In questi giorni sto progressivamente dedicando tempo allo stare in natura, anche se non si tratta di una natura selvaggia, come quella che amo, ma di un parco urbano.
Ho osservato che la quantità di tempo in "immersione", con passeggiate e soste, facilita il distacco dai pensieri quotidiani e facilita la curiosità e il desiderio di scoprire e indagare questa biocenosi creata dall'uomo.
Dopo tantissimo tempo - a Milano - mi sono seduta alla base di un bagolaro e sono rimasta a percepire le mie sensazioni sonore e visive dando loro spazio e accogliendo quello che arrivava.
Chissà che non sia questa una strada, unita al camminare lasciandosi trasportare dalla curiosità, senza una meta precisa, per ritrovare me stessa, la mia voglia di indagare, farmi domande e sentirmi di nuovo intera.
Ho scoperto che il boschetto che amo è fatti da bagolari. Hanno il tronco completamente ricoperto da licheni e muschi e una serie di linee
orizzontali sui tronchi. Seduta sotto uno di loro mi sono sentita in pace, anche se era forte il rumore delle macchine della tangenziale, un sottofondo che è quasi una scia sonora continua.
Man mano che stavo lì qui mi sono sentita osservata da tanti occhi - forse perché una delle caratteristiche dei bagolari è di avere queste forme - ognuno di loro con una sua peculiarità precisa.
C'è chi è riuscito a creare un tronco che si diparte in due quasi dalla base e chi ha una struttura più filiforme e lineare e ha la biforcazione più in alto.
Solo quelli esterni al boschetto hanno anche tre biforcazioni, sono con tronchi più ampi e hanno i rami che si protendono verso lo spazio aperto.
Mentre eravamo ferme, ho sentito il lontano gracchiare delle cornacchie grigie e il grido più acuto dei pappagalli. Oggi non c'era nebbia né sole, anche se il fiato si disperdeva in cerchi concentrici fuori dalla bocca. Ma le mani non erano gelate. Invece percepivo l'umido provienente dalla lettiera nera, dove erano depositate le sle foglie di bagolaro e quercia rossa, da cui spuntavano vivaci piantine verdi.
Sulla cima di due alberi ci sono due nidi.
Quando ci siamo mosse spostandoci all'aperto ho percepito il freddo addosso alle mani, che si sono pian piano congelate. Ho attraversato prati coperti di brina o bagnati. L'escursione termica era sensibile
Mi sono diretta verso il bosco dei faggi, dove mi sono soffermata a osservare i tronchi nodosi e pieni di ferite e cicatrici e le foglie arancio marroni ancora sui rami insieme a qualche faggiola e alle punte apicali pronte ad aprirsi con il caldo. Il mio sguardo è caduto su quelli che ho chiamato i custodi, facce che mi appaiono dai tronchi, frutto della mia immaginazione.
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