della Terra”.

L'incontro è stato così emozionante, ricco e intenso che ho preferito lasciare spazio alle parole di Monica, che in tanti dovrebbero incontrare di persona, per appassionarsi, entusiasmarsi, disorientarsi (in senso buono) insieme a lei. Eccola...

Ci sono tre cose che vorrei condividere di me: sono una ricercatrice universitaria, e il mio lavoro è "una bella scusa" che mi consente di entrare a scuola; la seconda è che sono presidente dell'associazione Bambini e Natura (sito qui, pagina facebook qui), nata in una mattina in cui con alcuni amici ci siamo riuniti e detti che dovevamo fare qualcosa, mettendoci la faccia; la terza appena accaduta l'ho trovata nel libro curato da Comune Info (qui), che nel presentarmi scrive che faccio parte della Rete di cooperazione educativa. Penso che si tratti di un "refuso" (errore di bozza, ndr), ma ho intenzione di tenerlo nel mio curriculum, perché la Rete mi piace proprio. Ho iniziato a emozionarmi ieri sera a tavola: c'era un silenzio incredibile nonostante fossimo in molti e la rete mi sembra un po' così, silenziosa ma che prende spazio in un territorio importante da occupare. Per questo sono felice di essere qui e sono grata a Fuori (ne ho parlato qui), libro di cui sono la curatrice, significativo perché corale, perché pare un po’ colpa sua se ci siamo ritrovati qui a parlare di Terra, e quando i libri ti fanno incontrare le persone sono preziosi.


Comincio così:“C'era una volta una bambina a cui piaceva molto perdersi, e lo faceva bene perché poi era brava a ritrovarsi. Quando decideva di perdersi andava nel grande prato dietro casa, lo attraversava tutto, si affacciava al limitare della foresta e si incamminava all'ombra dei grandi alberi che diventavano sempre più grandi e sempre più fitti.”

Ai bambini piace perdersi, ma amano perdersi quando sono loro a sceglierlo. Amano perdersi nel senso di vagabondare, di vagare senza meta. Senza sapere dove stanno andando. Quando c'è quell'agitazione della sorpresa, che ti giri e non ci sono più i tuoi riferimenti, ma si apre qualcosa di nuovo e di diverso. In natura, ci dice Beatrice Masini (ecco un'altra "regina delle parole" che sa incantare, ne ho parlato qui), perdersi è affacciarsi a qualcosa di nuovo, che qui descrive come un fitto di alberi che sembra avere poco a che fare con il vuoto.


Quando mi è stato chiesto di pensare a questo intervento e proposto di parlare di vuoto perché in Fuori ne avevo scritto un paragrafo, ho detto di sì. Poi però nell'ultimo mese non ho fatto altro che ragionare al vuoto e al perdersi. Quando per tutto il mese ragioni di perderti, il rischio è non sapere dove stai andando. Soprattutto mi sono chiesta: come si permette una “piccola come me” di dire alla Natura che è vuoto, quando la sensazione che abbiamo tutti quando andiamo in natura è che finalmente ci ritroviamo in qualcosa di bello, di pieno, di ricco? Sembra un'affermazione che odora di scandalo, ma ringrazio Carlo Ridolfi (presidente della Rete di Cooperazione Educativa, ndr, qui il link) che mi ha “costretto” a mettere in fila alcuni pensieri, per cui spero non vi dispiacerà perdervi un po' con me.


Un vuoto che fa bene
Nella maggior parte dei casi quello che sappiamo della Terra non sembra avere a che fare con il vuoto. Oggi sappiamo tutti quanti che la natura, se può essere vuoto, è un vuoto che fa bene. Moltissime ricerche ci descrivono che fa bene, perché genera appartenenza, ciò che è stato descritto come biofilia (nel frequentarla noi ci avviciniamo alla natura e sentiamo di fare parte di essa). Di più, sappiamo che la natura fa bene dal punto di vista fisico, ma anche che è predittiva di felicità, a parità di altre condizioni di vita, che fa stare meglio dal punto di vista emotivo. E ancora che serve a ridurre lo stress, a rigenerare concentrazione e attenzione; che sostiene la curiosità e la creatività.


Se è vuoto, dunque, è vuoto intelligente perché Natura è anche qualcosa che ci permette di apprendere meglio. Oggi sappiamo che le esperienze in natura sono esperienze che generano apprendimento anche dal punto di vista formale.

Se la Natura è vuoto, è vuoto che fa scuola da molto tempo: almeno da Rousseau, certamente fino a Zavalloni e passando per Mario Lodi. Dunque, se la natura fa così tanto scuola, come posso accostarla al vuoto?

Il vuoto come spazio non saturo
Allora, vuoto in che senso? Provo a parlare di spazio naturale intendendolo come spazio non saturo. La natura per me si configura come uno spazio diverso da altri luoghi che bambini e ragazzi sono abituati a frequentare nella loro quotidianità sia scolastica sia domestica, dove c’è saturazione di oggetti e proposte scelte da altri. Perché nei suoi spazi c'è ancora spazio per mettere se stessi. I luoghi naturali non sono stati completamente predefiniti e organizzati da altri: quello che troviamo in natura è completamente divergente da quello che si può trovare in un'aula scolastica, in una casa o anche in un cortile.

Quando siamo in natura non troviamo di norma risposte ma soprattutto domande. 
Domande che riguardano le cose, gli eventi nella loro complessità, perché il mondo ci viene incontro intero, in fenomeni complessi. Quando portiamo i bambini all'aperto non riusciamo a portarli esclusivamente a fare scienze, matematica o geometria, perché dentro alla natura, ad esempio dentro ad un albero, ci sono contemporaneamente la storia, la geografia, la matematica, la geometria, le scienze, ci sono tutte le discipline che arrivano incontro a un bambino in maniera unica, globale, complessa. Le discipline sono un costrutto che l’uomo ha creato perché siamo cosa piccola rispetto al mondo e avevamo bisogno di ridurlo un po’ per provare a capirlo. Non sto negando che l'avere inventato le discipline non sia un modo che ha permesso all'umanità di generare poi conoscenza, però le discipline rischiano di "imbrigliare". Soprattutto se siamo più preoccupati di insegnare contenuti disciplinari che non di permettere ai bambini di incontrare le domande del mondo. Ma le domande del mondo arrivano loro incontro intere. Cosa avrà da raccontare quel materiale o quello spazio naturale a quel bambino?
La Natura, allora, è un vuoto settoriale, perché non parla per settori, mentre è un pieno di senso, un pieno di vita, un pieno che interroga profondamente e mai banalmente.

Il mondo ci viene incontro così, per cui questo spazio vuoto, nel senso che stiamo delineando di non già completamente predeterminato, è rigenerante in quanto si contrappone a spazi e tempi molto pieni che i bambini e i ragazzi incontrano tutto il giorno a scuola, oltre che a casa. E in quegli spazi non più saturi possono accadere cose differenti da quelle che succedono altrimenti scuola.
Ne indico alcune.

Il vuoto come infinite possibilità
Fuori spesso gli insegnanti sanno poco, meno di quello che sanno dentro, dunque sono più vicini ai bambini. In questo spazio in cui non sappiamo abbastanza, si apre la possibilità per noi di stare a vedere cosa succede. In quello spazio che chiamo di “comune inesperienza”, perché adulti e bambini ne sanno oggi entrambi troppo poco, gli adulti possono tornare a osservare.
Andare fuori è una delle modalità con cui gli adulti hanno la possibilità di provare a cambiare il proprio ruolo. Quando siamo dentro, sappiamo – perché lo abbiamo imparato, interiorizzato, a volte trasformato in routine - quello che siamo chiamare a fare, conosciamo i contenuti e anche le metodologie. Quando andiamo fuori, invece, non lo sappiamo più. Proprio perché ne sappiamo poco di Natura, quando andiamo fuori può succedere che rimaniamo senza parole, che non abbiamo le risposte. Allora si apre lo spazio di una “ricerca condivisa”. Quando non siamo preoccupati di dare la risposta giusta alle domande dei bambini, magari proprio perché non la conosciamo, allora può succedere che noi e i bambini possiamo farci buone domande. C’è lo spazio – vuoto - per stare ad ascoltare le domande che i bambini si fanno. Lì può cambiare qualcosa, che entra in maniera dirompente nel mondo della scuola.


Fuori per lasciare provare i bambini
Fuori c'è anche una diversa distanza, nel senso che si possono sperimentare delle distanze maggiori, meno prossime, da quelle che ci sono normalmente negli spazi che conosciamo dentro. All'interno siamo molto vicini, talvolta addosso. Sopra le teste dei bambini. Spesso prevalichiamo la voglia di dire e di fare dei bambini per condurli dove crediamo debbano andare, verso ciò che pensiamo debbano sapere, fare, dire. Fuori riusciamo maggiormente – certo, a patto che abbiamo coraggio, perché dobbiamo rischiare di credere davvero in quello che possono provare a fare - a prendere nuove distanze, facendo crescere di contro la vicinanza emotiva. Se non siamo distratti da chiacchiere e non assumiamo la posizione dei guardiani, possiamo sperimentare quella di chi, con un buon obiettivo, una buona lente, si mette a guardare. E in quel guardare scopriamo che possiamo lasciarli andare. Possiamo provare a esercitare fiducia nei loro confronti. Allora fuori si genera uno spazio vuoto, nel senso di libero, dove loro possono provare a fare.

Conoscere per proteggere
È vero che gli adulti sono poco abituati a frequentare la natura, ma oggi questo vale anche per i bambini e i ragazzi. Noi associamo bambini e natura come se fossero un binomio imprescindibile, ma questo sta diventando sempre più come un binomio fantastico di Rodari, ovvero un'associazione che non è così scontata. Per poter voler frequentare qualcosa la dobbiamo conoscere, per volerla frequentare dobbiamo averci a che fare. Nessuno sta bene in un luogo che non conosce, perché la prima esperienza è di disorientamento: se non lo frequenti, non lo conosci, non lo ami e non lo proteggi. Questo è un passaggio cruciale. Per seminare il futuro abbiamo bisogno di frequentare: per conoscere, per amare, per proteggere. Se non compiamo questi passaggi, probabilmente invecchieremo come adulti che non proteggono la terra e faremo crescere bambini che non la proteggeranno, perché non l'hanno conosciuta e dunque non la possono amare.
Per costruire un dialogo fertile con la Terra c’è bisogno di conoscerla. Di adulti coraggiosi che si prendono la responsabilità di far uscire i bambini e i ragazzi, a rischio di perdersi.
Allora perdersi diventa davvero un bene, perché quando cambiamo le coordinate dei luoghi che frequentiamo, quando dall'aula andiamo fuori, perdiamo un po' il nostro ruolo perché non sappiamo più perfettamente cosa fare. Siamo stati istruiti per insegnare dentro, e spesso in un modo vecchio, come sento il mio ora mentre vi parlo da un palco, un modo che si riduce al racconto unilaterale di qualcuno che prova a condividere, più o meno umilmente, ciò che ha capito. Ma questo modo è, comunque, un modo vecchio.

Quando ci si perde, ci si apre al Mondo
Occorrono adulti coraggiosi, dunque, che permettano ai bambini di attraversare un vuoto di certezze, di uscire e perdersi, perché quando si inizia a perdersi si apre il mondo. Un mondo che è fatto di inconsueto, e dunque di possibilità, in cui si aprono orizzonti che non avevamo neanche immaginato. Ma è un mondo possibile, senza assillo, molto diverso da certa scuola ancora troppo diffusa: un mondo dove si può correre il rischio di oziare, come Gianfranco Zavalloni ha raccontato bene, e così di apprendere.

Nel vuoto che la natura istituisce può cambiare il modo con cui stiamo con i bambini.
Io non sono appassionata di natura perché mi piace sporcarmi le mani: anche, ma non solo né soprattutto. La cosa che genera e sostiene la mia passione è lo spiazzamento che avverto nello stare fuori. In questo spiazzamento sento che nella Terra, nel Mondo si può istituire un modo diverso anche di pensare la scuola.

Il vuoto è faticoso perché si sente il cuore. Anche della scuola.



Questa natura che provoca a stare in ascolto in modo diverso, può farci sentire il cuore dei bambini, il nostro cuore quando stiamo in silenzio dentro la natura e ci può far sentire il cuore della scuola, un cuore che deve ricominciare a battere forte. Innanzitutto dentro alla scuola pubblica. E non perché le scuole che non sono identificate come tali non siano buone scuole, ma perché penso che le scuole debbano essere comunque e sempre pubbliche, nel senso di tutti, per tutti, accessibili, partecipate, vive. In questo momento vivo con dolore il movimento centrifugo dalla scuola di tante famiglie, come anche la fatica a restarvi dentro di tanti altri genitori, ma anche di molti insegnanti, che sentono che quello che si fa a scuola non è quello che vorrebbero che la scuola fosse.

La scuola che fa venir voglia di imparare
Abbiamo una responsabilità enorme, perché la scuola di tutti i bambini, di ogni bambino, deve essere un luogo che non spegne le loro teste, ma che li tiene vivi, che li “infetta” di un virus buono che permette loro di continuare ad avere voglia di imparare, per tutta la vita.

Per me in gioco c'è qualcosa di più del solo uscire. Uscire permette di frequentare, conoscere, amare e proteggere, lo abbiamo detto, dunque è certamente importante. Però per me andare fuori significa soprattutto avere l’opportunità di pensare cosa vorrei fosse il futuro dell'educazione. Io voglio che il futuro dell'educazione sia un posto dove i bambini entrano contenti di esserci arrivati, che abbiano voglia di starci tutto il tempo, tutti i giorni dell'anno e che nelle prime settimane di scuola non si chiedano quanto manca alla fine. Non voglio che pensino che quando escono alle quattro del pomeriggio finalmente inizia la vita, voglio che non serva avere tanti i compiti da fare perché quello che è successo dentro, quando hanno passato tutta la giornata a scuola, è stato talmente ricco e bello e produttivo che li ha riempiti per i giorni, i mesi e gli anni a venire. Per questo vorrei tantissimo una scuola aperta sul mondo.


Riassumendo...
I bambini e i ragazzi hanno bisogno di natura. È un fatto. Per tutte le ragioni che ci siamo detti prima: crescono meglio, con una mente più aperta, perché è vero che nella terra è il futuro dell'educazione. Ancora di più, però, il mondo ha bisogno dei bambini e dei ragazzi, perché altrimenti non vive. Non penso che ci possa essere un'altra storia. Questo mondo ha bisogno che ognuno di noi svolga al meglio il suo lavoro.

Di solito si chiude dicendo grazie. Io oggi per la prima volta ho deciso di chiudere dicendo “per favore”, perché vorrei che l'onda di queste giornate fosse un’onda lunga, in cui conservassimo l’idea che i bambini si possono perdere. E, mentre loro si perdono e scoprono il mondo e la vita, noi perdessimo un po’ l'idea tanto rassicurante di scuola che ci siamo costruiti addosso, per andare con coraggio verso una scuola diversa, aperta al mondo, perché sa che là fuori c'è il futuro.

Vorrei che l'onda lunga di tutto quello che la Rete fa e che stiamo condividendo qui lo portassimo dentro ai nostri posti di lavoro. Se non ci mettiamo la faccia, tutti e ognuno, la scuola di tutti è una scuola destinata a perdersi, e non nel senso buono che abbiamo provato a condividere. Mentre può essere un posto dove c'è vuoto e, dunque, spazio per tutti. Quando facciamo vuoto, l'universo ci può riempire.


Per approfondire qualche link: qui un Manifesto educativo per innovare la scuola, qui Monica Guerra a Buongiorno Regione della Lombardia (dal minuto 10...).

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