Alcune parole andrebbero custodite e condivise ogni giorno, e dovrebbero sempre più entrare nel linguaggio quotidiano. Una di queste è biofilia. La si "incontra" ascoltando e osservando i bambini mentre scoprono il mondo. È lì, nel loro modo di incuriosirsi di una semplice chiocciola o di meravigliarsi davanti a un seme che germoglia. È una parola che parla di un "legame antico", quello tra l’essere umano e la vita che lo circonda.
Il biologo Giuseppe Barbiero, docente di Biologia ed Ecopsicologia, direttore del Laboratorio di Ecologia Affettiva - Università della Valle d’Aosta, l’ha raccontata come la nostra più grande eredità evolutiva, con semplicità e rigore, all’incontro “Educazione all’aperto – Creare connessioni tra il dentro e il fuori” che si è tenuto sabato scorso a Verbania (qui), organizzato dal Coordinamento pedagogico territoriale, distretto VCO, a cura di Daniela Reali, direttrice dei nidi comunali e Andrea Rolllini, coordinatore pedagogico distretto VCO-1.
Studiare la vita ha portato, passo dopo passo, Barbiero a interrogarsi su cosa significhi davvero prendersene cura. Non solo dal punto di vista scientifico, ma umano. Come ha raccontato, è stato il diventare padre a farlo interessare a questo campo di studi. A partire dalla parola greca storgé: l’amore che unisce genitore e figlio, l’amore che si prende cura.
Questo sentimento, apparso con gli animali a sangue caldo (uccelli e mammiferi), ha reso possibile la sopravvivenza delle specie. Ma solo nell’uomo - Homo sapiens - la storgé è diventata qualcosa di più grande: la capacità di prendersi cura non solo dei propri figli, ma anche di tutte le forme di vita.
"È qui che la storgé diventa filìa, un amore che si allarga, che abbraccia". E questa è la radice della biofilia.
Il termine fu introdotto da Erich Fromm, psicologo tedesco sopravvissuto alla Shoah, che cercò di capire come l’umanità potesse arrivare a tanta distruzione. Fromm capì che dentro ogni persona convive una tensione: da una parte la necrofilia, amore per la morte, dall’altra la biofilia, tendenza naturale a conservare e promuovere la vita. Siamo tutti nati biofili, scriveva, ma la società e il contesto in cui viviamo e cresciamo possono "spegnere" questa fiamma o alimentarla. L’educazione, dunque, è il terreno dove la biofilia può crescere.
Da qui le quattro caratteristiche che definiscono la personalità biofila: cura, responsabilità, rispetto e conoscenza. Chi è biofilo si prende cura della crescita dell’altro, risponde ai suoi bisogni, rispetta la sua autonomia e desidera conoscerlo. È ciò che fa ogni giorno un’educatrice quando abbraccia, ascolta, accompagna un bambino nel suo cammino. È la stessa spinta che ci porta a innaffiare una pianta, ad accarezzare un cane, a salvare un insetto. Gesti piccoli, ma che raccontano il legame profondo tra vita e vita.
Vent’anni dopo Fromm, il biologo Edward O. Wilson diede alla biofilia una base evolutiva. Per lui, l’amore per la vita è una tendenza innata, frutto della selezione naturale: i nostri antenati sopravvivevano cercando rifugi sicuri, acqua, cibo, e imparando a riconoscere gli altri esseri viventi. La biofilia è un istinto, una predisposizione che ha bisogno di essere coltivata — proprio come una lingua che impariamo solo se qualcuno ci parla. Senza esperienze dirette di contatto con la Natura, questa capacità resta silente.
Barbiero ha sottolineato come i bambini manifestino la biofilia spontaneamente: si avvicinano a un coniglietto con curiosità e tenerezza, ma si allontanano da un’ape o da un serpente con timore. Come mai? La biofilia e la biofobia, sono entrambe innate e utili: l’una ci apre al legame (es. amare il coniglio, che essendo una "preda" è innocuo), l’altra ci protegge dal pericolo (es. da ragni, scorpioni o serpenti). Così la Natura ha insegnato ai piccoli sapiens sotto i due anni a sopravvivere.
Nella ricerca correlata all'educazione all’aperto — come gli asili studiati da Barbiero — questa connessione si rivela con chiarezza. Basta introdurre un piccolo animale o una pianta in una stanza per vedere i bambini concentrare l’attenzione, modulare la voce, rallentare i gesti. È come se la presenza del vivente risvegliasse in loro una memoria antica, la consapevolezza di far parte di un tutto.
E qui la biofilia si fa educazione: imparare a conoscere, a rispettare, a prendersi cura. Educare alla biofilia significa educare all’empatia, alla cooperazione, alla pace. Se ci prendessimo davvero cura gli uni degli altri — dice Barbiero — i conflitti verrebbero meno, perché la vita riconoscerebbe sé stessa nell’altro.
Nell’epoca in cui l’umanità abita sempre più lontana dalla Natura, riscoprire la biofilia è un atto di resistenza e di speranza. È ricordare che siamo una specie giovane abbiamo appena 300.000 anni. (rispetto, per esempio, agli squali che esistono da 380 milioni di anni, quelli sì, sono una specie antica o ai carciofi, che esistono da 250 milioni di anni), ancora inesperta, ma con una straordinaria possibilità: prenderci cura della vita in tutte le sue forme.
E forse è proprio questo, oggi, il compito più urgente: accompagnare i bambini — e noi stessi — a tornare ad amare la vita, a sentirla come parte di noi.
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