martedì 21 ottobre 2025

Giuseppe Barbiero parla di Biofilia al convegno "Educazione all'aperto" di Verbania



Alcune parole andrebbero custodite e condivise ogni giorno, e dovrebbero sempre più entrare nel linguaggio quotidiano. Una di queste è biofilia. La si "incontra" ascoltando e osservando i bambini mentre scoprono il mondo. È lì, nel loro modo di incuriosirsi di una semplice chiocciola o di meravigliarsi davanti a un seme che germoglia. È una parola che parla di un "legame antico", quello tra l’essere umano e la vita che lo circonda.


Il biologo Giuseppe Barbiero, docente di Biologia ed Ecopsicologia, direttore del Laboratorio di Ecologia Affettiva - Università della Valle d’Aosta, l’ha raccontata come la nostra più grande eredità evolutiva, con semplicità e rigore, all’incontro “Educazione all’aperto – Creare connessioni tra il dentro e il fuori” che si è tenuto sabato scorso a Verbania (qui), organizzato dal Coordinamento pedagogico territoriale, distretto VCO, a cura di Daniela Reali, direttrice dei nidi comunali e Andrea Rolllini, coordinatore pedagogico distretto VCO-1.

Studiare la vita ha portato, passo dopo passo, Barbiero a interrogarsi su cosa significhi davvero prendersene cura. Non solo dal punto di vista scientifico, ma umano. Come ha raccontato, è stato il diventare padre a farlo interessare a questo campo di studi. A partire dalla parola greca storgé: l’amore che unisce genitore e figlio, l’amore che si prende cura.

Questo sentimento, apparso con gli animali a sangue caldo (uccelli e mammiferi), ha reso possibile la sopravvivenza delle specie. Ma solo nell’uomo - Homo sapiens - la storgé è diventata qualcosa di più grande: la capacità di prendersi cura non solo dei propri figli, ma anche di tutte le forme di vita.

"È qui che la storgé diventa filìa, un amore che si allarga, che abbraccia". E questa è la radice della biofilia.

Il termine fu introdotto da Erich Fromm, psicologo tedesco sopravvissuto alla Shoah, che cercò di capire come l’umanità potesse arrivare a tanta distruzione. Fromm capì che dentro ogni persona convive una tensione: da una parte la necrofilia, amore per la morte, dall’altra la biofilia, tendenza naturale a conservare e promuovere la vita. Siamo tutti nati biofili, scriveva, ma la società e il contesto in cui viviamo e cresciamo possono "spegnere" questa fiamma o alimentarla. L’educazione, dunque, è il terreno dove la biofilia può crescere.

Da qui le quattro caratteristiche che definiscono la personalità biofila: cura, responsabilità, rispetto e conoscenza. Chi è biofilo si prende cura della crescita dell’altro, risponde ai suoi bisogni, rispetta la sua autonomia e desidera conoscerlo. È ciò che fa ogni giorno un’educatrice quando abbraccia, ascolta, accompagna un bambino nel suo cammino. È la stessa spinta che ci porta a innaffiare una pianta, ad accarezzare un cane, a salvare un insetto. Gesti piccoli, ma che raccontano il legame profondo tra vita e vita.

Vent’anni dopo Fromm, il biologo Edward O. Wilson diede alla biofilia una base evolutiva. Per lui, l’amore per la vita è una tendenza innata, frutto della selezione naturale: i nostri antenati sopravvivevano cercando rifugi sicuri, acqua, cibo, e imparando a riconoscere gli altri esseri viventi. La biofilia è un istinto, una predisposizione che ha bisogno di essere coltivata — proprio come una lingua che impariamo solo se qualcuno ci parla. Senza esperienze dirette di contatto con la Natura, questa capacità resta silente.

Barbiero ha sottolineato come i bambini manifestino la biofilia spontaneamente: si avvicinano a un coniglietto con curiosità e tenerezza, ma si allontanano da un’ape o da un serpente con timore. Come mai? La biofilia e la biofobia, sono entrambe innate e utili: l’una ci apre al legame (es. amare il coniglio, che essendo una "preda" è innocuo), l’altra ci protegge dal pericolo (es. da ragni, scorpioni o serpenti). Così la Natura ha insegnato ai piccoli sapiens sotto i due anni a sopravvivere.

Nella ricerca correlata all'educazione all’aperto — come gli asili studiati da Barbiero — questa connessione si rivela con chiarezza. Basta introdurre un piccolo animale o una pianta in una stanza per vedere i bambini concentrare l’attenzione, modulare la voce, rallentare i gesti. È come se la presenza del vivente risvegliasse in loro una memoria antica, la consapevolezza di far parte di un tutto.

E qui la biofilia si fa educazione: imparare a conoscere, a rispettare, a prendersi cura. Educare alla biofilia significa educare all’empatia, alla cooperazione, alla pace. Se ci prendessimo davvero cura gli uni degli altri — dice Barbiero — i conflitti verrebbero meno, perché la vita riconoscerebbe sé stessa nell’altro.

Nell’epoca in cui l’umanità abita sempre più lontana dalla Natura, riscoprire la biofilia è un atto di resistenza e di speranza. È ricordare che siamo una specie giovane abbiamo appena 300.000 anni. (rispetto, per esempio, agli squali che esistono da 380 milioni di anni, quelli sì, sono una specie antica o ai carciofi, che esistono da 250 milioni di anni), ancora inesperta, ma con una straordinaria possibilità: prenderci cura della vita in tutte le sue forme.

E forse è proprio questo, oggi, il compito più urgente: accompagnare i bambini — e noi stessi — a tornare ad amare la vita, a sentirla come parte di noi.
Questa è solo una sintesi di quanto ha raccontato Barbiero. Chi volesse approfondire l'argomento può leggere alcuni suoi libri, in particolare "
Introduzione alla biofilia. La relazione con la natura tra genetica e psicologia. Nuova edizione" Carocci editore (qui)

giovedì 16 ottobre 2025

133 Carte Nature: un invito a cambiare punto di vista

Da sinistra: Letizia Luini, Greta Persico, Monica Guerra, Andrea Galimberti,
BEAT, Università Milano Bicocca e l'editore Pietro Corraini, Corraini Edizioni.


 

Se dovessi scegliere un regalo per me stessa — o per una persona a cui tengo davvero — non avrei dubbi: sceglierei Nature, le 133 carte ideate dal gruppo di ricerca BEAT – Biodiversity Education and Awareness Team dell’Università di Milano-Bicocca, composto da Monica Guerra, Andrea Galimberti, Letizia Luini, Greta Persico, Angela Rinaldi e Francesca Rota, con la partecipazione di Rosa Buonanno e Angela Sangalli

 

Credits: Corraini Edizioni

 

e si arricchiscono delle illustrazioni scientifiche e insieme poetiche di Giulia Vetri, che dà vita a piante, animali e paesaggi e pubblicate da Corraini Edizioni. (qui)


Non solo perché sono belle — lo sono davvero, con i loro colori e la loro leggerezza grafica — ma perché rappresentano un modo diverso di abitare il mondo, di guardarlo, di esplorarlo e, soprattutto, di stare insieme.

Si tratta di un mazzo di carte accessibile a tutti - il prezzo è di circa 20 euro - e proprio questa accessibilità è parte della sua forza. Può arrivare ovunque: nelle scuole più periferiche, nei contesti dove le risorse sono poche, ma anche nei giardini e nei grandi spazi dove la sperimentazione educativa ha radici più solide. Perché l’idea che le sostiene è semplice e rivoluzionaria allo stesso tempo: esplorare non richiede strumenti costosi, ma sguardi attenti.

 


La seconda presentazione ufficiale di Nature si è tenuta al MUBA, il Museo dei Bambini di Milano. Ormai è quasi una tradizione: Monica Guerra sceglie questo luogo per condividere i suoi progetti, ed è sempre un po’ come tornare a casa. Non è solo una presentazione editoriale: è un momento di incontro, di scambio di esperienze e visioni. E chi la segue da tempo sa che ogni parola è il frutto di un percorso di ricerca collettivo.


 

Credits: Corraini Edizioni
Credits: Corraini Edizioni
Credits: Corraini Edizioni

Un mazzo di carte, un orizzonte di possibilità

A uno sguardo veloce, le Carte Nature possono sembrare semplici schede colorate. In realtà sono un dispositivo pedagogico aperto, frutto di anni di osservazioni e sperimentazioni con educatori bambine e bambini. Ogni carta propone un’azione, un gesto, un modo per entrare in relazione con ciò che ci circonda: un bosco, un cortile, un parco, ma anche un balcone, un angolo di città, un’aiuola dimenticata.

Alcune carte invitano a sentire — “toccare”, “ascoltare”, “annusare” — altre a immaginare, a raccogliere tracce, a costruire ipotesi. Ce ne sono di più riflessive, di più sensoriali, altre ancora stimolano l’immaginazione e la rielaborazione creativa.

Tra queste, due carte hanno un valore speciale: esplorare” e “documentare”. Sono carte “jolly” ma, come racconta Guerra, non sono un extra, bensì due pilastri fondamentali. Esplorare è la porta d’ingresso, il primo passo che permette a bambini e adulti di aprirsi al mondo con curiosità. Documentare è la memoria viva: l’atto che consente di tornare all’esperienza, di ripensarla, di rileggerla da nuove angolature.

Ogni mazzo ha due gradazioni di colore, che suggeriscono passaggi, fasi possibili di un percorso. Non esistono sequenze obbligatorie. Si può estrarre una sola carta e lasciare che quella guidi l’esperienza. Oppure si può costruire una trama narrativa, un viaggio fatto di tappe, in cui ogni azione apre un sentiero nuovo.

Abbiamo preferito esagerare con il numero di azioni,” spiega Monica Guerra. “Non perché servano tutte, ma per mostrare la ricchezza delle possibilità. Quando abbiamo in mente pochi modi per esplorare, rischiamo di non vedere tutto il resto.”


Uno strumento inclusivo e flessibile

Una delle caratteristiche più potenti di queste carte è la loro adattabilità. Possono essere usate nei nidi, nelle scuole dell’infanzia e primarie, nei percorsi di educazione ambientale, nei laboratori pomeridiani, in famiglia, e persino in contesti universitari. Non contengono istruzioni rigide né programmi preconfezionati: sono porte da aprire, inviti a mettersi in cammino.

Durante le sperimentazioni condotte in diversi contesti, molti educatori hanno usato le carte in parchi cittadini, spazi apparentemente ordinari. Lì, bambini e bambine hanno iniziato a esplorare armati di taccuini personali. Non un compito, ma un modo per non perdere le tracce delle esperienze vissute. Disegni, parole, mappe, segni diventavano il filo rosso di una ricerca condivisa.


Ricerca condivisa: imparare a camminare insieme

Le Carte Nature propongono una metodologia che non presuppone un sapere unico. L’adulto non è “colui che sa” ma colui che cammina accanto. Bambini e bambine diventano protagonisti attivi: esplorano, formulano ipotesi, costruiscono saperi propri. Questo scardina, almeno in parte, l’impostazione tradizionale della didattica frontale e apre a una ricerca autentica.

 

Credits: Corraini Edizioni

Le azioni suggerite non sono vincoli: possono trasformarsi, perdersi, essere abbandonate. Un bambino può partire osservando un insetto e ritrovarsi, dopo mezz’ora, a inventare una storia. Un gruppo può iniziare esplorando e finire documentando con un disegno o una conversazione. Tutto è possibile, perché non si tratta di eseguire un compito, ma di abitare un processo.

Non ci interessa che l’azione si compia dall’inizio alla fine,” aggiunge Guerra. “Ci interessa che accenda una scintilla, che dia il via a un desiderio di scoperta.


Un progetto che cresce nel tempo

Le Carte Nature non si esauriscono in un giorno. Possono accompagnare bambini, educatori e famiglie per anni, perché ogni carta può essere interpretata in modo diverso a seconda della stagione, del luogo, dell’età dei partecipanti. Un invito a “camminare” in primavera è diverso da uno in inverno. E anche lo stesso spazio, guardato con occhi nuovi, cambia volto.

Intorno a queste carte è nata una rete di educatori, insegnanti e ricercatori che si incontrano periodicamente per condividere riflessioni, domande, nuove esperienze. È un approccio aperto e dinamico: non c’è un manuale da seguire, ma un terreno comune di confronto.


Curiosità come prerequisito

L’unico vero requisito per usare le Carte Nature è la curiosità. Non serve essere esperti, naturalisti o insegnanti con decenni di esperienza. Serve soltanto la disponibilità a mettersi in discussione, a cambiare punto di vista, ad accogliere anche prospettive lontane dalle proprie certezze.

Le carte possono essere usate da chiunque: da chi vuole vivere un pomeriggio diverso in famiglia, da insegnanti che cercano nuove pratiche educative, da gruppi di formazione per adulti. Sono pensate per parlare di biodiversità — nel senso più ampio possibile — ma lo fanno a partire dalle domande. E le domande, spesso, sono quelle dei bambini: semplici, dirette, profonde.


Un invito a ribaltare la prospettiva

Le Carte Nature hanno qualcosa di rivoluzionario nella loro semplicità: invitano a guardare “a testa in su” o “a testa in giù”, a scardinare la routine, a mettersi in ascolto. A riconoscere che la biodiversità è ovunque, anche in un tarassaco che cresce tra le crepe dell’asfalto o nel volo di un piccolo uccello intravisto per caso.

Non sono un gioco nel senso stretto del termine, ma possono diventarlo. Hanno una sorta di “bugiardino” — come i giochi o le medicine — ma non prescrivono nulla, suggeriscono. Lasciandosi ispirare da poche carte per volta e procedendo con continuità, si possono vivere esperienze sorprendenti, che siano sul ballatoio di casa o in un parco cittadino.

 


Un seme che germoglia

In un’epoca in cui si parla spesso di “innovazione” in educazione, le Carte Nature ci ricordano che a volte la vera innovazione sta nella semplicità: in un mazzo di carte, in un invito gentile a guardare meglio. Non servono strutture complesse per iniziare una ricerca significativa: basta una carta, un passo, uno sguardo curioso.

Le persone hanno tanti modi di esplorare,” conclude Monica Guerra. “Se li metti davanti a te, li vedi. E quando li vedi, puoi iniziare davvero a ricercare insieme.

lunedì 6 ottobre 2025

🎵 "BIM! Una mostra da ascoltare" in Sormani (Milano)





Non esiste musica per grandi o per piccoli, ma solo musica che ci piace o non ci piace. La musica serve a comunicare, a condividere, a stare con noi stessi e con gli altri, in armonia.

Queste sono le parole con cui inizia il percorso e la presentazione di 🎵 "BIM! Una mostra da ascoltare" a cura di Maria Cannata e di Babalibri, ideata anche per festeggiare i 25 anni di attività della casa editrice e i 10 anni della collana Babalibri in musica e ospite alla Biblioteca Sormani, corso di Porta Vittoria, a Milano, grazie a Barbara Traversi,


13 pannelli come 13 sono i volumi delle fiabe musicali. Pensate come progetto e percorso di ascolto in cui la scrittura, le parole, dialogano con la musica. Tratta dal repertorio classico, tutte le musiche sono proposte, in ogni volume, in forma integrale.



Eseguita in forma live da bravissimi musicisti professionisti, con storie belle, le storie più amate di Babalibri, che incontrano la musica per proporre un percorso incantevole rivolto ai bambini, dai più piccoli ai grandi e, perché no, anche agli adulti, che unisce diverse linguaggi, da quello narrativo a quello musicale, creando così un dialogo armonico e un intreccio che compone le tappe di un viaggio. Sì, ogni fiaba musicale è un viaggio in cui immergersi è da gustare. BIM, la mostra da ascoltare, vuole proporre differenti, varie, ma soprattutto ludiche, esplorazioni con la musica.

Un'occasione per riflettere, parlare, ma soprattutto condividere la musica insieme. Perché questo è il bello della musica, emozione da condividere e riscoprire.

La mostra è stata inaugurata sabato 4 ottobre presso lo spazio Young della Biblioteca Sormani (qui il link) a Milano ed è visitabile fino al 31 ottobre 2025.



Qui trovate una breve presentazione di Francesca Archinto e Maria Cannata prima di iniziare a scoprire la mostra



Chi è venuto ha avuto la possibilità di scoprire un'edizione magica che Maria porta con sé (non perdetevi altri incontri che si terranno!)


Con le sue magiche doti Maria ha coinvolto anche i piccolissimi nell'esperienza musicale anzi non è mai troppo presto per iniziare... (qui trovate il suo blog con consigli, video e altro; qui trovate una formazione per Babalibri)


Dal canto suo Francesca,  -che mette sempre al centro i bambini e le bambine (lo si vede sia dal catalogo Babalibri sia dalle numerose iniziative che crea ad hoc, come questa) per avvicinare le famiglie alla lettura e all'educazione sia alla lettura sia con questa nuova collana a esperienze musicali insieme - si è prestata a "far finta di suonare insieme a Maria.


L'inaugurazione non poteva non finire in movimento: valzer per tutti (ah, grazie a sabato ho scoperto che significato ha questa parola: voi lo sapete? provate a scrivermelo nei commenti!)


All'inaugurazione era presente Elena della libreria Scamamù qui, che si trova in zona Dergano (MM2), a Milano. Un'occasione per conoscere una libreria indipendente (evviva!!) dove vi possono consigliare il meglio dei libri. Passateci!!!




In mostra, potrete leggere tutti i crediti di chi ha contribuito alla collana



Se prima volete comunque dare un'occhiata al catalogo Babalibri in Musica potete cliccare qui. 


La mostra oltre la mostra
Grazie alla consueta generosità di Francesca Archinto, editrice di Babalibri, le scuole e le famiglie potranno trovare una serie di documenti utili a riprendere il discorso dopo la mostra, per gustarsela anche dopo averla visitata: cliccando qui trovate tutte le informazioni.

Sul sito Babalibri è inoltre possibile per le scuole scoprire come visitare gratuitamente la mostra, prenotandosi

e in ultimo...



Qui potete trovare una presentazione a cura della RAI (da cui ho ripreso due "screenshot". 


Qui uno scatto "a caldo", dopo le riprese.

giovedì 18 settembre 2025

Tre dita di Massimo Canuti, Uovonero

Esce venerdì 19 settembre in tutte le librerie "Tre dita" di Massimo Canuti, edito da Uovonero (qui).

In "Tre dita", Nado è un ragazzino vivace e inquieto, con una mamma molto devota, un padre molto silenzioso e poco presente e una sorellina un po' rompiscatole. Bettolle (SI), è il paesino toscano al centro sia della narrazione sia di una delle pagine più nere della storia del XX secolo (il romanzo è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale). Il protagonista si trova ad affrontare una serie di accadimenti più grandi di lui ma, nonostante questo, riuscirà a viverli con "la spensieratezza di chi ha fiducia nel mondo e nella vita".  Una spensieratezza tale da fargli compiere degli atti che a noi adulti possono sembrare incredibili, ma che per lui sono naturali. Nado si pone un sacco di domande su quello che gli accade intorno e, nonostante la giovane età, riesce a vivere in prima persona momenti importanti di quel periodo storico mettendo a rischio la sua vita.  

"Tre dita" saprà entrare nel cuore di ogni lettore che troverà in lui tantissima umanità e la freschezza di chi vive ogni attimo con curiosità per il mondo che lo circonda. Un personaggio che ci fa immergere in un periodo storico difficilissimo in punta di piedi, con empatia, riecheggiando in qualche modo il felliniano Amarcord.

 Ne ho parlato con l'autore

Come è nata l'idea della storia e perché hai deciso di scrivere questo libro? Conoscendo la tua passione sia per libri e romanzi di ogni genere sia per il cinema e i film di ogni epoca, a me sembra di ritrovare qualche nota di qualche storia e film che riecheggiano nel tuo romanzo, è una sensazione? Mi sembra che emerga un'atmosfera di un po' di sogno perché, anche se racconti una storia che tratta argomenti molto delicati, la racconti attraverso gli occhi di un ragazzino che vive delle atrocità, ma riesce comunque a superarle e ad "attraversarle a suo modo". Inoltre, anche se il periodo è breve, ritrovo una sorta di "romanzo di formazione", perché mi sembra che ci sia una grande trasformazione di questo personaggio, è così? 

Massimo Canuti: è esattamente così. In realtà c'è un libro che ho preso come riferimento per scrivere questo romanzo, che è "La vita davanti a sé", di Romain Gary da cui proviene la citazione iniziale ("nella vita non si può fare a meno di correre"): la storia di un ragazzino che viene cresciuto da una prostituta francese negli anni 50/60 a Parigi, un libro che mi ha toccato profondamente. Dopo che l'ho letto ho deciso che volevo riprendere quello stile, adattandolo alle mie capacità, e che il mio personaggio facesse eco al personaggio de "La vita davanti a sé", un capolavoro assoluto (infatti ha vinto nel 1975 il premio Premio Goncourt (qui), il più prestigioso premio di Parigi),

 

Da quanto tempo avevi in testa quest'idea? 

MC: Da quando ho letto quel libro... , Non lo so di preciso, ma ho iniziato  a concepirne il nucleo sei/sette anni fa, quando ho accompagnato mio padre a Bettolle (luogo di nascita di Nado Canuti, ndr) e ho pensato di scrivere una storia on the road, in cui raccontavo il mio viaggio con mio papà al suo paese, impiegandolo come pretesto per parlare del rapporto padre/figlio e ripercorrere anche alcuni episodi della sua infanzia. Alcuni capitoli di quel libro sono ora delle pagine di "Tre dita". In alcuni capitoli, anziché essere il Massimo che guidava in macchina e parlava con suo papà, ero il Nado piccolo:  immedesimandomi in lui, raccontavo quello che mi diceva. 

Parlando anche con alcuni miei colleghi copywriter, (es. Roberto Vella), amiche scrittrici (es. Cristina Brambilla) o editori, mi hanno dato una serie di consigli e mi hanno spronato a raccontare la sua storia, una storia incredibile (e ho anche pensato; un giorno mi piacerebbe fare un documentario, ma di questo ne parliamo poi).


Di mio padre, mi ha colpito sin da piccolo - come colpisce del resto tutti quando lo scoprono -  il fatto che, nonostante quelle menomazioni (un moncherino e tre dita) lui ha una manualità incredibile: Insomma, ha fatto lo scultore e il pittore, riesce a impiegare la sega elettrica, tenere in braccio i bambini piccoli con una naturalezza  incredibile. 

Io penso che quando c'è una bella storia, e questa è una bella storia, vada raccontata. 

 

Ma questa storia è anche un po' un tributo a tuo papà.

MC: Beh sì, visto che mio padre non ha mai voluto fare presa per la sua arte sulla sua disabilità (un artista non lo giudichi perché ha solo tre dita), negli ultimi dieci anni (ora ha 96 anni) mi dicevo "devo raccontare la sua storia, voglio che il mondo intero la conosca". 

Se c'è un momento in cui potrei farlo, devo farlo adesso, perché è alla fine del suo percorso, posso dire: adesso vi racconto quello che voi non sapevate. 

Così il libro sul viaggio è rimasto a lungo in un cassetto, perché era interessante, ma è solo un racconto biografico che può piacere ai miei figli.

Poi ho deciso di riprendere quella storia con un personaggio a cui esplode una bomba in mano. Inoltre, sono sempre rimasto affascinato dal tedesco o dai tedeschi (non ho mai saputo come siano andate le cose) che lo portarono all'ospedale, salvandogli di fatto la vita. C'è da dire che quando i tedeschi erano lì, non erano i "nemici dichiarati" finché non sono arrivati gli alleati e, comunque, alcuni hanno dimostrato come in quel caso una grande umanità.

Quindi sono partito dalla bomba e dal tedesco e mi sono chiesto come intrecciare questi episodi dando origine a una storia.

Inoltre, ho inserito una serie di scherzi che facevano davvero! Ne ho inseriti solo alcuni, con il senno di poi avrei potuto raccontarne altri.


L'episodio di Schiaccianocci, me l'ha raccontato Massimo, (un amico di mio padre che compare nel documentario "Nado" e che ora è morto): non me lo sono inventato. Nel modo in cui l'ho raccontato è verosimile: quello forse è Felliniano. Perché l'ho raccontato? Perché lo trovo bello. E l'editore non l'ha censurato.

Un'altra cosa interessante, è questo rapporto della madre con Dio, che rappresenta un altro filo conduttore della storia, no? Cioè, di come la madre sia così devota e abbia questo rapporto privilegiato, e questo bambino si interroga invece sul perché accadono allora alcune cose, no? 

MC: Sì. Mio papà mi ha sempre raccontato  della religiosità di sua mamma, contrariamente a suo papà, che pensava solo a lavorare.

Tra parentesi, altro episodio vero quello delle saponette: davvero i tedeschi gli chiesero di fare delle saponette con l'immagine del Duce e lui si rifiutò,. Cioè, nel romanzo ci sono tanti aspetti che sono veri.

Tornando alla madre, come scrittore "vai a nozze" con una persona del genere: hai un ragazzino a cui succede una serie di disgrazie (lo colpisce una bomba, gli muore il padre) e la madre al posto di "stargli accanto" continua solo a pregare... C'è un punto in cui Nado pensa "Il vero miracolo sarebbe stato farmi ricrescere le mani".  



All'inizio il tuo personaggio non si chiamava Nado ma Pietro. come mai hai deciso di cambiare?

Beh, Nado è un nome particolare e non lo vedevo bene come il nome di un protagonista di un libro. Però, nel frattempo, mentre terminavo di scrivere il libro, ho collaborato alla realizzazione del documentario Nado (qui), che vede la regia di Daniele Farina e la sceneggiatura mia e di Roberto Farina e che sta "partecipando" a una serie di festival (il 19 settembre sarà a Caorle).

Comunque mio papà veniva soprannominato "Bomba"., "Tre dita" glielo ho dato io. 

Cos'altro ti ha affascinato delle sue vicende personali?

La fabbrica di sapone di mio nonno: l'idea che una saponetta si possa scolpire (un per raccontare la sua creatività).

Trovo molto bella l'idea del profumo: il contrasto tra l'afrore della morte e il profumo delle essenze, Inoltre, quando Tre dita si rivolge a io pensando alla Creazione, per esempio, sì, se avesse usato il sapone anziché il fango... il mondo sarebbe stato tutto più profumato

Ci sono delle parti di cui vado molto orgoglioso


Perché hai scelto come editore Uovonero?

Diversi editori hanno letto il libro e si sono mostrati interessati, anche editori piuttosto grandi. All'inizio io non conoscevo bene Uovonero: sapevo solo che era un editore specializzato in letteratura per ragazzi, con delle pubblicazioni notevoli, con una una linea editoriale importante, ma che inizialmente un po' "contrastava con la mia visione". All'inizio avevo il timore che quel libro fosse etichettato come "libro per un certo tipo di pubblico e basta".

Allo stesso tempo, informandomi, ho capito subito che pur essendo un "piccolo" editore era molto serio. Avendo avuto già esperienza sia con grandi e piccoli editori, ho pensato che un piccolo editore ti segue molto meglio come autore. Inoltre a me piacciono anche per la fatica che fanno.

L'amore vero è arrivato in seguito. Nel momento in cui il libro è stato preso in mano da Sante (Bandirali, ndr), ho visto e ho conosciuto la squadra, ho toccato proprio con mano la cura e la grande professionalità e attenzione con cui hanno seguito la costruzione del libro, dall'editing  alla scelta della copertina.

Un'altra cosa che mi ha colpito tantissimo è che non hanno cambiato nulla nella storia, anche alcuni passaggi "scomodi" che nei colloqui con altri editor ho compreso che sarebbero stati "tagliati o modificati" (c'è da dire che io quel libro non l'ho pensato solo per ragazzi ma per un pubblico ampio).

Sante ha accettato tutto, con grande coraggio.

 Sono molto contento sia della fiducia nel mio lavoro, sia della lavorazione in itinere, sia del risultato finale. Ora spero possa andare in giro ed essere letto da tanta gente.

Allora auguri a "Tre dita", il suo viaggio è appena iniziato!

venerdì 15 agosto 2025

Appunti sparsi dei doni che mi porto dalla Toscana



Da questa vacanza in Toscana mi porto a casa in dono (in ordine sparso):

i gruccioni colorati con un volo leggero simile ad aquiloni di carta velina

il tasso sbucato dal sentiero lungo la strada per la strada Populonia

il garrulo volo delle rondini

i gechi i piccoli (dove sono finiti i grandoni intorno alla casetta?)

 

il tramonto a Cala Violina, il primo bagno in mare alle 20, la Luna piena che ci ha guidato al ritorno

salire sulle balle di fieno insieme, con l'aiuto dei ragazzi

vedere la Luna piena sorgere veloce come una palla infuocata,

esprimere un desiderio alla vista della prima stella cadente

 

i prati incolti pieni di ombrellifere sullo sfondo degli ulivi 

i sorrisi e le risate dei ragazzi,

 

le ombre al tramonto, tra le foto più belle di questa stagione (qui) 

l'aria fresca verso sera

 

l'Acropoli di Populonia (qui)

le ombre lunghe della sera, 

 

la luce sui girasoli al tramonto

Sally che crea un polverone rosso mentre corre 


 gli equiseti neri

 

le femmine di ragno vespa (qui)

le luci del treno che passa la sera illuminando il buio 

il canto cadenzato dell'assiolo

il frinire delle cicale, anche alle 4 del mattino!

I lampi intermittenti prima del temporale

il canto rilassante dei grilli la sera

 

Massimo (e Sara) che fa lezioni guida a Marco 

Sally che rincorre la macchina mentre Marco guida

questo 5 agosto: la "doppietta" ovvero i 18 di Marco e i 96 anni di Nado

 

i frutti dei papaveri secchi e fragili, ma incantevoli, sopra un contenitore arrugginito e scrostato

il tempo passato noi quattro In famiglia

il tempo trascorso con Sara



i fichi gustati poco dopo averli raccolti dall'albero

il profumo intenso del rosmarino

le partite a ping pong con Andrea 

         gli incontri furtivi tra la gattina Clide e Sally

le coccole a Sally dei ragazzi 

l'ultima camminata prima di partire, nell'aria fresca del mattino e tra la rugiada che bagnava i piedi, vedendo sorgere il sole