martedì 22 novembre 2016

VI incontro della Rete/ Seminare sogni negli spazi aperti delle scuole, la parola a Paola Tonelli


Lo scorso 22 ottobre, Paola Tonelli, formatrice, che ha lavorato per tantissimi anni al Comune di Roma e ha fatto parte del MCE (Movimento di Cooperazione Educativa), ha parlato di “Seminare sogni negli spazi aperti delle scuole” nell'ambito della sessione plenaria del VI incontro nazionale della Rete di Cooperazione educativa C'è speranza se accade @ (qui link all'introduzione, qui link al sito della Rete dove trovate approfondimenti al convegno e alle "stanze" organizzate nel corso dei due giorni).
Nelle parti tra virgolette e in corsivo riporto brani estratti dal suo discorso, perché Paola Tonelli non solo è capace di creare riflessioni e suggestioni, ma incanta anche con le parole.



Ha iniziato subito, emozionando la platea, dicendo che non si può seminare futuro se non si riesce a sognarlo almeno un po'. Così, intorno all'idea del sogno, ha costruito l'intervento. Per molti anni è stata insegnante nelle scuole d'infanzia nel Comune di Roma (seguendo anche classi con 34 bambini), ha maturato una grande esperienza e, soprattutto, conosce la fatica degli educatori.

Da molto tempo è impegnata per offrire ai bambini che vivono nelle grandi metropoli la possibilità di non crescere completamente staccati dalla natura e dai suoi materiali ed elementi. Perché se da un lato, fortunatamente, negli ultimi anni delle innovazioni interessanti si stanno facendo strada, sia nel Nord d'Europa, sia in Italia (asili nel bosco e agri-nidi ), dall'altro in molte grandi città del nostro Paese si verifica quotidianamente quello che ha denominato come un triste “giro dell'oca” che riguarda migliaia di bambini (solo a Roma, i bambini delle scuole d'infanzia comunali sono circa 32mila, quelli dei nidi comunali 12mila, quelli dei nidi convenzionati sono 7mila... si arriva a quasi 50mila bambini senza contare quelli che vanno nelle scuole statali o alla primaria).

"Si tratta di un'immensa popolazione bambina che spesso trascorre le giornate chiusa tra i muri e inscatolata in spazi chiusiCosa, quotidianamente, aspetta questi bambini? Passare tutto il giorno da una "scatola" all'altra: che si tratti della casa, dell'auto, della scuola, della sezione (più o meno bella); e di nuovo auto, casa, camera, televisione..."



Dora Kalff (1904-1990), psicologa junghiana allieva diretta di Jung (qui link a una breve biografia), di cui ha seguito un corso a Zurigo, le ha fatto comprendere l'importanza del “contatto diretto con la natura”,  smuovendo una serie di riflessioni che hanno avviato in lei un percorso molto lungo. Ecco le parole della Kalff, raccolte di persona da Paola Tonelli, che ne ha fatto dono alla Rete di Cooperazione educativa “Oggi noi siamo allontanati dagli elementi naturali, siamo immersi in un mondo di parole, di oggetti, macchine, e allontanati dalle nostre emozioni. È importante il contatto con gli elementi; per riprendere il contatto con le nostre emozioni non si può, non si deve eliminare lo sviluppo della tecnica, ma il nostro rapporto con essa può essere nutrito attraverso il contatto con la natura.
In un inciso - che apprezzo molto - ha detto "Sono sempre grata alle persone che mi hanno insegnato qualcosa - e le cita sempre (! ndr) - come al Movimento di Cooperazione Educativa, perché è stata la mia vera scuola."


Dunque, la realtà delle scuole, è povera, con le ovvie eccezioni. I bambini dopo questo gioco dell'oca, possono trovarsi qui: in un cortile d’asfalto. Mostra alla platea una foto (sopra) di Marianna Vaccaluzzo, "che ha uno sguardo molto attento ai bambini", la propone come un simbolo di quello che succede a chi frequenta numerose scuole di città. Vuole affrontare il tema della natura con un taglio provocatorio, vuole partire dalle realtà povere, come quella della foto, perché molti bambini le abitano per molte ore e per molti giorni.

Presenta l’immagine di un grande spazio aperto: "Ecco il cortile di una grande scuola del centro di Roma, qui scendono per giocare molte classi: lo spazio asfaltato è dedicato a loro (quello dove ci sono le piante è destinato a una biblioteca).” 

Ha fatto un'intervista a due bambini che ci ripropone. “Perché un’intervista? perché i bambini, spesso poco ascoltati, amano moltissimo raccontare, rispondere a domande. Le considero uno strumento prezioso da utilizzare. Ritengo importantissimo cercare-rilanciare strumenti semplici dal punto di vista organizzativo.  Si è diffusa (si fa per dire perché ho sempre in mente le migliaia di bambini che ne sono esclusi) la Progettazione Partecipata con cui si cerca di coinvolgerli nella progettazione dei loro spazi aperti.  Pur ritenendola molto interessante la sento troppo complessa per la maggior parte delle scuole. 

Le interviste, al contrario, sono molto più semplici, non richiedono un’organizzazione complessa, non si fanno alla massa di bambini ma a piccolissimi gruppi (o a singoli o coppie) in cui tutti possono esprimersi. Sono benefiche perché permettono loro di aprirsi, di pensare, di esprimersi. Si possono realizzare subito e in ogni realtà, possono dare ottimi frutti. Sono benefiche anche per gli  adulti che imparano e riescono a conoscere i pensieri più silenziosi-sepolti dei loro alunni.”
STRALCIO dell’INTERVISTA:
Domanda - Come chiamate questo spazio?
Risposta - Primo bambino: “Lo chiamiamo cortile”, l'altro: “Lo chiamiamo giardino”
D - Vi piace andare in cortile, giardino?
R - In coro “Certo”!
D - Perché?
R - Perché in classe non si può correre, si fa la ricreazione seduti
D - Perché?
R - Perché si menano ed esce il sangue. 
D - Da dove esce il sangue?
R - Dal naso o dal labbro...
D - Dove vi piace più giocare in questo posto?
R - Chiacchieriamo dove ci sono i due alberelli (in fondo), è uno spazio per le chiacchiere, per sederci ci sono due palloni di pietra, alcuni si arrampicano sugli alberelli, andiamo dietro ai palloni di pietra quando le maestre non ci vedono, se ci vedono ci dicono di non andare perché ci sono le trappole per i topi, per sederci abbiamo anche un angoletto di prato finto.
Paola Tonelli ha sottolineato come questi sia i pensieri di bambini sani, che stanno bene. Ha sottolineato "Questo però è il mondo che offriamo e loro, non conoscendo altro, lo vedono bello e amano frequentarlo (quando è loro concesso) ."

Continuando il discorso ha ricordato che "Anche l'arte  ha iniziato a parlarne ed è preziosa perché può aiutare ad aprire spazio alla riflessione e alla ricerca. Compito dell'arte è provocare, accendere il dibattito. Come l'installazione (sotto) di Edward Kienholz, un artista americano che ha lavorato sulle criticità della società contemporanea."



Ma come affrontare tutto ciò?
Un problema che Paola Tonelli ha riscontrato nei corsi di formazione è che: "Gli adulti, prigionieri di procedure e divieti, sentono possibili solo piccoli movimenti che si rivelano spesso impotenti. I bambini, a loro volta, vengono travolti da richieste  e legati alle sedie nelle aule, anche loro si sentono prigionieri."

E propone alla platea "Se ci fermassimo a pensare fuori da ogni schema?"

Ho scelto di non dare consigli ma di offrire delle provocazioni, farò degli esempi strani, a volte molto strani, forse folli ma che, spero, aprano la mente al possibile e ogni realtà ha il suo possibile. Ogni possibile innovazione richiede un poco di tempo per prendere corpo: alcune richiedono anni, altre mesi.  Dobbiamo tutti sognare e, allo stesso tempo, essere anche consapevoli che ci sono sogni a lungo termine e sogni a breve termine. Per non perderci molti bambini e molti insegnanti bisogna lavorare su entrambi i tempi."



"È urgente uscire dagli schemi, come suggerisce il gioco dei Nove punti, ove si invitano le persone a unire tutti i punti senza mai staccare la matita dal foglio e utilizzando solo quattro linee rette. La maggior parte dei giocatori si arrovella e poi si arrende: è impossibile con solo 4 linee unire i 9 punti blu. La soluzione c'è. Ma bisogna uscire dai bordi come si può vedere nell’immagine riportata (le istruzioni non lo impediscono).

Questo gioco mostra che a volte di fronte a un problema ci blocchiamo per via di limitazioni indotte da noi stessi. Si può provare a trasferire questa verità nella vita quotidiana. I nostri “autoinganni” potrebbero impedirci di agire in un determinato modo. Ogni realtà ha i suoi vincoli e ognuno deve esserne consapevole.”

“Due errori sono da evitare: 
  1. pensare di poter trasformare il proprio spazio aperto in uno simile a quello delle scuole svedesi, finlandesi; in certe realtà ci sono vincoli che impongono di essere guardati con realismo. Pur credendo nell’importanza del sogno sono consapevole che inseguire un’utopia completamente sganciata dalla propria realtà può, paradossalmente, bloccare tutto. Per essere più chiara: la grande scuola di cui ho parlato prima dovrà partire con gli occhi al suo spazio aperto tutt’altro che finlandese.
  2. Evitare con molta attenzione ogni forma di improvvisazione perché anche le idee folli richiedono progettazione. L’improvvisazione è pericolosa e, a sua volta, può bloccare il cambiamento.
Ci sono due categorie di spazi aperti difficili: il cortile sterrato, che è più vantaggioso (“sterrato”, fondo naturale con sassi ed erba), e il cortile cementificato o il terrazzo al terzo piano.

Mi fermerò maggiormente su questo secondo tipo di spazi  perché è qui che vivono male molti bambini, è qui che deve partire la follia, il pensiero divergente.
Cominciamo dalle basi, da ciò che è a portata di mano ma inutilizzato. Partiamo da ciò che, addirittura, c’è nei nostri cortili cittadini, c’è anche in quelli svedesi-finlandesi, c’è ma non lo prendiamo in considerazione perché non lo riteniamo interessante e utile per lo scopo di avvicinare i nostri alunni alla natura.

Mi riferisco alla nebbia, al vento, alla pioggia, alle pozzanghere che vengono dopo la pioggia e sotto il sole. Porterò molti esempi di iniziative possibili a costo zero: un invito ad armarsi di coraggio per regalare ai bambini queste avventure. Non si può dimenticare che l'aumento del bullismo sembra favorito, tra le altre cause, dalla mancanza di esperienze avventurose. Allora cominciamo a pensarci con determinazione: per fare questo tipo di regali ai nostri bambini possono bastare una giacca a vento, una sciarpa e l’ombrello se cadono alcune gocce. Mi fa piacere ricordare un testo antesignano che è uscito nella preziosa collana diretta da Andrea Canevaro I bambini hanno bisogno di avventura” di Thomas Lang (Red edizioni, 1998).

Su questo tema possiamo attingere molto dalle famose scuole nordiche di cui sogniamo gli spazi aperti e mentre li sogniamo, restiamo murati in classe. Come si comportano con la pioggia gli svedesi, i finlandesi? Cominciamo allora a utilizzare la pioggia come fanno loro. Impariamo anche dai primi gradini della nostra scuola: dai nidi e dalle scuole dell’infanzia. Qui, in molte realtà si è osato di più. È tutta questione di organizzazione.” 

La nebbia
 

"Quando ero piccola il campo davanti a casa, in campagna, era conosciuto, lo avevo percorso tante volte. Un giorno è scomparso, come un avvolto in un filo sottile e morbido, conoscendolo mi ci sono gettata dentro, assaporando questo vedere e non vedere, questo apparire e scomparire nel bianco un po' umido. Anche a scuola i bambini conoscono perfettamente i cortili e i loro spazi aperti. Allora, quando arriva questo fumo sottile, se il cortile non è troppo piccolo, regaliamo ai bambini l'avventura della nebbia, bastano una giacca a vento e una sciarpa.”

Ritorno all'arte: ci sono installazioni che ricreano la nebbia: segno che è diventata preziosa perché quando possiamo la evitiamo, la teniamo a distanza. Tutto ciò che è raro, diventa prezioso. Abbiamo bisogno di un'opera d'arte per entrare nella nebbia con piacere?"


Installazione di Olafur Eliasson, a Versailles.

Il vento
"Quando c'è, stiamo chiusi dentro e, in città, corriamo il rischio di dimenticarcelo. Si può giocare con il vento utilizzando i palloncini, un aquilone (se c'è il tempo per costruirli), oppure anche con i nastri. Stare fermi, sentirlo sulla faccia, correrci dentro fa tanta allegria."

La pioggia
"Su questo tema prendiamo spunti dal Nord. È tutta questione di attrezzatura: caloche e ombrelli, oppure anche la cuffia da bagno in testa (idea del Nido Grillo Giò: così i bambini hanno le mani libere)." 
Ricorda a tutti che dobbiamo essere sempre grati a chi ci regala un'idea.



Le pozze stagnanti
“Anche in un cortile dopo la pioggia si formano le pozze: se poniamo lo sguardo sul bambino  (ha mostrato un'altra foto, qui sotto, di Marianna Vaccaluzzo), che osserva l'acqua, ci rendiamo conto che anche l’incontro con la pozzanghera può trasformarsi in un'esperienza bellissima.” 

Foto di Marianna Vaccaluzzo.

Lei è riuscita a ricreare le pozzanghere nel cortile sterrato. È stato difficile. Ma il desiderio era così forte da non impedirlo.

Ha sottolineato come queste immagini di bambini a contatto con l'acqua, a volte un poco fangosa, non facciano effetto se si fa riferimento alle scuole del bosco, ma "scandalizzano" se le riportiamo alla dimensione del cortile in città. Ha ricordato come sia sempre una questione di organizzazione (e volontà).


Trasformare i cortili con poco
" Per evitare le corse pazze dei polli in gabbia i bambini hanno bisogno anche di oggetti nello spazio. Lo dimostra la bellissima esperienza dei parchi Robinson, nati a Ivrea a opera della Olivetti per i figli dei suoi operai nei mesi estivi: si trattava di spazi sterrati e abbandonati dove c'erano materiali di scarto L’ispirazione arrivò, anche allora, dai Paesi del Nord Europa."  

Ha lavorato supportata dalle ricerche di André Lapierre che diceva "date ai bambini gli oggetti in mano, lasciate loro più a lungo quelli che conoscono di meno, osservate le loro idee e rilanciatele."

Ha poi presentato numerosi idee fuori dagli schemi che prevedono l’utilizzo di materiali mobili, non costosi, che è possibile portare all’aperto per ampliare le possibilità di gioco e di esperienze: tronchi, sedie, scatoloni, gessi …



Vicino alla scuola
“Quando il cortile è di asfalto ci sono poi le opportunità del territorio circostante, opportunità raggiungibili a piedi. Più volte, nei corsi di formazione, ho suggerito di cercare ambienti gradevoli, naturali e vicini. Se si fa attenzione, se si butta lì il pensiero, se ne possono trovare anche nelle grandi città. Un esempio: alcune scuole del centro di Roma sono vicinissime a villa Ada che ha prati bellissimi e, in primavera, bianchi di margherite. Queste uscite presentano molti vantaggi: non costano, possono essere più numerose di quelle gite che con il bus portano i bambini alle fattorie didattiche. Con tutto il rispetto per chi ci lavora, segnalo che non sempre sono esperienze utili per bimbi cittadini. Metterli a fare la marmellata seduti intorno a un tavolo vuol dire riproporre un’esperienza che potrebbero fare anche al chiuso a scuola o a casa con la nonna/mamma.. e siamo da capo: li mettiamo a sedere! 

Una scuola dell’Infanzia di Roma è riuscita a portare periodicamente I bambini presso la scuola nel bosco: di questo hanno bisogno, non di fare marmellata."



“I bambini ci indicano la strada quando in un cortile asfaltato vanno a cercare l’erba che spunta coraggiosa tra le fessure o vicino ai tombini. 

Hanno bisogno del nostro aiuto: dobbiamo cercare di spaccare l'asfalto per far fiorire i nostri cortili. Non possiamo aspettare troppo. Solo se abbiamo dei sogni riusciremo a farlo."

Per approfondire potete leggere il libro "Usciamo all'apertoPortare i bambini di 0/6 anni a contatto con la natura e le sue meraviglie anche in città", Anicia editore, Roma settembre 2015 (qui).
Per contattare direttamente Paola Tonelli potete scriverle: mptonelli@libero.it

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