Il 18 giugno a Mare di Libri, a Rimini, nel cortile della Biblioteca Gambalunga, si è tenuto l'incontro “Ragazze farfalle” - libri a confronto e autori a confronto -, moderato dall'editor e scrittrice Lodovica Cima con Luisa Mattia e Marco Erba: "due romanzi che esplorano con gli occhi di questi due autori il mondo dei ragazzi e parlano necessariamente di amore, famiglia e amizia e altro ancora" come ha spiegato Lodovica Cima.
Essendo un incontro emozionante e ricco di parole interessanti, ho preferito riportarlo nella sua interezza, sperando che respiriate la stessa atmosfera che ho respirato io quel tardo pomeriggio di due mesi fa.
Lodovica Cima Quando mi è stato chiesto di moderare questo incontro mi sono riproposta di trovare una parola chiave per presentare questi due libri: la parola che ho individuato per il libro di Luisa è “leggerezza” sia perché si chiama “E poi diventai farfalla”, Lapis edizioni (link), sia perché questo è un libro che ti va volare come una farfalla. Non so se tu hai pensato al senso della leggerezza quando lo hai scritto, leggerezza come la intendeva Italo Calvino.
Luisa Mattia Intanto buonasera e grazie delle vicinanze con Calvino e con la leggerezza. Non ci ho pensato. Non perché quando uno scrive non abbia la chiarezza di idee e non sappia come sta scrivendo e sta raccontando una storia. Mi sono preoccupata e sottolineo “preoccupata” di un'altra cosa. Questo libro è raccontato in prima persona e io non scrivo tanto spesso in prima persona. In questo caso era necessario farlo, perché la voce della protagonista è dominante, è essenziale, è lei che sta dentro una tempesta; una protagonista che all'inizio della sua storia è calma, tranquilla, convintissima del suo diritto di crescere senza che intorno si muova nulla che lei non abbia deciso di non far muovere e invece alla fine dell'estate trova che il mondo non le obbedisce, che gli altri intorno non le obbediscano e che la sua vita che lei aveva disegnato in un certo modo è completamente rovesciata, e si arrabbia. Ovviamente.
Lodovica Cima Il libro di Marco Erba “Fra me e te”, Rizzoli (link), ha come parola chiave “ricchezza” perché è una storia che ha due protagonisti, è narrata in prima persona, segue due filoni, ma che ha tantissime cose in comune con quella di Luisa, prima di tutto quella della farfalla – prima dell'incontro ai due autori non era chiara questa vicinanza - Come mai avete scelto questa metafora della farfalla?
Marco Erba La mia storia è narrata a due voci, scritta in prima persona: c'è la voce di Edo e quella di Chiara, che sono due ragazzi di quindici anni – di seconda superiore – che raccontano il loro mondo, lo stesso ambiente e la loro scuola da due punti di vista differenti. L'immagine della fafalla perché? Perché nella vita ho la fortuna di fare l'insegnante alle superiori e credo che la metafora del bruco che diventa farfalla penso sia la migliore per raccontare l'adolescenza. Insegnando e potendo accompagnare i ragazzi per più anni della loro vita mi rendo conto di quanta bellezza fiorisce dentro le loro vite. Ci sono storie straordinarie e il mio libro nasce tra i banchi di scuola e tra le storie che i ragazzi hanno voluto condividere con me. Per un insegnante è bellissimo: io insegno letteratura e di mestiere racconto storie, ma la cosa più bella è il legame che si crea con i propri ragazzi e allievi che ti regalano, raccontandoti un pezzo della loro vita. Potrei raccontarvi una storia: quella di Benedetta, allieva che ho avuto in questi anni, splendida farfalla con un grande sogno. Un anno va in una Missione in Africa e mentre stanno dando da mangiare alla mensa dei poveri incontra una donna etiope con in braccio un bambino molto piccolo, questa donna la guarda intensamente negli occhi e le dice “please, take it to Italy” (per favore, portalo in Italia). Benedetta in un tema mi scrive “quegli occhi lì, piantati nei miei occhi, non mi lasciano più, me li sogno ancora di notte e mi chiedo questa donna quanto deve voler bene a suo figlio per essere disposta a privarsene per dargli un futuro migliore?” Benedetta ha un grande sogno, fare il medico: si iscrive a medicina e mi scrive dopo aver passato il test “Prof. Io amo così tanto la letteratura, sapesse quante volte sono stata tentata di mollare la medicina con tutte le sue cose tecniche per iscrivermi a lettere. Però mi scrive No, voglio fare medicina con lo sguardo del poeta, con uno sguardo incantato sulla realtà.
Ci siamo incontrati un paio di mesi fa, mi dice che medicina è durissima ma è bellissimo. È dura perché sto facendo il tirocinio in un reparto dove curano i malati terminali e vedo che c'è tanto cinismo nei medici, negli infermieri, tanta freddezza di fronte al dolore ma io sono contenta e arricchita da questa esperienza, perché vedendo questo cinismo ho capito due cose: uno come non devo mai essere io da medico, due quanto bisogno c'è bisogno di amore e di relazione in ogni posto e in ogni momento della vita.
Quando penso all'adolescenza, penso che la metafora del bruco che diventa farfalla sia perfetta, perché una ragazza di 18 anni che dice queste cose a me mi insegna a vivere, che sono un suo insegnante. applauso
Lodovica Cima Marco ha usato una frase importantissima “lo sguardo del poeta”, allora mi aggancio - invece di andare avanti con le domande che mi ero preparata - e chiedo a Luisa, siccome la sua storia è di una ragazzina come tante, come forse sono stata io e come saranno molte di voi oggi, ed è una storia che ha tanti momenti di grande poesia dentro, dove tantissime persone si possono riconoscere, leggendola, ed è un grande pregio per un autore scrivere di cose normali, allora lo sguardo del poeta, come hai fatto ad acquisirlo così bene? Proprio piatta sono andata...
Luisa Mattia proprio così giù dura... Non lo so, non lo posso sapere. Io vivo di relazioni, nel senso che mi interessano le persone, di qualunque età siano, sicuramente i ragazzi mi interessano molto, proprio perché c'è nei giovani un modo di affrontare le cose che è normalmente bizzarro. Noi adulti, passati i nostri 30 anni, perdiamo un po' memoria delle emozioni, del modo in cui arrivano allo stomaco e non si sa bene come governarle, come capirle, forse non le si vuole proprio capire ma le si vivono, si butterebbero via per cambiarle in altro modo. Se di sguardo poetico si tratta, forse è semplicemente un modo per stare vicina alle cose che accadono dentro alle persone oltre che fuori, cercare di osservare comportamenti, modi di guardare, parole che non si dicono, soprattutto i silenzi sono estremamente interessanti. Questo poi fa, nel mio caso, il modo di raccontare.
Dicevo che normalmente quando scrivo non uso la prima persona, l'io narrante, il mio modo di raccontare la storia, per governarla, è scrivere in terza persona. Questo libro no. Per me è stata una necessità, ma anche una grande paura. Lo dico da scrittrice perché quando si scrive in prima persona il rischio è sempre quello di esagerare, di non governare la storia. Qui penso che non sia accaduto. Me ne sono accorta da sola, alla fine, anche se il timore ce l'ho avuto per tutto il tempo in cui ho scritto questa storia, perché è la voce di questa farfallina, che non sa di esserlo: si sente più bruco che altro, si sente imbrigliata, imprigionata, si sente condizionata, incapace di affrontare le situazioni. Questo modo di essere io credo che sia abbastanza universale da poter essere raccontato con “leggerezza” e “delicatezza”, perché la vita interiore delle persone a qualunque età va toccata lievemente e forse certe volte neanche toccata ma bisogna stare lì a “sentirla” un po'. La mia protagonista ha 14 anni – è un'adolescente - ha il diritto di cambiare e lo vuole questo diritto, ma non sa neanche lei dove vuole andare e in questo senso c'è un lungo periodo di confusione in lei; la confusione non sempre dà quiete, anzi il contrario, ma spesso genera pensieri che sono straordinariamente chiari ed è un po' questa la sostanza della poesia. Molti poeti quando parlano delle loro poesie dicono “sono arrivato in fondo e in fondo ho capito che cosa avevo scritto e forse non l'ho capito del tutto ma mi serve l'occhio di un lettore per capirlo”. Credo che sia un po' la condizione di un'adolescente: vivere i propri sentimenti, la propria vita, la propria affettività e non capirci niente e avere bisogno di un confronto che non sia un confronto con qualcuno che giudica, ma un incontro per riuscire a capire cosa sta succedendo e cosa sta rivelando di sé.
L'importanza dei nomi dei protagonisti
Lodovica Cima Le due adolescenti sia quella di Luisa sia quella di Marco hanno due nomi pensati. Non necessariamente spiegati ma alla fine della storia lo si capisce un po' di più, forse Marco lo spiega di più, lo esplicita: una si chiama Fiamma, l'altra Chiara.
La scelta dei nomi, che è una curiosità ma non è un dettaglio, perché spesso la scelta di un nome per una storia è molto importante, come avviene?
Marco Erba Chiara evoca qualcosa di bello, trasparente, e Chiara è un po' così; è la tipica brava ragazza che a un certo punto dimentica la bellezza che ha per inseguire quello che non è.
Questo avviene perché siamo tutti in qualche modo fragili e alla ricerca di un feedback da parte degli altri. Capita a noi adulti di ritrovarci fragili in alcune situazioni e capita anche ai ragazzi delle medie e delle superiori in cui questo è centuplicato perché è un'età di crisi, “in senso etimologico”, come trasformazione, cambiamento, qualcosa anche di positivo, sicuramente. L'adolescenza è un'età bellissima, io ho dei ricordi meravigliosi, ho avuto amici e guide straordinarie a quell'età e per questo ho deciso di fare il docente e di scrivere questo libro perché parlasse a ragazzi di quell'età e adulti che hanno a che fare con ragazzi di quell'età. Chiara è una ragazza estremamente positiva, che però conosce una compagna e un ragazzo che la portano fuori strada.
Questo a me capita spesso quando leggo temi di ragazze in cui leggi cose profondissime e pensi “cavoli, a quindici anni ha una profondità eccezionale”, ti tirano fuori proprio delle perle. Poi arrivano i compagni e ti dicono “prof. guardi quella che alza sempre la mano e che fa la prima della classe, che foto ha messo su instagram!”. Tu guardi la foto, a tutto fa pensare, ma non alla profondità umana. Ti chiedi perché quella ragazza, che è così ricca interiormente, mette su instagram una foto di sé che da un'immagine completamente fuorviante. Va bene per far pensare a certe cose un ragazzo, va bene per avere 200 like su facebook. Ma dice quello che sei? No, dice quello che non sei. Quella foto lì in qualche modo vuoi essere apprezzata da un punto di vista che ti sminuisce. Quindi Chiara è pura, è trasparente, ma nel corso del romanzo si “butta via” e dovrà riscoprire quella che è.
Lodovica Cima quando si ritrova faticosamente, si ritrova luminosa.
Marco Erba sì, luminosa, piena di luce e di forza, più consapevole di sé di quando si era smarrita e penso che questo nel periodo dell'adolescenza capiti molto. L'adolescenza è un'età di crisi e sofferenza; la sfida sia di trasformare questa sofferenza in qualcosa di bello per sé e per gli altri.
Lodovica Cima Fiamma è invece arrabbiata...
Luisa Mattia sì Fiamma ha l'età che ha, le succedono cose che la travolgono e la disorientano. Ma dentro ha un fuoco. Ce l'aveva anche prima; ma ha un fuoco che fatica a dominare, tanto è vero che fa un sacco di cose che lei stessa non si spiega e non si domanda neanche perché le sta facendo. Le fa. Perché dentro c'è un fuoco vitale, che genera un'energia che poi lei riuscirà a utilizzare per se stessa e per gli altri. Fiamma mi è sembrato il nome perfetto per raccontare un po' come si sta sulle braci ardenti tra i 14 e i 18 anni.
Nel corso delle età si ritorna sulle braci ardenti ma in forme diverse.
Lodovica Cima queste ragazze fanno un po' di prove, prendono le misure con la vita. Ci sono dei cambiamenti grossi nella loro vita, ovviamente i cambiamenti del bruco prima di diventare farfalla, in cui c'è una grande fatica, un grande passaggio. Vi leggo due brani che parlano di questi cambiamenti.
Per quanto riguarda Fiamma
“Ti metti con me. Ho risposto sì per fargli capire che ero d'accordo e felice quanto mai mi ero sentita prima. È una sensazione strana che mi prende le braccia, le gambe, dappertutto, e mi sento leggera e fortissima. Volo dentro, ma volo. A terra lascio i miei genitori”.
Questa è Luisa Mattia, una grande. Applauso. Scusate faccio l'editor da 25 anni e non posso fare considerazioni su questo libro...
Questa è la definizione che Fiamma dà del bacio “Un bacio è fatto di due bocche, un amore che cresce di parole zitte e di un abbraccio stretto che non conosce il tempo. Lo so è una cosa zuccherosa, mielosa, ma non riesco a spiegarla con altre parole. Mi viene così, mi piace. È dentro questo zucchero di parole che voglio stare”. applauso
Poi c'è Chiara, la brava ragazza, fa la scout, fa un sacco di cose per bene, di servizio, è brava a scuola. A un certo punto prende le misure con la vita.
E cambia e dice “Ieri pomeriggio sono andata da mia cugina Stefania, quella che mi ha scattato la foto del mare. Quasi tutte le estati faccio una settimana di vacanza con lei in Liguria insieme allo zio e alla zia. La zia è una che si tiene su, veste firmata, si trucca in maniera perfetta, insomma ha stile. Tutto il contrario di mio padre, proprio non lo diresti che sono fratelli. Mia cugina mi ha sorriso sorpresa, non mi aspettava a quell'ora. In genere sto ficcata in casa a studiare. Sono andata subito al dunque. Stefi, voglio cambiare stile. I suoi occhi si sono illuminati. Mi ha preso per mano, mi ha trascinata di corsa in bagno, lei, anche se ha solo un anno più di me si trucca da sempre, e già questa estate vuole insegnarmi a usare almeno a usare il mascare e la matita. E così è successo oggi. Qualche sbaffo, qualche ritocco, però me la sono cavata. Poi ho provato un sacco di suoi vestiti. Li ha tirati fuori tutti per vedere cosa mi stava meglio. E ora è il momento dell'esordio di Chiara 2.0. Un anno in più, vita nuova”. applauso
E qui inizia l'esperienza di Chiara che si vuole diversa da quello che è, senza accorgersene. Giusto?
Un'altra metafora è quella delle maschere. Il trucco è un espediente per mascherarsi. Anche Fiamma lo usa. E diventa qualcosa di diverso. Anche il protagonista maschile di “Tra me e te” è uno che ci va pesante con le maschere e qui vi leggo l'incipit del romanzo, perché è piuttosto forte, per inquadrare questo ragazzo che parla in prima persona.
“Fra me e te c'è un abisso anche se hai più o meno la mia età. Anche se hai il mio stesso sguardo pieno di domande. Tra me e te c'è un muro invalicabile. Io sono biondo, tu sei moro; io sono elegante, tu sei vestito di stracci, io ho l'abbonamento, tu sei su senza pagare; mia madre lavora, tua madre ruba, io vivo in una casa ordinata tu in chissà in quale buco, io sono onesto, tu inaffidabile, io sono un italiano e tu uno zingaro e io gli zingari li brucerei tutti, come faceva Hitler. È inutile che mi guardi, cos'hai da guardare. Ecco, bravo, girati. Fra me e te è meglio mantenere una certa distanza. Ecco ora ci siamo, scendi. Che va bene. In questo pulmann senza di te si respira meglio. Ci fosse stato Hitler non saresti nemmeno salito. Adolf Hitler lui si che era un mito.”
Ecco questo è l'inizio di come Edoardo si pone verso gli altri. Poi cosa succede?
Marco Erba L'inizo è volutamente duro e sconvolgente e deve suscitare una sensazione di pugno allo stomaco e di repulsione, non perché uno abbandoni il libro ma “scopra dove vada a parare” perché Edo non è quello che dice. Dice queste cose perché è un ragazzo ferito. Edo è un ragazzo vero nella realtà che si chiama Dario, che ha una situazione alle spalle ferita ed è quello che queste cose le dice su facebook, che è un potente aggregatore. Dice cose durissime, fa affermazioni devastanti del tipo “C'è in giro una donna musulmana che porta il velo” perché la donna musulmana non deve portare il velo perché siamo in Italia. Gli rispondo che in giro ci le suore che portano il velo, ma lui risponde che quello è diverso. È uno duro e intollerante.
Capita però che in classe Dario abbia una compagna che abbia dei problemi seri anche a livello psichiatrico e nessuno dei compagni di classe vuole stare in banco con questa ragazza. Perché quando uno ha dei problemi diventa anche fastidioso, persecutorio, possessivo: ebbene quando questa ragazza non era a scuola – io ho fatto una cosa ma me ne sono assunto la responsabilità – quinta superiore, entro in classe e dico i suoi problemi li conosciamo tutti noi però siamo una comunità, adesso io che sono il coordinatore di classe dico devono saltare fuori quattro persone che volontariamente stanno in banco con questa ragazza fino alla fine dell'anno facendo un patto di solidarietà concreta e vera prendendosi carico dei suoi limiti e dei suoi problemi. Chi ci sta? La prima persona che alza la mano di tutta la classe non sono le ragazze con il 10 di media in latino ma Dario, lui che aveva in latino 5 e ½ e sta per diversi mesi in banco con questa persona e dimostra una solidarietà strepitosa. Mi piace raccontare questa storia perché ha ispirato il personaggio di Edo; a volte la cattiveria che buttiamo fuori è una forma di difesa dalle fragilità che abbiamo con cui fatichiamo a fare i conti. applauso
Le amicizie
Lodovica Cima a questo punto trattiamo un altro argomento fortissimo in tutti e due i libri che sono le amicizie, soprattutto quelle cattive, che fai fatica a capire che non sono quelle giuste. Tutti abbiamo avuto questa esperienza.
Tu Luisa parli, per esempio, esplicitamente, dell'invidia.
Luisa Mattia Fiamma a un certo punto si trova ad avere necessità di nascondersi a se stessa e lo fa in maniera evidente, mescolandosi con un gruppo di “amici” che secondo lei potrebbero essere un modo, un modello per stare al mondo, “ma va' a sapere”. È un modo per non fare i conti con se stessa (lo scopre dopo): c'è non solo l'invidia ma c'è anche la distanza (perché lei ha un'amica dell'inizio del libro che ha un nome che fa schifo, Berta, ma è lei la prima che lo dice quindi “sto tranquilla”). Ma con Berta non c'è un vero rapporto: Fiamma non ha ancora capito quanto può essere profondo un rapporto di amicizia, perché fugge e sfugge questo impegno, è disorientata, non ha punti di riferimento quindi si incarta intorno a rapporti che si rivelano velenosi, per lei per prima, e anche da parte degli altri. Perché c'è un continuo misurarsi e un continuo cercare di sminuire l'altro. Lei si trova invischiata in questa piccola melma di comportamenti che apparentemente sembrano cordiali e che funzionano secondo regole che tutti riconoscono, ma che non hanno alcuna vera sostanza. È come un gioco di scacchi, c'è uno che si sposta, quello che si allontana, quello che si avvicina, e l'altro che fa finta di esserti amico, e lei recita molto in questo ruolo, con sempre maggiore disagio, perché di questo si tratta, sente che non è lei; però è un passaggio che fa, perché rispetto alla vita che faceva prima, alla situazione in cui aveva prima deve trovare un posto dove stare e dice “adesso vediamo se funziona”. E pensa “adesso faccio come tutti, sono come tutti”. Ma è chiaro che nel momento in cui uno cerca di essere se stesso, essere come tutti non è di grande aiuto. Anzi, diventa una terribile condizione che viene subito notata, per cui diventi oggetto di invidia e sei un bersaglio indiretto. Fiamma non vive chissà quasi esclusioni, piuttosto situazioni in cui c'è ma è come se non ci fosse, diventa una sorta di bersaglio indiretto da parte di questi cosiddetti amici che non sono tali. Lo scopre un po' più avanti perché lei non sta dentro nel ruolo che si è scelta, che è un abito molto stretto.
Lodovica Cima Chiara ha un'amica che è più o meno come lei, ma poi si catapulta in un mondo molto diverso dove pensa di essere molto amica di questa ragazza splendida, il cui soprannome è “la generosa” che le da addirittura lezioni su come ci si comporta con i ragazzi e, di conseguenza, con i genitori che rompono perché non ti fanno uscire e poi cosa si deve fare dopo un litigio... Come ti è venuta questa idea delle lezioni dell'amica velenosa?
Marco Erba le lezioni sono una cosa reale, sono delle lezioni che hanno fatto le mie studentesse a me quando ho scritto il libro. Essendoci due voci, per quella maschile, mi è stato abbastanza facile immedesimarmi nel personaggio di Edo, naturalmente non condividendo quello che pensa (il messaggio del libro è completamente l'opposto di quello che Edo afferma nella prima pagina, che è una provocazione); per il personaggio di Chiara mi sono fatta ispirare dalle mie studentesse e avevo una task force di una decina di ragazze di seconda scienze umane e chiedevo loro come funzionavano certe dinamiche e uscivano fuori dei racconti meravigliosi che neanche mi potevo immaginare. Guarda quella che indossa il giubbotto in un certo modo, si vede che è una... oppure chiedevo loro “devo scrivere una scena in cui un ragazzo ci prova con te, tu cosa faresti?” “Prof prof venga qua che le spieghiamo noi.” Ho scoperto una serie di regole sociali da far invidia ai personaggi dell'epoca di Anna Karenina... “Metta un po' di like sulle foto di facebook, poi ti scrivi in chat. Poi il giorno dopo lui arriva e tu devi trovarti un'amica con cui parlare perché altrimenti ti troveresti faccia a faccia con lui ma questo sarebbe troppo imbarazzante. Poi ti scrivi ancora un chat e andate avanti un po' così e a un certo punto ti chiede di vederti di persona. Ma di solito succede che la prima volta ti invitano da Mc Donald. Ma da Mc Donald nooo. Meglio andare a fare un giro al parco.”
Quindi mi sono fatto raccontare tutte queste dinamiche e quando si crea una relazione positiva ho imparato un po' a vedere il mondo con i loro occhi.
Una delle soddisfazioni più grandi è le ragazze che mi scrivono e mi dicono “hai reso esattamente quello che ho vissuto, mi sono ritrovata esattamente nel personaggio”. Questo non è merito mio ma di quelle ragazze che me lo hanno raccontato così bene da farmele “vedere”. Io l'ho messo solo in racconto.
Il ruolo degli adulti che ti lasciano spazio e ti sanno ascoltare
Lodovica Cima un'altra cosa che non posso non notare è che in entrambe le storie gli adulti non è che facciano una gran figura. Quelli che si salvano sono i nonni. Lui ha una nonna e lei un nonno, che sono dei “principi” tra gli adulti.
Luisa Mattia gli altri non sanno che fare e non ho ancora deciso se sia o meno una fortuna per gli adolescenti, io credo che sia una condizione abbastanza diffusa tra i genitori.
Credo che sia una necessità, un distacco necessario, doloroso, a volte anche un po' punitivo perché gli adolescenti sono abbastanza spietati. I genitori spesso non sanno cosa fare. Anni fa ho visto il film delizioso “Sirene” con Cher, che interpreta la parte di una mamma “difettosa”, come mamma non rispetta nessuna delle regole, ama molto le figlie e ne cresce due una più eccentrica dell'altra; lei è la regina dello “svaporato” e a un certo punto in cui le figlie le chiedono di fare qualcosa per loro e c'è intorno una comunità che la osserva con un certo senso di disturbo, lei sbotta e dice “insomma, non siete nate con il manuale di istruzioni. Io a volte faccio quello che posso, a volte non ci riesco, non vi capisco, che devo fare?”.
Credo che sia una condizione abbastanza frequente nei genitori che mettono a letto a dormire il loro amato bambino e la loro carissima bambina e la mattina dopo si trovano in casa un marziano, lo guardano e si chiedono cosa sia successo in queste ultime 12 ore. Il marziano li guarda e chiede chi sono questi qua? Quindi si apre una voraggine e prima di ricomporre questa situazione ce ne vuole.
Ci sono delle figure intermedie: in alcuni casi sono le zie, nei nostri libri sono i nonni – coincidenza interessante – ma lì c'entra un po' di autobiografia, credo, non so nel caso di Marco, ma nel mio sì. Io avevo un nonno che non aveva il manuale di istruzioni per fare il nonno, nel senso che “non ne azzeccava una” a fare il nonno preventivato, ma per me è stato una sponda interessantissima perché non avendo obblighi educativi non doveva insegnarmi niente, era mia complice, sentiva, ascoltava.
Arriva improvvia la pioggia, ma in due secondi i ragazzi di Mare di Libri riallestiscono il tutto sotto il portico e Luisa Mattia dice “hanno costruito una platea nel giro di cinque minuti, un applauso ai ragazzi volontari”. Applauso.
Lodovica Cima stavamo parlando dei nonni che sono preziosi e Luisa ci stava spiegando che la sua è una scelta autobiografica...
Luisa Mattia ho avuto un nonno senza manuale di istruzioni, ha provato una volta sola ad accompagnarmi a scuola e mi ha lasciata a metà strada: arrivato davanti a un bar mi ha domandato “tu sai come arrivare a scuola?” Gli ho risposto di sì – avevo sei anni - e lui mi ha risposto “Brava, vai”. E si è fermato a prendere un caffè. Mia madre non è stata contenta, io sì. Perché è stata la prima volta che un adulto mi dava fiducia, infatti sono andata a scuola senza problemi. Mia mamma sosteneva che a sei anni questa cosa non andava bene e mio nonno, splendente nella sua irresponsabilità, la guardò e rise “perché?” e lei è rimasta senza argomenti.
Però io ero felicissima.
Questo nonno di Fiamma non è uno che abbia sempre le risposte, ma accoglie. E soprattutto ascolta. Credo che sia importante in cui si è in questa età di transito dell'adolescenza trovare un nonno, o chi per lui, che sia capace di non dispensare consigli. È difficile per un adulto. Ma trovare un adulto che ti apre la porta di casa, perde tempo insieme a te, continua a fare le sue cose, ti fa parlare, se non vuoi parlare stai zitto, accetta con semplicità, ti fa da specchio e da sponda, sai che non ti sta giudicando e non sta trovando soluzioni al posto tuo. Credo che questa sia una gran fortuna e se non arriva la fortuna bisogna andarseli a cercare adulti così.
Mio nonno un po' non ascoltava, il resto del tempo mi lasciava parlare e io avevo questa sponda silenziosa con il quale condividere del tempo, forse perché eravamo difettosi tutti e due; lui era stato tutto il tempo fuori dalle regole e avevo spazio ed essendo inadeguati tutti e due al compito, probabilmente si è realizzata questa solida complicità.
Nel caso del libro il nonno sta più zitto di altri e, però, apre la porta.
Lodovica Cima bellissima figura davvero. Invece nel libro di Marco c'è una nonna che sta zitta anche lei e ascolta molto e c'è un'altra figura importante, la prof. di arte che si chiama la “profetessa”, perché tutti nel libro hanno un soprannome in questo libro.
Marco Erba la profetessa è la professoressa di arte di Edo. Condivido al 100% le parole di Luisa e penso che sia la cosa più difficile ma anche più giusta da fare. Quando uno diventa adolescente comincia a crescere e il papà e la mamma non sono più Dio, non sono più le certezze assolute, ma vedi i loro limiti belli grossi e tu inizi ad avere una certa personalità e a prendere una distanza. Credo che i ragazzi abbiano bisogno di figure adulte che non calino verità dall'alto ma che condividano una parte di vita con te.
La profetessa è una professoressa che c'è davvero nella scuola dove insegno, che è la vicepreside. Vi racconto un episodio che conferma quello che diceva Luisa prima.
Capita questo. Seconda liceo scientifico: bravissimo ragazzo in prima, in seconda inizia ad andare “fuori di testa”, essere indisciplinato. Un giorno entro in classe, parte una scarpa volante che mi sfiora la faccia. Io lì non ho capito. Un insegnante deve cercare di capire gli episodi di disagio di chi ha davanti (ma anche un genitore). Io lì non ho capito, ho affermato un autorità e l'ho cacciato fuori dalla classe. Lui esce e fuori c'era la vicepreside, lo chiama nel suo ufficio e gli ha detto non “cosa hai fatto?”, ma lo ha guardato in faccia e gli ha detto “cosa succede - in generale - nella tua vita?” e lui ha spiegato che la mamma era malata da tempo - non lo sapeva nessuno - e stava a letto tutto il giorno. Io mi sono chiesto più volte cosa avrei risposto a quel ragazzo in quella situazione: un abbraccio, poverino... Sapete cosa ha fatto la profetessa? Non l'ha abbracciato, non gli ha detto “poverino”, l'ha guardato negli occhi e gli ha detto “ok questa è la situazione. Tu hai due scelte: primo, continuare a fare quello che stai facendo e dare un problema in più a tua mamma; due, mettercela tutta per fare il meglio che puoi per rendere felice tua mamma. Non posso scegliere io per te, però da oggi io ci sono per te e se vuoi, visto che a casa la situazione è questa tu puoi venire a studiare nel mio ufficio tutti i pomeriggi”. Era la metà di ottobre: da quel pomeriggio fino alla fine dell'anno, lui ha studiato nell'ufficio della profetessa mentre lei scriveva le circolari. In silenzio.
Io credo che l'adulto debba stare in silenzio ma farti sentire che c'è.
Il ragazzo ha cambiato completamente atteggiamento e rendimento perché ha trovato una persona che l'ha ascoltato e non gli ha detto come fare ma gli ha fatto vedere le due strade in cui lui poteva “giocare la sua libertà” e gli ha detto “Io ci sono”.
Lodovica Cima bello. applausi
L'amore e il sesso
Lodovica Cima Nel libro di Marco ci sono tante altre cose/argomenti ma non vorrei affrontarli tutti per non svelarvi troppo. C'è un argomento che non abbiamo ancora affrontato, quello dell'amore e del sesso.
Vorrei partire da una definizione che esce dalla bocca della “Generosa”, che consiglia Chiara, per poi fare una riflessione sull'argomento. Questa ragazza che è la nuova amica velenosa di Chiara dice che “le ragazze offrono sesso per ottenere amore, i ragazzi offrono amore per ottenere sesso”.
Marco Erba questa definizione è l'opposto di che cos'è l'amore secondo me o secondo la mia esperienza. Che cosa rischia di diventare l'amore; si discute di questo nel romanzo: quando dici “ti amo” a una persona, che cosa significa?
Dire “ti amo” molti lo interpretano così. “Mi fai stare bene e voglio stare vicino a te perché mi fai star bene”. Però questa definizione non basta perché dov'è la tua libertà? Dov'è il donare qualcosa di mio a te? Se io sto con te perché mi fai star bene, una volta che trovo i tuoi limiti che non mi fanno più star bene allora ti lascio e prendo un altro che mi fa stare meglio. Io ho la fortuna di essere sposato con una donna che amo moltissimo da molti anni - certo va benissimo quando va tutto bene e andiamo d'accordo, quando c'è la passione, c'è l'intesa - ma i momenti più belli sono quelli in cui io sono giù di corda o fragile e lei c'è lo stesso anche in quei momenti lì. L'amore non è tu mi fai stare bene e sto con te, l'amore è io ti voglio bene così come sei e ti invito a dare il massimo di te per rendermi felice così come sei, anche con i tuoi limiti. Questo vale per un ragazzo e una ragazza, per un genitore e un figlio, vale per qualsiasi relazione dove c'è un amore autentico.
Quando in terza media dissi a mio papà che volevo fare il liceo classico, lui si arrabbiò tantissimo e mi disse “non lo devi fare, perdi tempo, non troverai mai lavoro, devi fare l'istituto tecnico a indirizzo informatico e poi informatica all'università, così troverai lavoro”. Quella era la sua idea. Abbiamo litigato tantissimo. Poi un giorno mi è venuto a prendere a scuola, abbiamo pranzato insieme, mi guarda mi chiede “ma tu il classico lo vuoi fare davvero?” “Sì papà, ci tengo tantissimo, mi piace un sacco”. Allora mi ha risposto “Allora lo devi fare anche se non voglio, e devi dimostrarmi che ho torto io e che hai ragione tu”.
Perché l'amore non esiste senza libertà. Tutti i casi di oggi, come il femminicidio, sono tutti amori malati che privano l'altro della libertà perché l'altro deve essere come dico io, e deve rispondere alle mie esigenze.
Quando un amore non è più dono di sé all'altro e rispetto sacro della libertà dell'altro non è più amore. Quando un amore non è disposto a perdere l'altro per la sua libertà non è più amore. Lucrezia dice esattamente l'opposto. E da lì Chiara farà un percorso e capirà che il vero amore non è trattenere ma lasciare andare.
Applauso
Lodovica Cima anche Fiamma ci mette del suo e fa delle riflessioni...
Luisa Mattia va in esplorazione. Perché anche lì siamo in un labirinto, quattordici anni, prima vacanza senza i genitori, uno si sente libero senza sapere cosa significhi e arriva anche quello che si chiama “primo amore” ma “va' a sapere se quello è il primo amore”. Credo che questa sia una condizione sia una condizione vera, sperimentata, lo chiamano “primo amore” perché è una faccia, un nome e chiami primo amore la prima volta che scopri dentro di te c'è un'altra, un'altra e un'altra e il corpo improvvisamente non è che ti parla ma fa rumore. È proprio un vortice, una tempesta, non capisci cosa caspita sta succedendo e non capisci che quello là, neanche poi non è neanche tanto male, sia interessante e scopre prima che la sua testa è il suo corpo che glielo dice.
Ragazzi è complicato andare appresso al corpo perché quello se ne va per conto suo. Quindi Fiamma fatica a capire, poi a un certo punto si chiede se ci sia nulla da capire e dov'è che va questo qua. È la prima condizione di grande superficie, lei non lo sa ancora, si mette addirittura contro la sua amica Berta, perché le è di intralcio, è la scoperta anche che nel momento in cui c'è un'emozione a cui non sai dare un nome, persino la tua amica che sembrava la tua migliore amica ti dà fastidio, sta là in mezzo, e non ci dovrebbe stare. Lei in maniera molto più istintiva che naturale segue questa spinta; non la segue neanche con il cuore ma cercando di capire dove vuole andare e vuole andare con Lorenzo. Questo è il punto. Il quale Lorenzo, nella sua semplicità, è chiaramente non adeguato alle aspettative di Fiamma, che ha tutto un suo mondo, un suo tumulto interiore, una sua psicologia già molto forte - non è Fiamma a caso - quindi Lorenzo non regge poi il confronto. Dovrà avvenire un altro passaggio con un tipo bizzarro, straordinariamente attraente non perché sia bellissimo ma perché non somiglia a nessun altro.
Lodovica Cima arrivo da un incontro precedente, su “Orgoglio e Pregiudizio”, dove la dichiarazione tra Lizzy e Darcy è una dichiarazione di disprezzo, più che di odio. Eppure è una dichiarazione d'amore. E mi è venuto in mente il collegamento: quando Fiamma incontra questo ragazzo all'inizio non c'è niente in comune.
Luisa Mattia non c'è niente in comune. Questo qua viene pure dall'istituto professionale. È pieno di difetti. Non è liceale, non è studente, è difficile da identificare perché sembra molto sicuro di sé. Sembra sicuro di se stesso, ha una fortissima identitià, che inizialmente le crea uno spiazzamento. Ma lo spiazzamento è un elemento - io credo - essenziale dell'amore. Se non c'è un momento in cui te lo chiedi e te lo chiedi ripetutamente (non a caso si parla di primo amore, perché poi ce ne è un altro ve lo comunico ufficialmente: dopo un primo amore ce ne è un secondo, tranquilli c'è un margine di azione!). In questo incontrarsi per diversità, c'è la bellezza dell'incontro vero. Ti innamori di ciò che non avevi previsto e credo che la durata, la continuità, la profondità di un amore, a 16 anni come a 60, sia proprio in questa capacità di riconoscersi diversi, di dirsi “io sto con te non perché siamo uguali ma perché siamo diversi; siamo io e te e siamo diversi”. Per Fiamma questo arriva tumultuosamente perché lei non è una tipa facile, è abbastanza ruvida, non ha sempre ragione, spesso ha torto, ci arriva dopo un po' a capire che ha torto, crea qualche problema, qualche attrito; anche questo ragazzo che è anche - come si dice a Roma “un po' morto di fame” perché non ha la macchina ma la bicicletta - non è che sia tutto sto gran ché ma poi, nonostante questo, alla fine lei arriverà a interessarsi a lui. In questo c'è un altro elemento autobiografico perché io faccio di questo ragazzo un calzolaio: mio nonno faceva il calzolaio e io ho sempre trovato seducente l'odore della pelle. C'è un capitolo in cui Fiamma entra nel negozio dove lavora questo ragazzo lei dice “bellissimo questo negozio: puzza”. Che è una dichiarazione strana, perché lei è spiazzata anche da questo, perché è strano che possa piacerle non il profumo della profumeria ma l'odore di un lavoro manuale che lui sta svolgendo e che fa parte integrante della sua identità.
Lodovica Cima abbiamo dato un'idea di come siamo entrati in queste due storie, non vogliamo rovinarvele perché c'è molto di più dentro e vediamo se avete delle curiosità. C'è qualche domanda?
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Luisa Mattia la pioggia ha bagnato le domande...
Lodovica Cima allora ultima cosa per chiudere l'incontro. Parliamo della scrittura, dello stile.
Il libro di Luisa è a tratti poetico e molto calibrato dal punto di vista della scrittura. È estremamente essenziale e proprio perché essenziale ti tocca nel punto giusto senza sbavature, senza andare mai oltre. Raccontaci come fai per ottenere questo risultato. Luisa è un premio Andersen da molto tempo.
Luisa Mattia come faccio? Io voglio molto bene ai miei personaggi. Faccio che non faccio niente per per molto tempo. Nel senso che penso anche in maniera disordinata, perdo tempo apparentemente, non scrivo una riga. Faccio altre cose. Voi direte “stai accampando scuse...”. Se vogliamo chiamarla “pigrizia”, prima di cominciare a scrivere devo avere preso contatto diretto con i personaggi come se facessero parte della mia vita quotidiana, quindi li penso anche quando vado al mercato a fare la spesa. Loro si tirano dietro la storia. A me non succede mai il contrario.
Prima c'è il personaggio: in questo caso il personaggio di Fiamma, che non somiglia a qualcuno nello specifico ma evidentemente ha una connotazione specifica a tante ragazze della sua età, la metto nei guai, subito, (questo sì, ho conosciuto una ragazza di 14 anni di grande sicurezza sul fatto che ci doveva essere molto movimento nella sua vita per diritto acquisito - quando sei un'adolescente e stai crescendo, chi ha diritto di camminare? Io! - intorno, grazie, state fermi. Facciamo che la mia vita così come la conosco continua. Non vi venisse in mente di spostare niente.) È nata da lì la carta di identità di questo personaggio. Perché poi gli scrittori sono dispettosi e un personaggio che dice, come inizia il libro “Ecco fatto” ovvero questo è, sono a posto; al secondo capitolo già gli rovesci il vassoio: guarda che portavi le tazzine così bene, ma si è rovesciato tutto, ora vediamo che combini. Io tutta questa parte la penso.
Poi quando comincio a scrivere sono veloce, ho chiarissimo come andrà avanti la storia, quando finisce un capitolo... non me lo scrivo, lo so, non è un merito, è il mio modo di raccontare. Ci sono state storie più complicate in cui ho avuto bisogno di scrivermi delle cadenze. Sennò riempio taccuini che non rileggo. Scrivo appunti che poi perdo, penso cose che poi dimentico, ma tutto questo fa parte della fase preparatoria. Dopodiché inizio a scrivere e scrivo sempre così. Ho bisogno di una parte iniziale di meditazione senza penna in mano, in cui faccio amicizia con i miei personaggi, soprattutto con quelli negativi. Quelli pieni di difetti mi interessano tanto, mi piacciono.
Lodovica Cima invece Marco ha una scrittura molto più che fotografa quello che si ha davanti, ti fa vedere esattamente quello che ti immagini. Qual è il percorso del tuo lavoro?
Marco Erba rubo tre immagini velocissime di tre scrittori famosi: il primo è Stendal, che diceva che per raccontare una cosa di impatto devi vederla nella tua mente, se vedi una cosa nella tua fantasia con la tua creatività poi ti uscirà naturalmente; il secondo è Stephen King che dice “Show don't tell”, fai vedere non stare troppo a raccontare; il terzo è Niccolò Ammanniti che dice che scrivere un romanzo è come scavare una rotaia, tu vedi più o meno qual è il tuo percorso poi durante la strada devi, ma le tappe iniziali e finali le hai bene in mente. Io prima vedo i personaggi a lungo, come Luisa, facendo avanti e indietro da scuola, poi in modo quasi morboso faccio una scaletta che poi cambia nel corso della narrazione; essendo Fra me e te un racconto a due voci avevo ritagliato pezzetti e li avevo ricombinati; ma poi quando scrivi ed entri dentro a un personaggio, come dicono molti scrittori e l'ho sperimentato anch'io, il personaggio prende vita nelle tue mani e a volte fa cose che non ti aspettavi. Però devo sapere da dove parto e dove arrivo però devo sapere qualcosa della trama devo farlo a tavolino prima di scrivere. Il processo di scrittura la cosa più veloce.
Lodovica Cima grazie a Luisa Mattia e Marco Erba di essere stati con noi. Lasciamo spazio a un altro evento.
Forte applauso.
Grazie, incontro bellissimo, moderato in maniera perfetta da Lodovica Cima.
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