Esce venerdì 19 settembre in tutte le librerie "Tre dita" di Massimo Canuti, edito da Uovonero (qui).
In "Tre dita", Nado è un ragazzino vivace e inquieto, con una mamma molto devota, un padre molto silenzioso e poco presente e una sorellina un po' rompiscatole. Bettolle (SI), è il paesino toscano al centro sia della narrazione sia di una delle pagine più nere della storia del XX secolo (il romanzo è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale). Il protagonista si trova ad affrontare una serie di accadimenti più grandi di lui ma, nonostante questo, riuscirà a viverli con "la spensieratezza di chi ha fiducia nel mondo e nella vita". Una spensieratezza tale da fargli compiere degli atti che a noi adulti possono sembrare incredibili, ma che per lui sono naturali. Nado si pone un sacco di domande su quello che gli accade intorno e, nonostante la giovane età, riesce a vivere in prima persona momenti importanti di quel periodo storico mettendo a rischio la sua vita."Tre dita" saprà entrare nel cuore di ogni lettore che troverà in lui tantissima umanità e la freschezza di chi vive ogni attimo con curiosità per il mondo che lo circonda. Un personaggio che ci fa immergere in un periodo storico difficilissimo in punta di piedi, con empatia, riecheggiando in qualche modo il felliniano Amarcord.
Ne ho parlato con l'autore
Come è nata l'idea della storia e perché hai deciso di scrivere questo libro? Conoscendo la tua passione sia per libri e romanzi di ogni genere sia per il cinema e i film di ogni epoca, a me sembra di ritrovare qualche nota di qualche storia e film che riecheggiano nel tuo romanzo, è una sensazione? Mi sembra che emerga un'atmosfera di un po' di sogno perché, anche se racconti una storia che tratta argomenti molto delicati, la racconti attraverso gli occhi di un ragazzino che vive delle atrocità, ma riesce comunque a superarle e ad "attraversarle a suo modo". Inoltre, anche se il periodo è breve, ritrovo una sorta di "romanzo di formazione", perché mi sembra che ci sia una grande trasformazione di questo personaggio, è così?
Massimo Canuti: è esattamente così. In realtà c'è un libro che ho preso come riferimento per scrivere questo romanzo, che è "La vita davanti a sé", di Romain Gary da cui proviene la citazione iniziale ("nella vita non si può fare a meno di correre"): la storia di un ragazzino che viene cresciuto da una prostituta francese negli anni 50/60 a Parigi, un libro che mi ha toccato profondamente. Dopo che l'ho letto ho deciso che volevo riprendere quello stile, adattandolo alle mie capacità, e che il mio personaggio facesse eco al personaggio de "La vita davanti a sé", un capolavoro assoluto (infatti ha vinto nel 1975 il premio Premio Goncourt (qui), il più prestigioso premio di Parigi),
Da quanto tempo avevi in testa quest'idea?
MC: Da quando ho letto quel libro... , Non lo so di preciso, ma ho iniziato a concepirne il nucleo sei/sette anni fa, quando ho accompagnato mio padre a Bettolle (luogo di nascita di Nado Canuti, ndr) e ho pensato di scrivere una storia on the road, in cui raccontavo il mio viaggio con mio papà al suo paese, impiegandolo come pretesto per parlare del rapporto padre/figlio e ripercorrere anche alcuni episodi della sua infanzia. Alcuni capitoli di quel libro sono ora delle pagine di "Tre dita". In alcuni capitoli, anziché essere il Massimo che guidava in macchina e parlava con suo papà, ero il Nado piccolo: immedesimandomi in lui, raccontavo quello che mi diceva.
Parlando anche con alcuni miei colleghi copywriter, (es. Roberto Vella), amiche scrittrici (es. Cristina Brambilla) o editori, mi hanno dato una serie di consigli e mi hanno spronato a raccontare la sua storia, una storia incredibile (e ho anche pensato; un giorno mi piacerebbe fare un documentario, ma di questo ne parliamo poi).
Di mio padre, mi ha colpito sin da piccolo - come colpisce del resto tutti quando lo scoprono - il fatto che, nonostante quelle menomazioni (un moncherino e tre dita) lui ha una manualità incredibile: Insomma, ha fatto lo scultore e il pittore, riesce a impiegare la sega elettrica, tenere in braccio i bambini piccoli con una naturalezza incredibile.
Io penso che quando c'è una bella storia, e questa è una bella storia, vada raccontata.
Ma questa storia è anche un po' un tributo a tuo papà.
MC: Beh sì, visto che mio padre
non ha mai voluto fare presa per la sua arte sulla sua disabilità (un artista non lo giudichi perché ha
solo tre dita), negli
ultimi dieci anni (ora ha 96 anni) mi dicevo "devo raccontare la sua
storia, voglio che il mondo intero la conosca".
Se c'è un momento in cui potrei farlo, devo farlo adesso, perché è alla fine del suo percorso, posso dire: adesso vi racconto quello che voi non sapevate.
Così il libro sul viaggio è rimasto a lungo in un cassetto, perché era interessante, ma è solo un racconto biografico che può piacere ai miei figli.
Poi ho deciso di riprendere quella storia con un personaggio a cui esplode una bomba in mano. Inoltre, sono sempre rimasto affascinato dal tedesco o dai tedeschi (non ho mai saputo come siano andate le cose) che lo portarono all'ospedale, salvandogli di fatto la vita. C'è da dire che quando i tedeschi erano lì, non erano i "nemici dichiarati" finché non sono arrivati gli alleati e, comunque, alcuni hanno dimostrato come in quel caso una grande umanità.
Quindi sono partito dalla bomba e dal tedesco e mi sono chiesto come intrecciare questi episodi dando origine a una storia.
Inoltre, ho inserito una serie di scherzi che facevano davvero! Ne ho inseriti solo alcuni, con il senno di poi avrei potuto raccontarne altri.
L'episodio di Schiaccianocci, me l'ha raccontato Massimo, (un amico di mio padre che compare nel documentario "Nado" e che ora è morto): non me lo sono inventato. Nel modo in cui l'ho raccontato è verosimile: quello forse è Felliniano. Perché l'ho raccontato? Perché lo trovo bello. E l'editore non l'ha censurato.
Un'altra cosa interessante, è questo rapporto della madre con Dio, che rappresenta un altro filo conduttore della storia, no? Cioè, di come la madre sia così devota e abbia questo rapporto privilegiato, e questo bambino si interroga invece sul perché accadono allora alcune cose, no?
MC: Sì. Mio papà mi ha sempre raccontato della religiosità di sua mamma, contrariamente a suo papà, che pensava solo a lavorare.
Tra parentesi, altro episodio vero quello delle saponette: davvero i tedeschi gli chiesero di fare delle saponette con l'immagine del Duce e lui si rifiutò,. Cioè, nel romanzo ci sono tanti aspetti che sono veri.
Tornando alla madre, come scrittore "vai a nozze" con una persona del genere: hai un ragazzino a cui succede una serie di disgrazie (lo colpisce una bomba, gli muore il padre) e la madre al posto di "stargli accanto" continua solo a pregare... C'è un punto in cui Nado pensa "Il vero miracolo sarebbe stato farmi ricrescere le mani".
All'inizio il tuo personaggio non si chiamava Nado ma Pietro. come mai hai deciso di cambiare?
Beh, Nado è un nome particolare e non lo vedevo bene come il nome di un protagonista di un libro. Però, nel frattempo, mentre terminavo di scrivere il libro, ho collaborato alla realizzazione del documentario Nado (qui), che vede la regia di Daniele Farina e la sceneggiatura mia e di Roberto Farina e che sta "partecipando" a una serie di festival (il 19 settembre sarà a Caorle).
Comunque mio papà veniva soprannominato "Bomba"., "Tre dita" glielo ho dato io.
Cos'altro ti ha affascinato delle sue vicende personali?
La fabbrica di sapone di mio nonno: l'idea che una saponetta si possa scolpire (un per raccontare la sua creatività).Trovo molto bella l'idea del profumo: il contrasto tra l'afrore della morte e il profumo delle essenze, Inoltre, quando Tre dita si rivolge a io pensando alla Creazione, per esempio, sì, se avesse usato il sapone anziché il fango... il mondo sarebbe stato tutto più profumato
Ci sono delle parti di cui vado molto orgoglioso
Perché hai scelto come editore Uovonero?
Diversi editori hanno letto il libro e si sono mostrati interessati, anche editori piuttosto grandi. All'inizio io non conoscevo bene Uovonero: sapevo solo che era un editore specializzato in letteratura per ragazzi, con delle pubblicazioni notevoli, con una una linea editoriale importante, ma che inizialmente un po' "contrastava con la mia visione". All'inizio avevo il timore che quel libro fosse etichettato come "libro per un certo tipo di pubblico e basta".
Allo stesso tempo, informandomi, ho capito subito che pur essendo un "piccolo" editore era molto serio. Avendo avuto già esperienza sia con grandi e piccoli editori, ho pensato che un piccolo editore ti segue molto meglio come autore. Inoltre a me piacciono anche per la fatica che fanno.
L'amore vero è arrivato in seguito. Nel momento in cui il libro è stato preso in mano da Sante (Bandirali, ndr), ho visto e ho conosciuto la squadra, ho toccato proprio con mano la cura e la grande professionalità e attenzione con cui hanno seguito la costruzione del libro, dall'editing alla scelta della copertina.
Un'altra cosa che mi ha colpito tantissimo è che non hanno cambiato nulla nella storia, anche alcuni passaggi "scomodi" che nei colloqui con altri editor ho compreso che sarebbero stati "tagliati o modificati" (c'è da dire che io quel libro non l'ho pensato solo per ragazzi ma per un pubblico ampio).
Sante ha accettato tutto, con grande coraggio.
Sono molto contento sia della fiducia nel mio lavoro, sia della lavorazione in itinere, sia del risultato finale. Ora spero possa andare in giro ed essere letto da tanta gente.
Allora auguri a "Tre dita", il suo viaggio è appena iniziato!