martedì 17 aprile 2018

"I bambini hanno più da dare che da ricevere": incontro con Franco Lorenzoni all'Università Milano Bicocca



In un'aula magna stracolma, si è tenuto oggi l'incontro "I bambini hanno più da dare che da ricevere" con Franco Lorenzoni all'Università Milano Bicocca. Un incontro denso e prezioso, fatto di riflessioni ed esempi pratici: il maestro ha incantato la platea tenendo banco per oltre due ore. Ha iniziato in maniera incalzante "Attenuare - sospendere è chiedere troppo - il giudizio, e dunque il pre-giudizio, è fondamentale per entrare in relazione con gli altri. Un rapporto educativo si instaura solo se mettiamo da parte il giudizio". E ancora "I bambini ci aiutano a capire delle cose, se stiamo attenti, se li ascoltiamo. Se diamo spazio alla parola". Lorenzoni ha parlato dell'importanza di creare uno spazio vuoto, non strutturato (qui mi viene una connessione spontanea con il libro Materie intelligenti di cui ho parlato qui). Perché l'ascolto si fonda sul vuoto (altro collegamento... quando facevo yoga, il mio insegnante Marco Peduzzi parlava sempre di vuoto come" infinite possibilità"... tutto torna).


Una parola che il maestro Lorenzoni ama è "reciprocità", che viene dall'unione di due vocaboli: "recus" che significa "vado indietro" e "procus" ovvero "faccio un passo avanti"; si tratta di una piccola danza, ma perché si possa progredire bisogna fare prima un passo indietro. Gli insegnanti spesso fanno però fatica a fare un passo indietro e a creare il vuoto, occupando spesso lo spazio della parola con il potere del ruolo che detengono. In queste condizioni è difficile che i bambini possano parlare con gli altri che stanno zitti ad ascoltare.

Ha ripreso dunque la "pedagogia dell'ascolto", un tema caro a MCE (Movimento di cooperazione educativa, qui): insegnare ed educare in un contesto in cui si conferisce dignità alla parola di tutti. Nessuno escluso.
"Non si può educare se non si ha una grande visione": in effetti la nostra Costituzione contiene una grande visione del mondo. Purtroppo ci sono molti ostacoli (sociali, economici...) che impediscono il pieno sviluppo di una persona, e dunque ne limitano la libertà.

Calvino diceva "Le fiabe sono un catalogo dei destini" e Piero Calamandrei (qui e qui) aggiungeva "La scuola serve a capire il destino", anzi per lui era "incubatrice di vocazione".

Lorenzoni ha proseguito citando le indicazioni nazionali (qui i punti essenziali) che parlano di una scuola per tutti.

Donald Winnicott (qui) diceva "Nessuno si accorge che i bambini hanno più bisogno di dare che di ricevere", ovvero quando un bambino scopre qualcosa ha bisogno di comunicarlo a qualcuno che lo ascolti; questa tensione se non trova ascolto è una piccola ferita che resta (oggi lo dicono anche i neuroscienziati: il nostro cervello registra queste "ferite"). Occorre dunque fare in modo che quelle ferite si cicatrizzino, che non ci sia accanto una persona giudicante. Questo è alla base della psicologia aperta, euristica (da eurisko, che in greco significa trovare, qui).

Il dialogo è la modalità generativa, quindi bisogna insegnare poco perché i bambini imparino molto. Invece a scuola avviene spesso il contrario e, per esempio, si relega il disegno a quando i bambini sono stanchi. Ma il disegno è frutto di un'elaborazione, di un pensiero.

Ogni bambino ha i suoi talenti: c'è chi scrive, chi disegna, chi si muove bene; la molteplicità di linguaggi è il primo territorio di inclusione. Se stiamo lavorando per dare dignità ai bambini, dobbiamo ascoltarli e dare loro l'opportunità di scoprire il proprio linguaggio, quindi, dobbiamo fare meno cose.

Lorenzoni ha poi raccontato un aneddoto, quando ha iniziato a lavorare con i bambini sui problemi è partito da una domanda: "cos'è un problema?" Un alunno gli ha risposto: "ci sono i problemi nostri e quelli del quaderno". "Se la scuola è "il problema del quaderno" allora abbiamo perso" ha riflettuto. Perché occorre trovare connessioni tra la realtà e la scuola.

Malala, premio Nobel per la Pace, (qui) ha detto che "i libri e le penne sono le armi più potenti per cambiare il mondo". La cultura è dunque pericolosa e bisogna battersi per essa.

La comunità, d'altro canto, è un luogo dove le persone si stupiscono reciprocamente, afferma Lorenzoni (questa è una sua definizione, ndr). Questo, per non "ossificare" il pre-giudizio e rinforzare le aspettative che abbiamo su una persona.

Le domande stanno a cuore ai bambini: per esempio, "perché uno ha cominciato a suonare? perché qualcuno ha iniziato a dipingere?" Parlare con loro della prima volta è straordinario. Far scoprire loro la meraviglia e la bellezza del linguaggio.

Lorenzoni, per esempio, chiede ai bambini spesso all'inizio del ciclo della scuola primaria "dove si nasconde la matematica?" e pian piano loro scrivono una frase e danno le loro risposte. Una bambina ha spiegato che matematica in arabo significa ginnastica (!). Lavorare con una maggiore ricchezza culturale arricchisce. Del resto, la contaminazione è ricchezza.

Bisogna lavorare sul linguaggio perché questo sia all'altezza delle emozioni e dei pensieri che i bambini hanno. Il linguaggio è, dunque, uno strumento potentissimo. I bambini vanno appassionati al linguaggio e all'idea che il linguaggio spieghi il mondo (allontanandosi dalle semplificazioni).


Due esempi di interdisciplinarietà, partendo dalle domande

Del resto - se un insegnante lo sta ad ascoltare - ogni bambino aiuta a pensare (qui Lorenzoni ha fatto vedere bellissimi video in cui ha mostrato il lavoro prodotto con i suoi bambini sull'arte e sulla matematica, in connessione con l'astronomia... un lavoro che hanno chiamato "astrometria"... di fatto ha lavorato per mesi per collegare le fasi della luna alle competenze geometriche, in particolare, gli angoli, dando valore anche alle ipotesi sbagliate, supportate da idee di grandi pensatori).

Lorenzoni ha poi spiegato come la cultura sia sempre frutto di una relazione. "Un libro vale perché viene letto e se c'è qualcuno che lo legge ad alta voce al tempo stesso si possono scoprire al tempo stesso non solo l'oggetto culturale ma qualcosa di te stesso o di qualcun altro. Insieme, in classe, si costruisce a cultura."

Per finire, Lorenzoni ha raccontato la sua tenace battaglia per lo #iussoli, a partire anche dall'arrivo di 15 rifugiati a Giove (il paese umbro dove lavora), citando Primo Levi e Don Milani.

Rispondendo a una delle tante domande poste dalla platea, ha sottolineato di come sia importante andare oltre il libro di testo, che non è il programma, come pensano molti insegnanti.

In attesa di rivedere il video di questo incontro davvero prezioso, per cui non ringrazierò mai abbastanza Monica Guerra, spero che questi appunti ne abbiano restituito il senso.
Concludo con il suo prezioso intervento.


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